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martedì 1 marzo 2022
domenica 8 marzo 2020
Girls in horse opera
DA BELLE PUPATTOLE
A TERRIBILI “PISTOLERE”
Le fanciulle del West
Nei nuovi films americani della prateria
si è trasformata l’eroina: è
divenuta anch’essa
un’avventuriera e va in giro con le armi alla cintura
Il
pubblico non bada, ma qualcosa va mutando nella formula del più tipico, film
americano, quello West. E non ci bada perché la trasformazione avviene
gradualmente, per lenti passaggi. Non potrebbe essere diversamente; guai ad
apportare radicali e subitanei mutamenti a un tema come questo che da oltre
cinquant'anni (i primi films del genere datano dal 1903) continua a riscuotere
un successo non mai esausto. Si cominciò a fabbricarli in serie, oggi si
chiamano: «westerns» o films della prateria, o films dei pionieri; ma all'inizio
si dissero «horse operas» ovvero films di cavalli. Dalla rozza psicologia dei
films prodotti con meccanica stereotipia, negli anni in cui la sola Compagnia
detta «Bigon» riusciva a metterne assieme ben 185 nello spazio di nove mesi,
alla più approfondita analisi dei tipi e delle situazioni, quale oggi si tenta,
la transizione non risulta meno importante per il fatto di essersi compiuta
senza bruschi mutamenti.
L'interminabile romanzo dei colonizzatori degli Stati occidentali del
Nord - America, derivato dall'urto fra gente perbene e avventurieri senza
scrupoli nel secolo scorso subito dopo le immigrazioni dell’Europa (scandinavi,
specialmente inglesi e tedeschi: ossia presbiteriani, battisti, luterani) è ancora
oggi raccontato come un’antitesi fra bene e male. Ma la divisione fra i due
mondi non è più netta come nei primi films, e sempre più spesso ci s'imbatte in
tipi complessi, buoni e cattivi assieme, come è in realtà la maggior parte di
noi e specie nelle società, primitive.
Gli uomini sono dominatori di «westerns». Attori atletici,
permanentemente a cavallo, impersonano gli eroi di questo capitolo di storia
divenuto leggenda. I loro nomi acquistano notorietà, l'uno succedendosi
all'altro, da Broncho Billy che fu il primo a Tom Mix che fu il secondo, a
William Hart che gli successe e poi via via sino ai contemporanei, fra i quali,
emerge John Wayne. Anche i nomi dei loro cavalli sono divenuti popolari. E le
donne? Le fanciulle del West ebbero sempre, in questi films, una parte quasi
passiva, comunque modesta; ed è proprio il loro contributo che ha dato caratteristiche,
ora, ai films della prateria.
Furono per molti decenni solo belle pupattole. Si trattava
quasi sempre, della vezzosa figlia di un proprietario di una fattoria,
ingiustamente vessata dai predoni, o costretta ad un matrimonio odioso con un ricco furfante. Il baldo «cow - boy» aveva il compito
di battersi solo contro tanti, fu la sua salvezza e di sposarla all'epilogo.
Più tardi primeggiano figure femminili di natura spregiudicata: cominciarono a
battersi, ebbero cavallo e pistola.
Nella terza fase si ammise che potesse trattarsi di
ballerine o di cantanti da taverna per cercatori d’oro; in certi casi, la loro
purezza poté contaminarsi e ci si decise di accettarle anche come cortigiane ma
non dissolute: comunque ansiose di redenzione ballavano il «can - can» provocando
frenetici entusiasmi di omaccioni zuppi di «gin» che esprimevano il loro consenso
fragoroso sparando per aria con l’una o l'altra delle due pistole che portavano
alla cintura; quando non sparavano con tutt'e due e non prendevano di mira le
bottiglie o la testa dell'oste. Dipendeva dal grado di euforia e dal
temperamento.
Oggi e per opera del regista Ford, la fanciulla del West non
vive di vita riflessa, alla ombra dell'eroe; oggi ha anche essa i suoi umori e
i suoi slanci. Tra uomini avventurieri, donne avventuriere.
