I REGISTI (senza peli sulla lingua)
ENRICO GUAZZONI
DI EUGEGIO GIOVANNETTI
Prestami la ritorta conchiglia, o tritone di Fontana di Trevi,
perché io ci dia dentro a pieni polmoni e allarghi sulle croscianti acque la
fama di questo buon padre dell’italico cinema, romanissimo cive che gli diè risonanza
oltre Oceano e primo perse le vie all'americano Griffizio che tant’ala stese
sulla nuova arte, la quale dedalea e quasi icarea vuolsi giustamente nomare.
Quanto quest’arte del ciurma debba ai barocchi per lo spirito
e per la romana origine, niuno ancor sa. Ell’ è il perenne metamorfoseo dell'immagine plasmata dal moto, e
puossi ben dire nata in Roma con la celebre statua del cavalier Bernino: Dafne
ramificantesi al corso e sorpresa come eterna essenza travagliata dal moto.
Ma romano fu il cinema per nascimento anche, nel 1913,
quando Enrico Guazzoni diè al mondo Quo
vadis? e Antonio e Cleopatra. Non
la scena teatrale come suolsi immaginare, ma Roma stessa quale immenso scenario creato dai barocchi, influiva su quel nascimento.
Nel dissipato gestire, nell'esagitato brulichio, nel
ventilato drappeggio con cui balenavan le cinematografiche folle intorno ai
loro vecchi eroi, riverberava, ad insaputa degli stessi Guarzoni, non la
ribalta teatrale ma la statuaria barocca di Roma, la vuota e mirifica drammaturgia
solare, sciorinata da quegli scultori a sommo del porticato berniniano,
sull`alto della facciata di San Giovaumi, lungo i parapetti di Ponte
Sant’Angelo, tra le acque di Fontana di Trevi. Questa ventilata sinfonia di Roma,
inaspettata marmorea trasfigurazione del motto “i cenci van sempre all’aria”,
fu l’inavvertita ma onnipresente maestra d'Enrico Guazzoni. Il suo cinema,
romano di pretesto e romanesco-barocco di spirito, si gonfiò, corruscò, crosciò, s'allargò, come la più nuova e la più vasta tra le
fontane di Roma.
ln questa nuova macchina delle meraviglie fu immessa la vena
della sensualità ottocentesca. La nuova ispiratrice segreta del nuovo spettacolo,
era la Venere polputa e callipigea, vagheggiata dalla Roma godereccia dei
funzionarii e dei capigabinetto: quella stessa Venere che, per immagini
varianti ma ugualmente dilettose, arrideva loro dalla fontana del Rutelli e dal
sipario del Brugnoli al Costanzi, dove una baldracca floridissima appariva in una
specie di barbarico trionfo equestre.
Quell'ideale estetico della Venere cicciuta, celebrato ogni
dì e rinfrescato nelle Naiadi del Rutelli all'Esedra, corrispondeva per un lato
perfettamente all'epicureismo romanesco e, per l’alto, anche alla fantasia pittorica
del tritone sensuale Boecklin, romaneggiato a sua volta in quelle sensuali e
folleggianti oceanine. Un gusto vecchio, del resto, che, dall'Ottocento, si
ricongiungeva ancora col Seicento, col barocco galante di qualche stampa dei tempi di Luigi XVI. Ne ricordo una
bellissima in cui son già le naiadi carnose del Boecklin e del Rutelli ma assai
più maestose e languide, assai più Montespan.
Enrico Guazzoni portò nel cinema quest'ideale
romanesco-barocco della bellezza femminile, con quelle Terribili-Gonzales che
fu, per noi ragazzi, l`indimenticabile Cleopatra. Ah, com'racano lontani allora
dall'estetica della “mezza-porzione”, invalsa poi con le dive americane dello jolì! La Cleopatra che Enrico Guazzoni
ci sceglieva era porzione intera, quella fatta ancora pei robusti appetiti,
quella che sognano Ia plebe e gli adolescenti di tutti i secoli. Che fosforescenza
aveva per lg nostre fantasie la didascalia in cui Cleopatra annunciava:
“Antonio, ti ho preparata una notte d’amore”. Che programma!
