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giovedì 23 gennaio 2014

Quando il giovane cede al vecchio


Uno scossone di natura tellurica ha sovvertito dalle fondamenta il comitato centrale del Cineforum “ Peppuccio Tornatore “ provocando lacerazioni e crisi di coscienza se non di identità. Una frattura insanabile ha diviso in due opposte rive quello che è stato il nucleo dirigenziale e come sempre i giovani hanno allontanato i vecchi. I vincitori per mezzo di un  comunicato molto reticente hanno annunciato che dalle ceneri ancora calde dell’ex Cineforum è nato il  Circolo di Cultura Cinematografica “ Yasujiro Ozu “. Ubaldino ancora ieri presidente del Cineforum,  sgomento, chiedendo asilo al vicino oratorio non ha voluto rilasciare nessuna dichiarazione. Caratozzoli dalla cellula del Partito dove stabilmente staziona ha affermato che una linfa nuova dilaga tra i suoi soci e collaboratori.
A questo punto c’è da chiedersi com’è che questi sedicenti giovani trascendano da Tornatore, simbolo in questi ultimi anni di un cinema esuberante e vigoroso , a Ozu eroe del cinema del passato e geograficamente lontano, solo recentemente scoperto alla visione occidentale!

lunedì 28 ottobre 2013

Kyrie per Ralph, Piggy e Jack

Musatti in un suo lavoro pioneristico: "Cinema e psicoanalisi" (1960) aveva segnalato l'analogia tra sogno e cinema perché i sogni e le immagini filmiche presentano un carattere di realtà, che pur tuttavia non si inserisce nella realtà medesima. La realtà dell'azione cinematografica è per Musatti una realtà presentata, non rappresentata come a teatro, in cui uomini e scene appartenenti al nostro mondo si appropriano di un dato significato, ma perchè quest'altro mondo viene come tale dispiegandosi alla nostra presenza.
Morin (1982, pag. 154), ponendosi lo stesso intento di Musatti di verificare le analogie tra sogno e cinema, osserva che:". . . le strutture del film sono magiche e rispondono ai medesimi bisogni immaginari di quelle del sogno; la seduta cinematografica rivela caratteri para- ipnotici (oscurità, fascino stregato dell'immagine, rilassamento , passività e impotenza fisica).
Ma il "rilassamento" dello spettatore non è ipnosi. . . questi sa di assistere a uno spettacolo inoffensivo, mentre il sognatore crede nella realtà assoluta del suo sogno assolutamente irreale. . . . Così rispetto al sogno. . . il cinema è un complesso di realtà e di irrealtà. . . Più vicino al cinema è il sogno da svegli, anch'esso a cavallo tra veglia e sonno. "
Per Metz (1980 ) il cinema è come per Morin un'unità dialettica tra reale e irreale, e anche per lui lo spettatore, durante la proiezione di un film, si trova in una dimensione mentale, che non è nè di sogno nè di veglia: una situazione intermedia tra le due dimensioni, che egli definisce come uno stato di reverie.
La reverie, secondo Bion (1972 ), è uno stato mentale simile al sogno in cui la madre, identificandosi nel bambino, si lascia trasportare dai ricordi e dall'immaginazione per aiutarlo a dare un senso ai contenuti emozionali ed affettivi proiettati su di lei, come d'altronde un'analista con la sua reverie cerca di aiutare il paziente a dare un significato ai propri. La reverie è inoltre uno dei fattori della funzione alfa, la funzione della mente che, per Bion, consente alle impressioni sensoriali e alle esperienze emotive (elementi beta) di venire trasformate in immagini visive o in immagini corrispondenti a modelli uditivi, olfattivi, ecc ed essere utilizzate per:pensare, sognare, ricordare o esercitare le funzioni intelettuali.
Etchegoyen (1990 ) ipotizza che la reverie di Bion assomigli molto alla sfera dell'illusione di Winnicott (1974, pag. 43), che la definisce come :". . . area intermedia d'esperienza, di cui non si deve giustificare l'appartenenza nè alla realtà interna né alla realtà esterna (e condivisa). . . che per tutta la vita viene mantenuta nell'intensa esperienza, che appartiene alle arti, alla religione, al vivere immaginativo ed al lavoro creativo scientifico".
Queste considerazioni sulla reverie e sulla funzione alfa ci possono, quindi, permettere di affermare che il processo di pensiero necessiti oltre che della riflessione, funzione della mente che trae dalla realtà esterna le valutazioni per operare su di essa razionalmente, anche dell'immaginazione creativa per cogliere gli aspetti affettivi ed emotivi dell'esperienza in cui non si deve giustificare l'appartenenza nè alla realtà interna nè a quella esterna.
Adesso se noi consideriamo la relazione paziente- analista nella condizione di essere compresa come un testo narrativo: letterario, filmico, ecc. , secondo i recenti orientamenti psicoanalitici (Ferro, 1992, 1996), possiamo, credo legittimamente, supporre anche la possibilità opposta; cioè che l'interpretazione di un testo, da parte di uno psicoanalista sia il risultato di un'operazione di pensiero simile a quella che egli adotta nell'analisi di un paziente. Un pensiero sospeso tra coinvolgimento empatico, reverie e riflessione, che per l'esame di un film si sviluppa tra l'azione della simbolizzazione, identificazione con le immagini e quella della razionalizzazione, separazione dalle immagini e analisi delle stesse.
L'attività del prevalere della funzione simbolica nello spettatore viene suggestivamente espressa dai film in cui lo spettatore, improvvisamente, entra per un processo di magia cinematografica nel mondo stesso che sta osservando, e partecipa alla sua azione narrativa; oppure l'inverso come nel film di Woody Allen: "La rosa purpurea del Cairo" in cui l'attore protagonista si materializza nella sala cinematografica per una sorta di evocazione fantastica anch'essa magica da parte di una triste e desolata spettatrice. Mentre quella della razionalizzazione può esprimersi nelle considerazioni e nelle analisi critiche di un medio spettatore attraverso il suo giudizio sulla capacità di recitazione degli attori, l'abilità del registra, il valore degl effetti speciali, la tecnica della fotografia, la qualità della narrazione, ecc. , oppure del cinefilo più sofisticato che per le sue analisi si richiama alle ultime teorie di semiologia del cinema. (Ballauri 1994. a, b)
Il film, "Il Signore delle mosche" di P. Brook, che mi accingo ad esaminare faceva parte di un gruppo di dieci del genere:Cinema e Follia, da me utilizzati come ausilio didattico per un corso di lezioni, tenuto presso la Clinica Psichiatrica dell'Università di Genova , avente come tema:" Psicosi e immaginario cinematografico", ed è quello che più ha stimolato in me un processo di reverie per cercare di rendere pensabile, come psicoanalista, il violento impatto emozionale suscitatomi. I modelli teorici a cui mi sono riferito nella riflessione sul testo filmico, che si è accompagnata alla mia attività di reverie, sono quelli di Bion (1971, 1972) sui gruppi e sulla conoscenza.
"Il Signore delle mosche" è tratto da un romanzo di Golding (1992), premio nobel del 1983, il libro nacquè con l'intenzione dell'autore di scrivere per se stesso e di sviluppare in forma di romanzo le riflessioni che aveva compiuto sui risultati di un esperimento didattico a cui aveva preso parte nella sua scuola.
Su iniziativa del direttore, le classi di IV elementare venivano divise in due gruppi, e mentre uno di loro faceva da arbitro e supervisore, si dibatteva una questione. Un giorno Golding pensò di spingere oltre questo esperimento: decise di uscire dall'aula e di dare alla classe piena libertà.
Le sue pessimistiche previsioni trovarono conferma, fu obbligato ad affrettarsi a rientrare in classe per impedire che la situazione degenerasse nel caos o nella rissa aperta.
Questo avvenimento viene trasformato nella finzione del romanzo e riproposto nel film con fedeltà quasi totale dal regista Peter Brook, in un soggetto di violenza drammatica e sconvolgente.
Brook è soprattutto un registra teatrale, alcuni dei suoi rari film sono trasposizioni teatrali come il Marat- Sade e il Mahabarata.