Spesso l'eroina è tanto sarcastica quanto piena di coraggio;
la compagna intrepida dei «desperados» Marlen Dietrich protagonista di Rancho notorious, ha dato un esempio di
questo nuovo tipo di donna per «cow - boys» prive di scrupoli e scanzonata
quanto gli uomini che le stanno attorno. Altre volte come in Duello al sole,
o come ne Il mio corpo ti scalderà è
toccato a Jennifer Jones o a Jeane (sic) Russell di raffigurare creature di furibonda
sensualità talvolta in chiave di tragedia e talvolta di satira. Dalla fanciulla
angelica, debole e apprensiva alla scatenata erinni.
Probabilmente ai tempi dei cercatori d'oro e delle battaglie
contro gli indiani, vissero nei paesi senza legge del West, donne dell'uno e
dello altro tipo oppure angeliche e diaboliche insieme. E se moralmente ci
urtano, non c'è dubbio che le ragazze meno serafiche offrono materia più
incandescente ai films. Come i paesi miti e felici, anche le donne miti e
felici sono senza storia. Ad ogni modo, lo studio psicologico s'è raffinato
nelle pellicole della prateria, da quando le protagoniste non sono soltanto dolci
creature, pronte a sventolare il fazzoletto quando torna a casa, attraverso i sentieri
tra le rocce, il cavaliere prode che ha sgominato i nemici. Le pellicole del
West hanno conservato molto della loro originaria struttura; ma anche se non sempre appare parecchia strada s'è fatta da
mezzo secolo fa, allorché Broncho Billy ne metteva assieme cinque ogni
settimana.
E' noto che quando gli chiesero come facesse a trovare soggetti
per tanti film egli rispose, con spavalderia da «gaucho»: Vede noi non cambiamo
i soggetti, cambiamo soltanto i cavalli.
Ed è anche vero che la donna ha fatto troppo cammino nella
vita sociale nostra e di altri paesi; ella sa combattere, affrontare i casi, le
avversità della vita, sa guardarsi dalle insidie del mondo, sa che ha una
missione da compiere a bene dell’umanità con qualunque mezzo, con molto
impegno, ed è cosciente che sta sopratutto in lei la possibilità di portare nuove
affermazioni ai canoni delle convivenze sociali.
TERESA CAVALIERI
GAZZETTA DEL SUD 7 giugno 1955
mercoledì 6 novembre 2019
The Evolution of the Western Movie from 1899 to 1954 - the end
Infine, un'altra iniziativa
partita dalla stessa Hollywood ha contribuito all'eliminazione del western
B. Circa un dieci
anni fa i film western si potevano dividere in due categorie: quelli
grandiosi ed epici, e quelli d'ordinaria amministrazione, modesti, a buon mercato, senza categorie intermedie. Oggi invece,
siccome il genere western piace
sempre,
si è
creato a Hollywood, un qualcosa di mezzo tra il grande e il piccolo western, e precisamente "il nuovo westen B" che permette uno
spettacolo d'ottanta minuti, è in technicolor ed è interpretato da attori come
Sterling Hayden, Audie Murphy e Randolph Scott. Questi film costituiscono uno
spettacolo completo e hanno subito avuto una larghissima diffusione, e non si può
quindi dare tutti i torti al distributore se, dovendo scegliere tra un filmetto del genere di
quelli che si possono vedere alla televisione, e un altro invece che, con pochi
dollari di differenza, garantisce un buon colore, un eccellente interpretazione
e la durata di proiezione di un film normale, preferisce i nuovi western B.
La fine dei western
B era quindi questione di poco tempo ancora. Anche la Republic che si era specializzata
nei western musicali, conservò soltanto la serie del cow boy-cantante
Rex Allen.
Gli Allied Artists, già
Monogram, furono l'unica società cinematografica rimasta ancora sulla breccia. Ma il totale di
cinque westen per il
1954,
se paragonato ai 145 per anno di non molto tempo prima, è la dimostrazione più
evidente della crisi, anche se gli Allied Artists fecero tutto il possibile per
ridare ai western di seconda categoria la fama e il successo di una
volta.
Bitter
Creek, The Forty Nine's e The Despeado
sono piccoli westen ma ben fatti nella linea della vecchia tradizione di
Bill Hart e di Tom Ince, con una trama non banale e un interesse mantenuto vivo
sino alla fine. Però, con l'assunzione di John Huston, William Wyler e Billy
Wilder, non soltanto come
registi ma anche in veste di consiglieri e, sotto sotto, di direttori di
produzione, si può star certi che i western B anche presso gli Allied
Artists, abbiano i giorni
contati.
