C'è tutto un quadro di intelligencija russa, soprattutto letteraria, che coltiva da sempre
questa ragioni dello spirito e della vita. E' impossibile prescindere da essa
se si vuol intendere a fondo il messaggio poetico di Šukšin. Il
catalogo che ora ne diamo. sommario e incompleto, v’è appena una prima
indicazione di ricerca per chi voglia approfondire i nessi di questo salutare e
fecondo rapporto tra una certa tradizione letteraria russa e Šukšin; e tra Šukšin scrittore
e Šukšin
autore cinematografico.
Il momento nodale della sua vocazione di autore lo trova al VGIK, alla
scuola di Michail Romm, « autentico uomo di cultura » così lo definisce Šukšin, maestro
di vita oltre che d`arte: « La sua voce sorda, paziente, a volte un po' rauca
›› è la memoria che l'allievo ha lasciato del maestro al momento della sua
scomparsa [in Le film soviétique ››, 1975. n. 9. p. 31) « di un uomo buono e stanco di ripetere agli
altri le verità più elementari. Stanco, ma che non smette di ripeterle. Due di
queste verità - la necessità della bontà e del sapere - erano per lui il tema
principale dell'arte. «Era molto
paziente. Quando sono stato suo allievo non l'ho mai temuto, non ho mai avuto
il rimorso di rubargli il suo tempo. Era molto buono con me e pensavo che ciò
fosse naturale. Poi, quando ho cominciato a capire, ero stupefatto dalla sua
pazienza. E mi è molto dispiaciuto, per esempio, di avergli dato da leggere le mie brutte
novelle. « Ci insegnava a lavorare. A lavorare molto. Tutta la vita. Era da
questo che cominciava il suo insegnamento. Ci ha raccontato quanto lavorava, e con quali difficoltà, LevTolstòj. E per cinque anni ci ha
ripetuto: "Ragazzi, bisogna lavorare" E si è ficcata in me questa
idea che bisogna lavorare, lavorare e ancora lavorare per arrivare forse a
qualcosa. “Bisogna leggere", “bisogna riflettere": erano anche questi
inviti a lavorare. “Provare ancora": sempre la stessa cosa, lavorare e
lavorare. « Anche lui ha lavorato fino all'ultimo giorno. E' cosí che vivono
gli
artisti, ora lo so perfettamente. Soprattutto quando ripenso a tutta la
sua vita. E so con altrettanta chiarezza che il tema principale dell'arte è la
necessità della bontà e del sapere ››.
Il marchio di Romm nella vita di Šukšin
è netto e preciso. Dal maestro non solo apprende un metodo di lavoro, una
proposta estetica e poetica [l'arte come epifania «della bontà e della
sapienza), ma ottiene l'accertamento della propria identità umana. Tre anni
appena dopo aver scritto queste parole Šukšin
morirà. E solo la morte gli ingiungerà di « smettere di ripetere ›› alla gente
le sue « verità elementari ›› con un potere di convinzione che la malattia ha
reso più caparbio e persuasivo. La sua ostinazione, alla fine - per quanto è
vero che ogni autore è postumo di se stesso - la spunta perfino, almeno in
parte, sui burocrati che non han saputo capire il valore e la portata della sua
testimonianza di anticonformismo.
Da Romm dunque, al quale ha dato in visione i suoi racconti, Šukšin riceve
consigli ed esortazioni a insistere in campo letterario. A trent'anni. le sue
prime cartelle gli sono accettate da « NovyiMir ››, la famosa rivista diretta
da .Aleksandr TrifònovicTvardòvskij, che s'era rivelato grande poeta nel 1930,
lui di estrazione proletaria, proprio con una raccolta di liriche sulla
trasformazione della vita della campagna, «La via al socialismo ››. Quasi
sempre prima di uscire in volume i racconti di Šukšin compariranno su questa rivista o sull'altra, « Molodaia 'Gvardija ››. Nel 1963, con il titolo «
Sel'skieìiteli » (t.l. Abitanti di paese), i suoi primi racconti son raccolti in volume.
Due anni piú tardi darà alle stampe il suo primo romanzo, «
Ljub viny » [t.l.: il due ›Ljubavin], che sarà ridotto per lo schermo nel 1972
col titolo La fine dei Liubavin. Nel
1970 esce una seconda raccolta di novelle, «Tam, vdalì ›› (t.l.: Là, lontano).
Passa un altro biennio e compare il suo terzo volume di racconti, intitolati
significativamente « Zemljaki ›› [t.l.: Compaesani,
che è stato ora trascritto per lo schermo dagli amici di Šukšin.
A questo punto l'attività di Šukšin si intensifica in maniera straordinaria.