Analisi del film:Il Signore delle mosche.

TITOLO ORIGINALE:Lord of the flies
: PRODUZIONE G. B. -1963-b/n
REGIA: Peter Brook.
INTERPRETI: James Aubrej, Tom Chapin,
Hugh Edwards, Roger Elwin
(Reperibile in videocassetta).

Un aereo con una ventina di scolari inglesi cade (sembra che stia iniziando una guerra nucleare) su un'isola deserta: i ragazzi dapprima sono uniti, ma poi prende il sopravvento un gruppo che regredisce allo stadio tribale, dedicandisi al culto di una testa di cinghiale, il "Signore delle mosche", eufemismo biblico per Satana. (Breve scheda tratta dal "Dizionario dei Film", a cura di P. Margheriti Ed. Baldini e Castoldi, Milano, 1993)

Sta per scoppiare un conflitto atomico, e la domanda che il film pone immediatamente è questa: sopravviveranno gli uomini e le loro istituzioni di fronte a tale violenza distruttiva?
Sulla spiaggia, dopo essere usciti dalla fitta foresta , incontriamo Ralph e Piggy, che si chiedono se ci sono altri sopravvissuti.
Sembrano due ragazzini riflessivi, una volta si sarebbe detto giudiziosi. Ralph ricorda il padre, autorevole comandante di marina, Piggy la zia. I soli bambini di cui possiamo conoscere qualche informazione intorno alla loro famiglia , rappresentata da un padre o da una zia, che appaiono ai ragazzi figure di riferimento autorevoli da prendere come esempio. Certo Piggy è obeso e affetto da una forma d'asma , ma i conflitti interni di cui potrebbe soffrire non sembrano escludere la sua capacità di osservazione e di giudizio.
Il ritrovamento della conchiglia permette di richiamare gli altri dispersi e ne comprendiamo subito il suo valore simbolico di assemblea.
Poi scorgiamo i ragazzi del coro, che in fila ordinata e cantando il Kyrie arrivano al luogo dell'adunata, marciando sulla spiaggia. Dal gruppo appena arrivato emergono Jack e Simon. Jack è il capoclasse e il capocoro, ma non sembra possedere figure interne autorevoli, infatti si chiede come potranno risolvere il loro problema di sopravvivenza senza adulti. La sua domanda del tutto legittima sembra però troppo ovvia e legata ad una concezione della società molto gerarchica, dove tutto funziona se prima ci sono gli adulti, che insegnano, poi i capiclasse , i capicoro ed infine i ragazzi o i bambini come semplici gregari.
Simon, pur essendo uno studente del coro, risulta diverso dagli altri ragazzi. Sembra più sensibile e delicato di loro , perché appena arrivato nel luogo dell'adunata sviene e poi nella sequenza dell'esplorazione dell'isola è l'unico bambino che con dolcezza accarezza una lucertola e con ammirazione contemplativa osserva un fiore esotico. Jack al contrario esprime un disinteresse e disamore verso ciò che non è immediatamente utilizzabile per un "cacciatore", per lui lo scopo primario è procurarsi del cibo e l'evento piu importante è la scoperta del maialino.
Ritornati dall'esplorazione dell'isola i ragazzi relazionano all'assemblea le scoperte effettuate ed emerge in loro l'orgoglio per l'origine inglese ed aristocratica, che li spinge ad organizzarsi razionalmente. Essi eleggono democraticamente un capo Ralph e decidono la suddivisone funzionale dei compiti per affrontare la sopravvivenza. Pare quindi delinearsi la nascita di un gruppo di Lavoro finalizzato alla collaborazione e al raggiungimento degli obiettivi concernenti la possibilità di salvezza. Ma le paure e le angosce temporaneamente sopite emergono attraverso Perceval, che si fa portavoce della probabile esistenza di un mostro sull'isola. Perceval, come il suo omonimo della ricerca del Graal o come il coro della tragedia greca, non dobbiamo dimenticare che Brook è soprattutto un registra teatrale, è colui che deve porre la domanda, dalla cui risposta dipenderà o meno la salvezza del gruppo. E' come se Perceval ammonisse gli altri bambini in questi termini:"Dobbiamo fare i conti con qualcosa di ignoto, ma che esiste , sta a noi individuare se è all'esterno o dentro di noi. Ha la forma di un mostro perché rappresenta le nostre angosce di bambini sperduti su un'isola deserta senza adulti, mentre è in atto la prospettiva di una guerra atomica, che significherebbe una frattura senza precedenti delle condizioni di convivenza civile antecedenti. Ci troviamo allora di fronte ad una scelta o accettare la frustrazione il dolore di questa nuova realtà per una crescita e maturazione individuale o di gruppo, oppure intraprendere altre vie, e la più terribile sarebbe proprio quella di negare l'origine interna del mostro. "
L'idea di accendere il fuoco per richiamare l'attenzione di eventuali soccorritori, viene accolta dall'assemblea con entusiasmo. Il fuoco, che possiamo considerare in questo contesto il simbolo della luce della ragione e strumento di salvezza, prevale difronte alle angosce sull'esistenza del mostro. Gli occhiali di Piggy, utilizzati come lente che riflettendo il sole accende la paglia, potrebbero anch'essi di "riflesso" rappresentare la percezione e la conoscenza. Notiamo pero che l'utilizzo degli occhiali di Piggy avviene in modo brusco e violento da parte di Jack. E in modo improvviso il fuoco si spegne, impedento la possibilità che venga scorto da un aereo in volo sull'isola.
Il sotto-gruppo specializzato nella caccia, capitanato da Jack con il compito di vegliare il fuoco, troppo coinvolto nel tentativo di catturare un maialino, e quindi spinto dal bisogno immediato di procurarsi il cibo, si dimentica di questa mansione.
Il bisogno immediato di cibo e l'entusiasmo per la caccia conseguente prevalgono sulla necessità di considerare anche l'altra possibilità di sopravvivenza legata al fuoco come segnale d'aiuto, ed espressione altresì della capacità di saper aspettare il soddisfacimento pulsionale, e così di apprendere a "pensare".
Possiamo individuare nell'euforia ipomaniacale dei cacciatori per l'uccisione del maialino, espressa dal canto rude e violento :"Viva la caccia, viva la guerra", un tentativo di difesa di fronte alla consapevolezza dell'angoscia depressiva attraverso la negazione della loro condizione di bambini soli e abbandonati, in balia di pericoli interni ed esterni, che Perceval aveva evidenziato parlando nell'assemblea del mostro.