Ciò non vuol dire
che i western B siano scomparsi per sempre e nel modo più assoluto: se
ne vedrà, ogni tanto, qualche apparizione. Per esempio, ci sono, produttori indipendenti come Edward Finney, Jack Schwarts,
Alex Gordon e John Carpenter, i quali contro ogni previsione hanno avuto recentemente
un buon successo con Buffalo Bm in Tomahawk Territory e con The
Lawless. Ma sono casi isolati, che non hanno importanza per la speranza di ripresa dei western B.
Per contro, anche
le ultime notizie confermano che la Universal, la Columbia e gli Allied Artists in modo particolare, e le altre case cinematografiche con minore
ma sempre notevole impegno, stanno preparando il lancio su vasta scala dei "nuovi western
B",
quelli
cioè che non sono e non vogliono essere colossi né propriamente storici, e che
in sostanza conservano le caratteristiche del western minore, con
l'aggiunta però di una durata superiore di proiezione, di una tecnica più
raffinata e puntualizzata nel colore, e di un'accurata scelta di interpreti, tanto da
avvicinarsi piuttosto al western della categoria A. Si vede che
Hollywood ha saputo trarre qualche profitto, quel poco che c'era da imparare,
dalle edizioni più economiche e popolari dei western. Uno degli ultimi grandi
della Universal, Saskatchewan, ricorda molto quelli d'una volta. Nonostante gli
interpreti (Alan Ladd, Shelly Winters), il regista Raoul Walsh, che ai suoi tempi diresse film
passati alla storia del cinema ormai, come The Big Trail e The Dark
Command e l'appropriato commento musicale, può tuttavia fare una certa impressione
solo superficialmente. L'illusione di grandezza è data dalla suggestività dell'ambiente
e del colore, e da un illimitato numero di comparse. Ma a bene considerare, la scena madre, il pezzo forte,
mancano. Anche le scene che
dovrebbero riuscire più emozionanti sono state riprese da lontano, in campi
lunghi, con la macchina
ferma. Infine, in tutto il film, c'è soltanto una scena che si svolge in interni. Quando Alan Ladd
entra sotto la tenda, la macchina da presa rimane fuori; quando Shelly Winters si
ritira nella sua stanza, la macchina da presa si limita a inquadrare dall'esterno
la finestra, e basta. I vecchi maestri del westen, Sam Newfield,
Leslie Selander, Lambert Hillyer e altri ancora, hanno pur insegnato qualcosa, in fatto d'economia,
con i loro poveri western, a buon mercato.
Perciò, se è vero
che i western della categoria superiore hanno talmente influito sui minori, da
schiacciarne la produzione, è anche vero che i piccoli, i poveri western non sono passati
sullo schermo senza lasciare una traccia, un loro ricordo, che è
appunto quella sensazione di freschezza immediata, di vivacità,
di vita insomma, che, se ottenuta anche nei nuovi western, potrà
continuare, sia pure con ben altre pretese, la tradizione in
certo modo gloriosa, lo spirito, delle umili e ingenue leggende,
ormai, dei cavalieri spericolati, irruenti al grido, ch'era già tutto un programma, di
"arrivano i nostri!".
WILLIAM K. EVERSON
CINEMA quindicinale di
divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie Anno VII – 1954 10-25 Dicembre
In apertura: George
O'Brien e Marguerite Churchill nel film di Hamilton MacFadden L'amazzone mascherata (Riders of the Purple Sage). Sotto: Irene Dunne e Richard Dix in Cimarron (I pionieri), 1931.
lunedì 28 ottobre 2019
The Evolution of the Western Movie from 1899 to 1954 - pt. 3
In un estremo
tentativo di salvare il salvabile le altre case di produzione si ridussero ad economie esagerate, quanto più saliva il costo del film. I western di Charles Starrett, della Columbia, eran fatti
in tre giorni e consistevano
nella massima parte di lunghissime aggiunte prese da film precedenti e messe assieme senza rispetto per la
logica degli
avvenimenti
o la verosimiglianza dell'intreccio. Uno dei più gravi errori commessi, nell'ingenua speranza di salvare quanto più si
poteva dell'incasso, fu l'eliminazione dell’ ''arrivano i nostri" finale o “sequenza vertiginosa''. Sin dai tempi in cui Griffith collocò la macchina da presa, meglio che sopra un carrello sopra un'auto per riprendere in corsa la cavalcata dei membri del Ku Klux Klan in The Birth of a Nation, e renderne la atmosfera appropriata, l' “arrivano i nostri” è stato il valido e
indispensabile pezzo forte d'ogni western che si rispetti. La “sequenza vertiginosa" comportava però un cumulo di spese
eccessive.
