domenica 19 gennaio 2020

Mario Mattoli


I REGISTI (senza peli sulla lingua)
MARIO MATTOLI
DI EUGENIO GIOVANNNETTI


Nelle Marche, da cui sono venuto anch'Io, ho conosciuto dei Màttoli. Pare che il nostro Mario, accennandosi come Mattòli, voglia nettarsi da un sospetto di mattia ed avvicinarsi ai gravi mattoni.
Tal sia di lui! Un po' di grave gli conviene certo oggi, a compensato la levità della prima giovinezza'. Ha diretto allora undici compagnie teatrali e ha fatto gran chiasso con gli spettacoli Za Bum. Non mi pare un gran titolo per la carriera d'un regista. E' diventato infatti qualcuno a mano a mano che s'è liberato da cotesto milanesismo grossolano ed improvvisatore.
Ed era entrato anche nel cinema per la via, meno artistica: per il portone dei soldi, come produttore. Ha' giudizio, il mio marchigiano. Laureato in giurisprudenza, ha preferito per tempo ad un gramo Azzeccagarbugli un maneggione chiassoso. Ma, anche per gli artisti, c'è una sola prudenza: la concentrazione; un solo male: la dissipazione. Ed il nostro Mattoli deve scontare oggi la sue brutalità di gioventù.
Noi marchegiani nasciamo, del resto, con la pelle dura e ci sgrossiamo a poco a poco, con lentezza ultralaboriosa. Il nostro Mario comincia, ora, come regista, a dare un po’ nel fino, dopo ott'anni ormai di professione. Tranne qualche escursione garbata verso un cinema comico-sentimentale, alla Camerini. (L’uomo che sorride), o verso un cinema dal costume brillante (Amo te sola), ha continuato per sei lunghi anni più o meno a zabumeggiare. E quando il subalpino dagli occhi di bue, Macario, ha voluto brillare nei film. è andato per istinto verso il regista zabumeggiante.
Ma Mattoli, l’ho già detto, è il marchcgiano che s'innalza e si raffina nella dura fatica. Non è l’anfibio cafone e stazionario: non è quel principe marchigiano cui, un giorno, al Circolo della Caccia, un gentiluomo romano diceva: «tu vai a Londra e fai il principe romano: tu torni a Roma e fai il lord inglese; ma più mondo giri e più marchigian ti trovo».
Mario Mattolì non è, voglio dire, l'uomo di vetro, che, se l’urti con un gomito, ti cade addosso col fracasso d’una vetrina. E', come tutti gli artisti che si ritrovano e si elevano faticosamente, duro quanto agile. Mi propongo d’esaminare con franchezza, quelli che mi paiono ancora i suoi gravi difetti come artista, ma intanto sono lieto di poter dare una gomitata, cordiale ad un uomo della mia terra, sicuro che non si frangerà.
Mario Mattoli non ha avuto, sino a ieri, una carriera facile. Ha sfacchinato intorno a piccoli film, che non avevano spiraglio alcuno per un regista di talento; quando non ha dovuto addirittura tagliare film sulla misura di Macario. In sostanza, le buone, le grandi occasioni, il Mattoli le ha avute soltanto in questi ultimissimi anni (1940-41) con due cose che l`hanno messo fortemente in vista. Su questi due film, Luce nelle tenebre e Ore nove, lezione di chimica, lo giudicheremo.
Quì, per la prima volta, il regista racconta un linguaggio personale, fluente e scintillante. C’è ancora, qua e là, del Camerini, ma non è che una reminiscenza. L'uomo ha, senza dubbio, imparato a parlare cinema ed intende dire cose proprie, in maniera propria, con un proprio accento.
Solo un difetto s'avverte, che vien dalla vecchia, abitudine d'improvvisare e superfìcializzare. Il narratore scivola brillante sulla materia e non l`approfondisce e non la domina. Pattina soltanto, arabescando appena la lucida pianura del ghiaccio. Che cosa veramente sia sotto il gelido specchio, lui non sa con precisione e, talvolta, non sospetta neppure.
Le sequenze prettamente cronistiche e descrittive, quelle cioè in cui non si tratti che di fiorire in superficie, sono quasi sempre ottime. Vedete, in Luce nelle tenebre, le due sequenze iniziali: la corsa della ragazza per i negozi e la visita dell'ingegnere in casa del clinico. Niente di più arioso, di più vero, di più fine. Il narratore sa veramente che cosa sieno cinema e ritmo. Anche l'arrivo delle due sorelle alla miniera, e la visita alle gallerie, hanno il linguaggio della più fresca e vivida realtà.