Possiamo supporre , inoltre, come la rottura di una lente degli occhiali di Piggy da parte di Jack, dopo essere stato rimproverato da lui per aver lasciato spegnere il fuoco, rappresenti un tentativo di attacco alla percezione e al pensiero e quindi alla presa di coscienza della realtà in cui si trovano.
Malgrado questa frattura iniziale, dovuta allo spegnimento del fuoco, il gruppo si ricompone. Jack durante l'assemblea ammette:"sì, abbiamo sbagliato, ma adesso dobbiamo proteggervi dal mostro", e si ripropone come il leader del sottogruppo dei cacciatori.
Percepiamo, però, in questi avvenimenti la possibilità di future e più inquietanti fratture tra una parte ristretta di ragazzi Ralph, Piggy e Simon, che cercano di affrontare la realtà con la riflessione e il pensiero, ed un'altra più numerosa con a capo Jack , che sembra tendere ad organizzarsi come gruppo, dominato dall'assunto di base Attacco e Fuga che necessita per sopravvivere di trovare nemici da attaccare: il maialino, Piggy la coscienza razionale e critica, (il cui nomignolo ci suggerisce un altro maialino) e il mostro.
Il primo tempo del film finisce con Ralph e Piggy che dialogano, mentre è in corso il tramonto sulla spiaggia, preoccupati di non riuscire a controllare l'unità del gruppo, per di più dopo che Perceval ha riproposto l'esistenza del mostro, affermando di averlo visto strisciare mentre usciva dal mare. Notiamo che nel colloquio tra Ralph e Piggy, Simon è presente, ma silenzioso. Il suo silenzio sembra essere dovuto al timore di non essere preso in considerazione , come è avvenuto quando nella risposta a Perceval sul mostro aveva suggerito all'attenzione del gruppo questo pensiero: "Forse siamo soltanto noi che c'è lo immaginiamo".
Osserviamo nella seconda parte del film un crescendo di violenza e distruzione, che culmina con l'uccisione di Simon e Piggy e il tentativo non riuscito nei confronti di Ralph. Un'evoluzione sempre più drammatica verso l'eliminazione nel gruppo dello sviluppo e crescita del pensiero, sia nella sua componente"contemplativa", appannaggio di Simon, che in quella razionale, appannaggio di Ralph e Piggy.
Dopo che il mostro è stato "scoperto" da due bambini e riconosciuta quindi la sua esistenza esterna al gruppo, il gruppo si scinde definitivamente. Da una parte Jack e i cacciatori, che si dipingono il viso come guerrieri selvaggi, divenuti ormai un gruppo, dominato dall'assunto di base Attacco- Fuga, che ha trovato il suo nemico da combattere; dall'altra Ralph e Piggy, che cercano ancora di mantenere il fuoco acceso, un ultimo barlume di ragione, mentre Simon decide di esplorare e di apprendere da un'esperienza diretta se il mostro esiste veramente.
E' molto suggestivo lo stacco ripetuto che Brook effettua, oscillando l'inquadratura sui cacciatori alla ricerca di un altro maialino e sui ragazzi in spiaggia intenti ad occuparsi del fuoco, per sottolineare la contrapposizione tra i due gruppi e la scissione ormai avvenuta.
La colonna sonora intanto ripropone ossessivamente il canto del Kyrie, che ormai non riesce piu a svolgere il suo compito di richiamo ai meccanismi difensivi della formazione reattiva o della sublimazione nei confronti dell'aggressività anale, che si manifesta direttamente con espressioni ormai solo scurrili quali:" Piggy è un sacco di merda", "tu lecchi sempre il culo a Piggy", "gliel'ho infilato nel culo".
Simon dirigendosi verso la montagna per scoprire la verità, incontra la testa di un maialino infissa su una lancia e offerta da Jack al mostro. Si sofferma di fronte a questa in meditazione, come se preavvertisse l'imminente catastrofe, non piu dilazionabile in quanto il gruppo dei cacciatori per esistere come gruppo regolato dall'assunto di base Attacco e Fuga deve identificarsi con l'aggressore (il mostro), il quale a sua volta per esistere necessità di vittime da sacrificare, in un circolo perverso dove viene negata la ragione e il pensiero. I cacciatori infatti, poco dopo, attaccano lo sparuto gruppo di Ralph e Piggy per rubare gli occhiali di Piggy ed iniziare la festa con il pasto tribale del maialino catturato. Ralph e Piggy, avviliti, delusi e affamati si associano a loro, con una partecipazione distaccata, mentre la festa si svolge in un crescendo di danze frenetiche ed indemoniate, dove l'eccitazione raggiunge livelli parossistici, solo in parte attenuati dalla scarica motoria.
Inizia a piovere e a tuonare, Simon dalla foresta sta correndo verso di loro sulla spiaggia per annunciare la scoperta della verità :il mostro non è altro che un pilota morto, arrotolatosi nel suo paracadute, dopo essersi sfracellato sulla roccia, ma scambiato egli stesso per i mostro viene ucciso, infilzato dalle lance di legno.
Dopo queste sequenze drammatiche il gruppo si placa con la convinzione che il mostro si sia trasformato in Simon, per cui ogni presa di coscienza dei sensi di colpa si allontana e viene negata, ma ormai il gruppo identificatosi completamente con il mostro ha bisogno di altre vittime.
La prima è stata Simon personificazione del pensiero intuitivo e contemplativo, la seconda sarà Piggy interprete della coscienza razionale, il cui nomignolo si spoglia di ogni valore simbolico, mentre precipita sugli scogli con ancora in mano la conchiglia. Ed infine Ralph controparte di Piggy, che si salva , dopo essere diventato una preda braccata nella foresta, per l'arrivo dei marinai, sbarcati sulla spiaggia dell'isola in loro soccorso.
Il canto del Kyrie accompagna i titoli di coda come a significare che il Super-Io riprende il controllo sull'Es e si ripropone come tutore dell'ordine, delle istituzioni e della civiltà; ma alla domanda iniziale non possiamo dare una risposta convinta , perché non riusciamo completamente a capire dal contesto narrativo, se la guerra è effettivamente iniziata, è finita o è ancora in corso?   Giuseppe Ballauri