Molte scene infatti dovevano essere riprese
su strade speciali che permettessero anche la corsa regolare, senza sbalzi, dell'auto con la macchina
da presa
che accompagnava tutta l'azione, tanto è vero che in alcune località erano state costruite
strade apposite. Inoltre il sindacato degli operatori aveva stabilito
tariffe maggiorate per queste riprese. Tutte queste spese vennero perciò eliminate nei western minori, con l'abolizione della scena madre. La ripresa diretta che inquadrava l'azione
vertiginosa dei cavalli in corsa, seguendola - parallelamente - su una macchina allo stesso ritmo di velocità, venne sostituita con un metodo già usato nei primi western economici, il cosiddetto triple pan. In tal caso un'unica macchina da presa
veniva posta in una posizione elevata da cui dominava tutto il campo d'azione. Quando appariva il gruppo degli uomini a cavallo, la " camera”
l'inquadrava e lo seguiva per tutta la durata del passaggio, finché spariva dal campo visivo; poi la “camera" ritornava al punto di partenza e inquadrava il gruppo degli inseguitori fino alla loro scomparsa.
Naturalmente il “campo lungo" o il “medio campo
lungo”
con quella lontananza
dall'azione immediata toglieva ad essa gran parte dell'efficacia e smorzava gli entusiasmi, ma era un'economia. Vincent
Fennelly, che negli ultimi tempi si era particolarmente dedicato alla produzione dei western B, ne fece per gli Allied Artists, almeno trenta in tre anni. Soltanto due
hanno la "sequenza vertiginosa",
e
proprio questi
due, The
Longhorn con Bill Elliot e The Fighting Lawman con Wayne Morris,
furono i migliori nelle loro rispettive serie.
Per un
distributore americano, specialmente negli Stati Uniti del Sud, i western minori
erano pur
sempre
un genere di sicuro rendimento commerciale, ma non tale però da assicurare ancora un certo
guadagno qualora il
costo
di produzione fosse aumentato. Vi era da tener conto, anche, che in America la televisione si faceva sempre
più sentire come terribile concorrente. La TV dopo aver per un certo periodo di tempo, usufruito dei western
minori, magari inserendone una parte anche in altri film (come è avvenuto
negli anni intorno al 1943), aveva organizzato un suo proprio repertorio di western della durata di
trenta minuti. Gene Autry, Roy Rogers, William Boyd nonché altri attori molto
noti hanno abbandonato cosi I'attività cinematografica per dedicarsi esclusivamente alla
televisione. (continua)
WILLIAM K. EVERSON
CINEMA quindicinale di
divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie Anno VII – 1954 10-25 Dicembre
Al centro del collage fotografico in alto:Johnny Mack Brown in Over the Border.
Sotto a destra: Sterling Hayden e Eve Miller in Kansas Paciftc. Attori di western B che hanno abbandonato lo schermo per la TV: Roy Rogers (a sinistra) e Gene Autry (al centro).
Sotto a destra: Sterling Hayden e Eve Miller in Kansas Paciftc. Attori di western B che hanno abbandonato lo schermo per la TV: Roy Rogers (a sinistra) e Gene Autry (al centro).
giovedì 10 ottobre 2019
The Evolution of the Western Movie from 1899 to 1954 pt. 2
Nei primi
trent'anni si poteva contare, per questa categoria minore, su una media annua di 156 western in serie: 8 o più per ogni casa di produzione (ad eccezione della Metro Goldwyn Mayer
che terminò la serie di Tim McCoy poco prima dell'avvento del sonoro. In questo periodo, verso il 1930, si ritirarono da questa speciale produzione anche i fratelli Warner
- che
avevano ottenuta una certa notorietà con le serie di
John Wayne e, più tardi, di Dick Foran - ma tale assenza fu appena avvertita nel complesso dei western B, che erano ancora un affare:
venivano a costare dai dieci ai ventimila dollari e si portavano a termine in meno di una settimana. I western musicali di Gene Autry per
la Republic fecero la fortuna di questa casa
di
produzione.