ln Ore nove, lezione di chimica c'è qualcosa di più che garbo descrittivo: c` è il tono azzeccato, il tono ambientale nelle sue infinite sfumature. Bisogna chiudere un occhio, naturalmente, e talvolta due, sulla goffaggine manierata di qualche figura (quella del papà milionario, per esempio, nel suo modo d'accomodar le cose familionarmente, come avrebbe già detto ai suoi tempi Arrigo Heine). Ma, nell’insieme, il tessuto sociale è ben sentito, tanto nelle movenze caratteristiche quanto nella discorsiva finezza.
Quelli di cui il Mattioli non s`accorge mai sono i trapassi disastrosi di tono nella sua materia: i crepacci subitanei della sua lucida superficie. Lo sceneggiatore può tendergli qualsiasi tranello: avvezzo a brillare sulla sua nitida pianura, il regista andrà dritto verso l’insidia e precipiterà, sicuro, sicurissimo di pattinare ancora sul più solido ghiaccio. Non ho mai visto una tale allucinatoria sicurezza.
E' chiaro che il nostro Mattoli dovrà avvezzarsi sempre più a scrutare lungamente o profondamente la sceneggiatura, prima d'affidarsi a lei e mettersi a pattinare. Bisogna. che avverta tutte le insidie e le elimini in tempo, prima di lanciarsi. La sceneggiatura è oggi, per lui, troppo foglio musicale, troppo composizione intangibile. Ci rimetta le mani lui e ricomponga arditamente sino all'ultimo minuto, e dia finalmente alla sua materia quell’omogeneità, quella coerenza, quella solidità, che, sino ad oggi, le sono mancate.
Il giorno in cui disporrà d’una materia perfetta, senza crepacci né buche, il Mattoli farà un’opera' d'arte, pulita come un gioiello. Per essere un perfetto artista, il nostro Mattolì deve fidarsi meno di chi lo circonda: deve affrontar direttamente la sua materia e guardarci ben dentro da solo: deve fare insomma come quel contadino marchigiano che quando, in agonia, il prete cominciò a dirgli: « non vorreste, figlio mio, regolare un po' il vostro conto col ministro di Dio?», raccolse quel po' di fiato che gli restava e rispose: «no: vojo fa' Ii conti direttamente col padrò».
Se gli ultimi due film del Mattoli avevano debolezze, eran debolezze assai più di costituzione, di sceneggiatura cioè, che di stile. Il regista aveva lasciato fare troppo ai ministri che, come avvertiva il Pascarella, non sono mai da prendere troppo alla lettera, «perché te lassano contento e cojonato».
Il lento ma sicurissimo maturare di quest’artista va seguito con attenzione e simpatia.  Il Mattoli è un osservatore realistico, pieno di forza e di finezza, quand’è in vena. In Luce nelle tenebre, ho ammirato come una piccola, gustosissima acquaforte, il suo appuntamento galante al Caffé Greco. C’era una grazia amara ed epigrammatica ad un tempo, che non mi sarei mai aspettata da un «figliuol prodigo» così zabumeggiante e così poco fatto per diventare un impressionista incisivo, un Toulouse-Lautrec. Voglio illudermi i che anche questa gomitata di paesano gli farà bene e lo farà sempre più svelto e bravo. In ogni modo, sono felicissimo d’avergliela data. Io non sono, e neppure lui, un licienciado Vidriera che tema di cadere in frantumi appena qualcuno lo tocchi.
Sapete chi era questo Vetriera? Un personaggio delle cervantesiane «novelle esemplari», che aveva la fissazione d’esser tutto di vetro e di dover quindi frantumarsi al menomo urto per via. Guai a toccarlo: dava in ismanie ed urla di terrore. Quanta gente, eh, quanti Vetriera passeggiano oggi per via, che non si devono toccare neanche con un dito! E’ forse il tempo di cominciare a capire che gli uomini che hanno un cuore nel petto ed una coscienza pulita, non hanno paura d’un urtone: e, se occorre, ve lo restituiscono allegramente.
Eugenio Giovannetti

Opere di Mario Mattoli : Tempo massimo (1934) - Amo te sola, Musica in piazza, Sette giorni all’altro mondo (1935) – La damigella di Bard, L’uomo che sorride, Questi ragazzi (1936) – Gli ultimi giorni di Pompeo, Felicita Colombo, (1937) – Nonna Felicita, L’ha fatto una signora, La dama bianca, Ai vostri ordini signora (1938) – Imputato alzatevi, Mille chilometri al minuto, Lo vedi come sei, Eravamo sette vedove (1939) – Non me lo dire, Il pirata sono io, Abbandono, Luce nelle tenebre (1940) – Ore nove, lezione di chimica (1941) – In lavoro: Viglio vivere così.  
film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRA E RADIO ANNO V - N. 3  17 GENNAIO 1942 XX



La testata si riferisce al film Soltanto un bacio diretto da Giorgio C. Simonelli e interpretato da Valentina Cortese, Carlo Campanini, Otello Toso, Lauro Gazzolo (Prod. Aquila Film).

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