L'originale è qui:

giovedì 24 ottobre 2013

From William Golding to Peter Brook

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE


“ Non avevo bisogno di una sceneggiatura e tutto quello che volevo era una modesta somma di denaro, bambini, una macchina da presa e una spiaggia …se il libro di Goding è un concentrato della storia dell’uomo, la storia della realizzazione di questo film è come un concentrato della storia del cinema, che fa luce su tutte le insidie, le tentazioni e le sofferenze patite a diversi livelli “. Peter Brook


In un’isola dell’oceano indiano precipita un aereo che trasporta bambini nel tentativo di allontanarli da un prossimo conflitto, questa volta nucleare, in Europa; dal Regno Unito erano diretti in Australia. Sono rampolli di gente al potere: nobili, militari, borghesi, insomma ricconi e con i soldi in Svizzera. Provengono da svariati collages con solide basi lutero-calviniste o da esso derivati come anglicani.
Una volta riuniti i piccoli superstiti ed eletto un capo comincia la lotta di prevaricazione da parte del sottocapo, colui che comanda i cacciatori ma soprattutto comanda gli addetti al fuoco, acceso come segnale di avvistamento. E’ davvero una lotta intestina che porta all’annientamento dei più miti e dei più saggi, condotta a termine da coloro che sono ritornati ad uno stato di imbarbarimento sfrenato.
Sul capolavoro di William Golding ,1911 – 1993, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1983, da cui il film è tratto si è detto di tutto e con competenza specifica, lo stesso accadde e continua ad accadere oggi  al film di Peter Brook, un’opera che lascia sbalorditi soprattutto per l’aiuto che il regista ha avuto da Tom Hollyman e Gerald Feil sul piano figurativo.
Quello che mi pare non evidenziato, sia per il romanzo originale sia per il film di Peter Brook, è l’aspetto ludico preferendo mettere l’accento sulla metafora, che i due certamente propongono, col, mondo degli adulti e la progressiva affermazione dei poteri nell’avanzata della civiltà.
Bambini e ragazzi non smettono di giocare, un po’ come avveniva nei piccoli spettatori del cinema Loreto di Platì che dopo aver assistito alle nefande avventure dei grandi, usciti dal cinema, ispirati, cercavano di riprodurle sotto forma di gioco nella fiumara.
Nel romanzo come nel film il male è reale ed il sangue è rosso.