Enrico Guazzoni
voglia perdonarci se poniamo oggi il freno della dignità al nostro entusiasmo
per la sua Cleopatra: ma siam pronti a confessargli che l’idea soda
ch'eglì aveva d'una diva cinematografica ha ancora la sua potenza e che ne
facciam la prova ogni giorno, quando, girando per Roma in botticella, al
passaggio di qualche formosa Cleopatra, noi, gli intellettuali raffinati, ci
accorgiamo d'avere gli stessi gusti del nostro vetturino.
Questo romanesco-barocco del cinema italiano, quale Enrico
Guazzoni seppe imporlo al mondo sotto pretesto di storica romanità, non mancava
certo d'intuizioni geniali. E della confusione stessa tra romano e romanesco non si può far colpa ad Enrico Guazzoni se essa,
attraverso il barrocco, è ancor oggi inavvertita e lampante in architetti come
Brasini. Il romanesco trova nella sua Roma, bell'e fatto, il più magnifico tra
gli scenarii, in cui è ancora così facile drappeggiare a toga un lenzuolo.
Il cinema italiano, quale il Guazzoni l'educò, fu, in
sostanza, un capolavoro postumo ma non vulgare del genio barocco romano, in
quanto genio corrusco del moto.
Attraverso il genio del moto qualche intuizione
cinematografica del Guazzoni riuscì a forare la scenografia barocca ed a
penetrare nel vivo della vita antica. Assai prima che Fred Niblo l’avesse per
il Ben Hur, egli aveva avuto l’idea della corsa delle quadrighe: un’idea
per cui si tornava veramente ad una romanità palpitante anche se detestabile. Non so quanto in queste rievocazioni
circensi contribuisse la pittura storicizzante ottocentesca (c'ê un celebre
quadro con una quadriga in curia per le vie di Pompei) ma non v’ha dubbio che
la trovata fosse, per gran parte, cinematografica e felice.
Cosa strana, la corsa stupenda era ancor più animatrice nel
suono che nell’immagine: e ce ne accorgemmo nella versione sonorizzata del Ben Hur.
La vita antica aveva tre immagini sonore di cui noi moderni
non sapevamo più ritrovar l’idea: questa delle quadrighe uscenti a turbine dal curcer sul lastricato del circo: quella d’una
flotta rameggiante nella bonaccia: quella del grido cui s’apriva la battaglia,
vero polso sonoro da cui un orecchio esperto misurava il tono spirituale di tutta
un’armata.
Questa delle quadrighe era davvero una sequenza da sonorizzare,
perché nel suono, ancor più che nell'immagine, era il dramma: al contrario di
quel che accade nel nostro mondo in cui la corsa di cavalli è di per sé silenziosa
ed il rumore è tutto esterno. Che senso poteva avere, invece, una
sonorizzazione della Gerusalemme liberata?
Ma il Guazzoni ha sempre amato oltremodo la Gerusalemme
liberata, questa sua così poco significante creatura ch`è stata la
preoccupazione e l’orgoglio di tutta la sua vita. Ci lavorava già nel 1911, l'ha
presentata nel 1917, l'ha sonorizzata nel 1934.
Il Guazzoni ha sempre un po’ avuta la debolezza di non
sentire il mutarsi dei tempi. Nel 1924, quando il cinema americano ci aveva già tolto da gran parte dei
mercati e ci aveva superati nella spettacolosità e nella squisitezza, egli credeva ancora di potere interessare
il mondo col vecchio barocco romanesco, e dirigeva una Messalina.