Testimonia Gerasimov che Šukšin
«possedeva un'inconsueta, inesauribile avidità di lavoro. ll ruolo era
difficile, esigeva una continua presenza. Eppure in ogni minuto libero dalle
riprese, egli scriveva. Scriveva sui pezzetti di carta che gli capitavano sottomano
se non trovava nella tasca il quaderno di appunti. Scriveva velocemente,
temendo che il pensiero gli scivolasse via, gli sfuggisse, si polverizzasse. Ed
ecco che l'idea nasceva, trovava forma verbale, assumeva una precisa intonazione. Soltanto allora
era soddisfatto: ma per questo bisognava fissarla velocemente. Sebbene Šukšin possedesse
una memoria prodigiosa, tuttavia non se ne fidava, sostenendo, e giustamente, che
la letteratura «è una forma d'arte in cui formulare un pensiero appena un po'
approssimativo è in sostanza capovolgere le leggi generali, che si basano sulla
scelta puntuale e sul legame preciso delle parole, in nome della precisione
dell'immagine ›› « llskusstvo kino ››, 1975, 1, cit., p. 148). Continua dunque
a scrivere per l'editoria e per il cinema interpreta film, ne prepara e gira i
suoi. Vedono la luce il romanzo cinematografico « Ja prišel dat' vam volju ›› [t.l.: «Sono venuto a darvi la libertà), nel 1971; e nel '73 la quarta
silloge di novelle, «Charaktery ›› [t.l.: l caratteri) e il racconto cinematografico
«Kalina krasnaja › [t.l.:Il viburno rosso) che diventerà film nel
1974.
Nel '74 chiude con un'altra coppia di volumi di racconti: «
Besedi prjasnoj lune ›› [t.l.: Colloqui al chiar di luna] e « Rasskazy ››
[t.l.: Racconti). Già le intestazioni della produzione letteraria di Šukšin - schiette,
quasi ritrose nella loro semplicità -- sono indicative dell’orientamento di
fondo della sua poetica. Non è solo la salubrità dell`aria, la genuinità della
natura, la franchezza e la saggia bonomia della gente che abita la terra ad avvisare
l'alterità che William Cowper, il pre-romantico inglese, avvertí profondamente
in mezzo ai suoi melanconici terrori sintetizzandola nell'apoftemma “Dío fece
la campagna e l'uomo la città".
Per Šukšin
la città è la residenza della lucida razionalità della programmazione, della
geometria e della standardizzazione. La campagna è il luogo primordiale del
buon senso, del sentimento, dei
moti teneri e bruschi del cuore; è il luogo della
spontaneità e insieme della fedeltà ad un archetipo sociale che fortifica e
rinfranca il carattere dell'uomo e lo scampa dalle seduzioni di un mondo illustrato
ma volubile, facile ma subdolo.
E' questa la nota dominante dei suoi racconti [soprattutto
in « Là lontano ››] e di tutti i suoi film, in particolare dell'inedito da noi Peöki-lavoöki ›(t.l.: Stufe-panchine, 1973].
Non che Šukšin
si lasci imbecherare da quelle che Sinisgalli chiamerebbe le moine della
natura. Šukšin
sente la campagna virilmente come termine di riferimento etico, come sede della
pulizia, non solo ecologica ed atmosferica, ma fisica, psichica e morale.
Pensiamo ad una delle sequenze conclusive di Vaš syn y brat. Il padre e i due figli
sono sulla riva del fiume Katun, antico spettacolo dell'acqua diversa e
impassibile, immagine - per ricordare Melville -dell'inafferrabile fantasma
della vita. Il fiume giudica il vecchio, la vita sua che declina. E il vecchio
giudica i due figli: il piú giovane, Vassia,
che è rimasto fedele alla terra e gli lavora la campagna, e il maggiore, lgnati,
che ha scelto la città e s'è messo bene con la sua palestra di ginnastica per
adulti. ll vecchio, quotando la forza fisica dei due figli, vuole che la
misurino nella lotta, come facevano quand'erano ragazzi. Vassia prevarrà e darà
conferma al padre: il vigore fisico speso in città è un vigore sprecato. Ma
Vassia, il fedele, il buono, il timido Vassia si schermisce: è piú possente, è evidente,
ma non si fida fino in fondo della sua forza, soffre d'inferiorità di fronte
alla vigoria « razionalizzata » del fratello. il confronto non ha luogo. Il padre
è deluso, Vassia rimpiangerà l'occasione perduta.
Ma la sua “superiorità” non viene scalfita dalla prova mancata.
Proprio perché non c’è bisogno di prova. Chi
fatica, chi soffre, quello è superiore: Antòn Pàvloviöc Cèchov registra in
questa fase un decreto esistenziale che nessuno nega. E la terra non accorda
sconti alla fatica. Dà e riprende a misura di come e quanto è servita.
E' il motivo secolare della iustissima tellus: mentre chiede, rende a misura, imparzialmente,
forza, sapienza, bontà.
Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, lugio/agosto 1976