giovedì 10 ottobre 2013

Eugenio, Pricò eTommi

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE

Ho accennato per il film di Luigi Comencini, Voltati Eugenio, a due registi nostrani che hanno lavorato con i bambini: Vittorio De Sica e Kim Rossi Stuart.
I lungometraggi che hanno realizzato e quest’oggi ci interessano sono I bambini ci guardano e Anche libero va bene.
La distanza temporale tra i due è compresa in un arco di tempo di sessanta anni ma  sono pressoché simili nella rappresentazione dell’infanzia.  Pricò e Tommi sono bambini che di fronte agli adulti subiscono la realtà per loro creata.
I loro due papà, un ragioniere contabile ed un operatore alla stedycam,  il primo mite il secondo irascibile, hanno sposato due donne le quali vanno e vengono per i loro motivi …ormonali? Pur sempre le  signore sono legate alle loro creature che assistono a questo andirivieni con i danni che ne conseguono. Pricò spesso piange, Tommi è di solito silenzioso.
La perizia con cui i due piccoli protagonisti sono stati diretti è evidente -  De Sica dirige per la prima volta un bambino e Kim Rossi Stuart dirige per la prima volta  un film -  senza dover ricorrere a specialisti dell’infanzia, specie quando sono soli di fronte alla macchina da presa: Pricò in fuga con la passeggiata sui binari , incontro al treno, schivato all’ultimo momento e Tommi che vaga, senza protezione,  sul cornicione e sul tetto del palazzo dove abita o nel traffico cittadino.
La differenza, al termine dell’azione filmica, è che mentre il ragioniere non resiste e dopo aver collocato il figlio in collegio, si getta dall’ottavo piano,l’operatore trova motivo di sopravvivenza nell’attaccamento sfrenato con il suo bambino.
Nei lavori dei tre registi citati la realtà in cui si trovano i piccoli è molto ben evidenziata: nel film di De Sica, Pricò - l’Italia è in guerra e stanno arrivando gli alleati, sebbene tutto ciò non traspare nel film - si aggira per una Roma primaverile e successivamente è portato in una località balneare; negli anni di Comencini – i primi ’80 – si affacciano invece i conflitti sociali, disorganizzazione e disoccupazione e dei bambini non si accorge nessuno; nella realtà di Kim Rossi Stuart - più vicina a noi – i bambini chattano o sono parcheggiati nelle scuole di danza o in quelle di nuoto come di calcetto.
Eugenio scompare nel fotogramma, Pricò in collegio, Tommi nelle braccia di un delirante padre.

lunedì 23 settembre 2013

Vattene Eugenio

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE

“ Erano loro a darmi il senso, la misura della distruzione morale del paese: i bambini “.
Vittorio De Sica L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1935 – 1959 a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli

   Luigi Comencini ha diretto spesso l’obiettivo della cinepresa verso il mondo dell’infanzia. Prima e dopo di lui altri registi hanno guardato ai bambini: Vittorio De Sica, il buon Peppuccio ed ultimo Kim Rossi Stuart. Il modello per tutti è da ricercare in quello che ancora rimane il capolavoro: Il  monello ( The kid ) di Charlie Chaplin del 1921.
   Di Comencini si ricordano in particolare: Proibito rubare in epoca neorealista, Incompreso a metà degli anni ’60, Un ragazzo di Calabria, successivo all’Eugenio ed anche il celebre Pinocchio confezionato per la TV.
   Nel 1980 quando girò Voltati Eugenio, sceneggiato con Massimo Patrizi, rivolse l’attenzione verso una coppia disastrata di ex sessantottini incapaci di tutto ma sopra ogni cosa di amare. In questo non erano i soli a rifiutare Eugenio; uniti a loro vi erano i genitori della coppia. L’unico che apre gli occhi al bambino e lo scarica nella strada è “ baffo “ ( Memé Perlini ). Tutti si preoccupano, tutti lo cercano ma le attenzioni ed i desideri sono rivolti oltre Eugenio.
   Chiara è la scena che si svolge nella caserma dei carabinieri ( genitori anche loro ) compreso il dialogo tra “ baffo “ ed il maresciallo. Giudicate voi quella realtà ancora immutata; è cambiato solo il modo di registrare i bambini per mezzo di camere: “ baffo “ parla di super otto, oggi si ricorre al digitale.


lunedì 20 maggio 2013

I quasi adatti

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE
Questo gran bel film di Ingmar ve lo propongo con un commento molto appropriato di Leonardo Persia; io aggiungo solo che l'opera in questione di Bergman, con Crisi ( 1945 ) dello stesso Bergman andrebbe inserita in un gruppo comprendente Gioventù perduta ( 1947) di Pietro Germi, I vinti ( 1952 ) di Michelangelo Antonioni e Rebel without a cause ( Giventù bruciata, 1955 ) di Nicholas Ray, ma anche quale anticipatrice del free cinema inglese.

Hamnstad (Città portuale/Città nella nebbia)
regia di Ingmar Bergman (Svezia/1948)
recensione a cura di Leonardo Persia