Lo rivedemmo nel 1932, al primo rifiorire del cinema
italiano, cimentarsi col Dono del mattino:
far cioè del mediocre, se non dal cattivo, teatro forzanesco. Questa
sì ch'era veramente la ribalta, coi lumi ancora a petrolio.
Ma l’uomo è, in sostanza, più agile di quanto paia, e,
qualche volta, sa rimettersi in carreggiata. Il re burlone fu, relativamente,
un rimettersi in carreggiata: un tornare, per quanto possibile, alla pari coi tempi.
Non dico che ci fossero novità in quel film: me ne guarderò
bene. Si rispolverò, per l’occasione, il trenino campestre cameriniano di Figaro
e la sua gran giornata. Ma il teatro, con Armando Falconi, si fece più largo, più ventilato, più brioso. Invece dei lumi a
petrolio, c’erano già le lampadine elettriche.
Negli anni successivi, il Guazzoni inclina all'oleografia
sentimentale, da vecchia parete. E` il tempo dei Due sergenti e del Dottor
Antonio. Vorrebbe mettersi tuttavia in paro, ma mi par che questa volta non
gliela faccia più. Racconta ora le cose ultravventurose. La figlia del corsaro verde e I
pirati della Malesia del Salgari, ma ha un po’ l’aria d'un nonno che non
s'accorga di raccontar favole, che andavan bene, sì, per il figliuolo ma sono già un tantino vecchiotte per il nepote.
Salgari è già superato per i bimbi che giuocano con la mitragliatrice e l'aeroplano
e il carrettino armato.
Non vorrei finire col dire cose sgradevoli ad un uomo che ha
lavorato con gran passione ed ha fatto in trent`anni un terzo appena dei film
che i nostri baldanzosi registi ci scodellano oggi in dieci anni. Enrico Guazzoni non è affatto un uomo della preistoria del nostro
cinema: è un carattere rappresentativo, che ha dato al cinema italiano
un'impronta che non s’è mai del tutto cancellala: intuito della scena, magnificenza,
corruscare di masse. ln un tempo in cui si parla tanto d’un teatro di masse,
bisognerebbe ricordare che questo regista ha creato il cinema italiano mettendo
in primo piano la mass. Che egli fosse superato e che la vera drammaturgia
filmistica nascesse il giorno in cui il cinema avesse messo in primo piano
invece della massa i volti degli eroi e delle eroine, era le com’è fatale che
le arti evolvano dal grandioso allo squisito, dal macchinoso al profondo, dal
teatrale all’intimo. Ma aver cominciato sotto gli auspici solari e avventati
del barocco romano, aver aperto al mondo questo più vero e maggior teatro delle
meraviglie ch’è spettacolo cinematografico, portando del moto e della luce
significa pure qualcosa. Possa o no piacervi Enrico Guazzoni è un personaggio,
un creatore, che appartiene alla storia della civiltà. Nazionale.
Eugenio Giovannetti
Opere di Enrico Guazzoni: Bruto, I Maccabei, Agrippina (1911) – Marcantonio e Cleopatra, Quo Vadis? (1913) - La Gerusalemme liberata (1911-17-31) – Giulio Cesare (1914) - Messalina (1924) – Miriam la sperduta d’Allah (1928) – Il dono del mattino (1932) – La
signorina Paradiso (1934) - Re Burlone
(1935) -
Ho perduto mio marito,
Re di denari, I due sergenti (1936) -- Il
dottor Antonio (1937) - Il suo destino (1938) – Ho visto brillare le stelle (1939) – Antonio Meucci (1940) - La
figlia del Corsaro Verde, l pirati
della Malesia (1941).
film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO
TEATRO E RADIO ANNO V - N. 4 24 GENNAIO
1942 XX
La testata si riferisce al film Via delle cinque lune diretto da Luigi Chiarini e interpretato da
Luisella Beghi, Andrea Checchi, Olga Solbelli (Prdod. Cinecittà, realizz.
artistica C.S C.; distr. Enic)