Nel 1940, i western si potevano dividere
in due categorie ben distinte: da una
parte quelli
grandiosi, che si elevavano ad espressione epica e non avevano un ritmo regolare di produzione: i colossi come Stagecoach e Dodge City; dall'altra,
puntualmente, i modesti filmetti a buon mercato di cinque bobine, che avevano
come protagonisti Buck Jones, Tim McCoy, Johnny Mack Brown, Tom Tyler, George
O'Brien, Tom Keene, Charles Starrett,
Tim Holt, Gene Autry, Roy Rogers, Bill Elliot, Tex Ritter, Buster Crabbe. William Boyd, John Wayne, Ken Maynard, Bob Steele, Bob
Baker, Ray Corrigan, Robert Livingston ed altri ancora - forse il più grande schieramento, che si sia mai verificato nella storia del cinema, di attori veramente
importanti che abbiano lavorato tutti nello stesso tempo. Molti di questi ottimi attori, superstiti delle avventure selvagge del cinema muto,
erano però ormai prossimi al ritiro dallo schermo e vennero sostituiti da nuovi interpreti come John Kimbrough, Eddie Dean, Lash LaRue e Whip Wilson che tentarono di inserirsi nella tradizione
classica dei loro predecessori e lasciarono di sé un ricordo senza infamia, ma anche senza lode.
Dieci anni dopo, nel 1950, il principio della fine s'avvertiva già nell'aria. Ormai la
produzione dei western di categoria B non
dava più quel margine di sicurezza come nel passato. Molte serie erano state perciò eliminate e quelle
che ancora resistevano
sul mercato diminuivano la loro percentuale annua da otto a sei per casa cinematografica. Quasi tutti i mancati guadagni,
riscontrati in questi ultimi anni nell'industria del cinema sono stati attribuiti alla maligna influenza della televisione e dell'eccessivo costo di produzione. Di solito, panico
e isterismo hanno
esagerato
tali
supposizioni, ma nel caso dei western di seconda categoria non si può dire, in coscienza, che tali accuse
fossero ingiustificate, specialmente per quanto riguarda il fattore economico. L'aumento del costo di produzione, riferito ai western B è una realtà: la media di 15.000 dollari per film durante i primi trent'anni, è salita di
recente a
50.000 dollari. E per restare in questa cifra si rende necessaria una rigorosa
economia: il film dev'essere realizzato in uno spazio di tempo ancor più
limitato e bisogna rinunciare alle dislocazioni – per gli esterni - troppo dispendiose, alle costosissime controfigure per le acrobazie pericolose, alle scene di masse. Tutt'al più, quando non se ne può fare a meno, s'inserisce per taluni di maggior risalto qualche pezzo d'un vecchio film. Come risultato di tutte queste economie si ottiene un westen che ha un aspetto familiare
di cose
viste
e manca di
quella corposità, vivacità o irruenza, di quell'impressione di ampio respiro
che avevano invece i western,
se pure a buon mercato, di dieci o quindici anni or sono. La R.K.0., con le sue serie di Tim Holt, è stata l'unica che per un certo periodo di tempo abbia
insistito,
nonostante l'aumento del costo, su una produzione che conservasse i valori, o almeno la solidità
commerciale d'una volta. Ma, malgrado le relative forti spese, alla resa dei conti, gli incassi non
superavano affatto quelli dei film dello stesso genere, prodotti da altre società cinematografiche. Un “sessanta minuti
" di
Tim Holt
costava 90 mila dollari e rendeva come i western
della Monogram o della Republic, che costavano la metà, e che pur erano considerati già un rischio. I western della R.K.O. furono i primi allarmanti segni della crisi. (continua)
WILLIAM K. EVERSON
CINEMA quindicinale di
divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie Anno VII – 1954 10-25 Dicembre
In alto: a sinistra Dustin Farmum e Dick Lareno nella prima edizione di The Squaw Man (1913) di Cecil B. De Mille; a destra Elliot Dexter e Noash Berry nell.a seconda edizione del medesimo film (1918).
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