Dopo i film acquei per la Sveriges Folkbiografer (Piove sul nostro amore, La terra del desiderio), opere sul viaggio come stato dell’essere, Bergman arriva, per stabilizzarsi, a Città portuale (titolo originale) o Città della nebbia (titolo italiano), che segna il ritorno alla Svensk Filmindustri di Crisi.
Entrambi i titoli della pellicola, su soggetto (romanzo) di Olle Lansberg, esprimono un sentimento liquido persistente, si tratti dell’acqua sospesa e condensata della nebbia oppure della struttura posta sul litorale del porto. La nebbia simbolica è quella afferente alla zona profonda e non del tutto a fuoco della psiche. Patina e oscurità, problemi che continuano a essere insolubili. È lo stato brumoso della coppia di amanti protagonisti del film, Berit e Gösta (Nine-Christine Jonsson e Bengt Eklund), il cui passato oscuro e indelebile, costituisce un (re)iterato motivo di sofferenza.
Ma in Bergman il negativo è positivo, così non solo i due si incontrano per via del tentato suicidio della donna al porto, ma è l’approdo-sfida (piuttosto che la fuga inquieta dei vecchi film) a definire l’opera, punto fermo della coppia proletaria, decisa a non lasciarsi travolgere dal disegno scritto della loro esistenza, fino ad allora viaggio perpetuo nella delusione e nel vuoto. «Se vai per mare vedi tante di quelle cose, ma hai sempre la sensazione che stai perdendo qualcosa». Lo dice Gösta, ma potrebbe essere anche il punto di vista di Bergman su una possibile scelta stilistica del suo cinema.
Il regista ricordava il film come quello in cui ebbe modo di sperimentare e apprendere definitivamente la tecnica, in un momento in cui, dopo tanti esercizi estetici più o meno provvisori, il giovane autore auspicava per sé un risultato stilistico definitivo. La vicenda dei due ragazzi adombra un dato autobiografico traslato, una volontà dei personaggi e del cineasta ancora più scoperto che altrove e forse, proprio per questo, meno ispirato e sincero.
Il dato artificioso si coglie nel soggetto in questione, che riprende, nel tentativo di migliorarla, una narrazione assai simile a quella de La terra del desiderio, l’opera primissima fase di cui, fino a quel momento, Bergman era rimasto maggiormente soddisfatto. Come rifacitura ufficiosa di quell’opera, il lavoro svela per primo il gusto del cineasta per la serializzazione, o per la ripresa di situazioni e personaggi, un work in progress di battute e di contesti, su cui poco si è riflettuto.
L’eccentrico autobiografismo si coglie nell’età del protagonista, più o meno la stessa del regista (classe 1918), che lui urla disperato a una prostituta, dopo aver lasciato Berit: «Lo sai quanti anni ho? Ventinove: non ci si crede, eh? Anch’io non riesco a crederci». In quanto al periodo di tempo passato per mare, Gösta riapproda in città otto anni dopo, un anno in più rispetto al protagonista dell’altra pellicola (venuto pure dall’India). Si vuole alludere probabilmente all’anno intercorso tra questo e il precedente film.
Il conflitto del vecchio personaggio con il papà diventa adesso scontro con la mamma da parte della ragazza di cui si l’uomo si innamora. Entrambi i personaggi schiaffeggiano, rispettivamente, padre o madre, genitori rivali che hanno riservato ai figli l’odio per loro stessi. Vi si coglie il risentimento edipico dell’autore, costante esistenziale e del suo cinema.
Non a caso, la scena più bella è un flashback di Berit da piccola, costretta ad assistere alle liti dei genitori. Si sveglia, li osserva, rimane attonita. Il papà la prende in braccio ma la madre cerca di strappargliela via. I due continuano a darsele, ognuno rivendicando per sé la bambina strattonata e stretta tra i due corpi. Quando la poverina riesce a fuggire e nascondersi sotto il letto, abbracciando una bambola (il rifugio bergmaniano nella finzione), ecco la madre pronta a trascinarla per i piedi, buttandole via il giocattolo e mettendosela in braccio, in una violenta ed egoistica simulazione di affetto, ripicca algida nei confronti del marito.
I maschi, nel film, sono deboli, sfuocati, pavidi e insicuri, privi di spessore e personalità, persino da un punto di vista drammaturgico. Sono pettegoli e vuoti, si consideri l’accoglienza che, da un tavolo da gioco, fanno al protagonista appena sbarcato. Il personaggio più interessante è l’amico incupito e deluso di Gosta, una caverna profonda di frustrazione e di isolamento dal mondo (dall’altro sesso), a cui giova probabilmente il rapido accenno riservatogli dallo script. Mantiene un tono misterioso ed economo, che ne esalta il ritratto. Anche nei film precedenti, soprattutto con le coppie, Bergman si era rivelato un maestro nel tratteggiare psicologie cupe e disperate en passant, quasi sempre più riuscite di quelle dei personaggi principali, evidentemente inficiati da residui letterari manieristici.
Nei tratti di quest’uomo si ravvisa ancora l’ambiguità produttiva dei personaggi negativi bergmaniani. È lui, con le sue contraddizioni, a spingere il protagonista, ancora indeciso, tra le braccia dell’amata («Va sempre tutto a rotoli, è tutto orribile. Sempre e solo egoismo» – «Non c’è nulla che non possa durare?» – «Non chiederlo a me» – «E allora a chi?» – «Idiota! Chiedilo alla tua ragazza. Se hai bisogno di stringere una mano, allora stringi la sua. Nessun altro si offre volontario».)
La centralità del personaggio di Berit attesta una volontà dell’autore di soffermarsi sulle figure femminili La ragazza è la vittima sacrificale di una genitrice dura e bigotta, che la precipita in un calvario di assistenti sociali e case di correzione (a gestione femminile), aggravato dalla presenza di altre virago, madri dei fugaci fidanzati della donna, i maschi mosci di cui sopra. La psiche femminile è perlustrata nelle opposte ma complementari sfumature di vittima e carnefice, di sottomissione e alienazione (le scene al riformatorio, tra fumo e droghe), di durezza indotta e di aridità sentimentale.
L’aspetto simbolico dell’acqua condensata definisce pure questo aspetto di involuzione e non sbocco della personalità, un elemento che meritava un maggiore approfondimento, ma che riesce ad essere persuasivo per l’abilità dell’autore nel tratteggiare rapidamente le figure minime e minori di cui si è detto. Sintetiche e affilate le scene di mistificazione religiosa al correzionale. Ma un personaggio come Gertrud, destinata a morire per un aborto clandestino, è una concessione a un cinema di denuncia che non appartiene al regista.
Deciso a fermarsi in uno stile proprio, ma ancora indeciso su quale debba essere questo stile, Bergman spinge adesso il pedale sul dato sociale mutuato dal neorealismo affermatosi anche fuori dai confini italici. Un Rossellini di superficie è il suo modello. Sperimenta la carta degli esterni e interni autentici, porto e cantieri, fabbriche e balere, una sala cinematografica e le stanze occupate dagli operai. La colata nera che caratterizza la bella fotografia di Gunnar Fischer e il dominio armonico della tecnica non bastano. È il debito con il solito realismo poetico di Marcel Carné, e la sostanziale estraneità all’aspetto sociologico delle cose (vedi pure i successivi La vergogna e L’uovo del serpente) a togliere aria all’opera.
Di certo il regista si trova a un bivio, proprio come i due amanti nel finale di Piove sul nostro amore. Ha raggiunto la “felicità” della propria vocazione e tuttavia ne è spaventato. Si legga in tal senso la battuta di Berit: «Penso che sarebbe stato meglio se non ci fossimo incontrati. Ora che so che cos’è la felicità, la vita non potrà che peggiorare».
Il film va preso quindi come programma d’intenti. Vale come ricapitolazione e per l’idea di approdo che ne è alla base. Segna la fine di un incerto quanto promettente (e non privo di pregio) periodo di prove stilistiche. Il film successivo è quello che sancisce, per la critica e lo stesso regista, la nascita di un autore. Prigione sarà indicato come la sua prima opera davvero personale, il primo compiuto tentativo di costruire un proprio mondo delle idee.
l'originale è qui:


giovedì 18 aprile 2013

Sogni ed incubi di Joseph K

OGGI
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" Si è detto che la logica di questa storia è la logica dei sogni e degli incubi ": così si pronuncia Orson Welles al termine della parabola introduttiva animata dalle tavole di Alexander Alexeieff.
In un universo senza tempo, dove solo lo spazio conta, Joseph K viene accusato, arrestato, difeso, processato, per un crimine ignoto, egli stesso aiuta gli inquisitori ad aggravare la sua posizione.
E' un film di immagini sapientemente illuminate, costruite usando landscapes naturali, facciate di palazzoni e architetture ricostruite in studio: stanze con i soffitti bassi, lunghi corridoi e vicoli, depositi pieni di scartoffie, riprese in grandangolo, mantenendo sul tutto quella profondità di campo caratteristica dell'opera di Orson.
Tony Perkins si aggira dentro questi spettacoli con la sua figura longilinea e le mani nodose, usando tutte le sfumature di carattere e di espressioni che il malcapitato K richiede.

martedì 26 marzo 2013

Europa 2013

OGGI
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Ses regards abandonnent la fonction pratique d'une maîtresse de maison qui rangerait les choses et les êtres, pour passer tous les états d'une vision intérieure, affliction, compassion, amour, bonheur acceptation, jusque dans l'hôpital psychiatrique où on l'enferme à l'issue d'un nouveau procès de Jeanne d'Arc : elle voit, elle a appris à voir. [Gilles Deleuze Cinéma 2, 1985: 8-9]

Cosa sarebbe successo se San Francesco, Francesco giullare di Dio, fosse vissuto nell’Europa post-bellica dove si tentava disperatamente di ritornare alla normalità. Sarebbe stato considerato un santo o un pazzo?
Rossellini si pose questa domanda nel film successivo dove affronta l’idea della santità da un diverso punto di vista. Il film racconta il percorso spirituale di una donna che diventa santa in un mondo che non crede più alla santità. Il film si intitola Europa ’51. Ingrid Bergman interpreta il ruolo di una donna inglese di nome Irene Gerard che vive una vita agiata a Roma insieme al marito George e al figlio Michele. Ma succede qualcosa di terribile. Durante i bombardamenti il rapporto tra Irene e Michele era molto profondo ma ora che tutto è tornato alla normalità Michele si sente trascurato e fa di tutto per attirare le attenzioni di Irene. Questo ragazzo cresciuto durante la guerra non sa come vivere in un mondo di pace.
La morte di Michele lascia Irene sola di fronte a se stessa, perde ogni ragione di vita. Il primo che tenta di tirarla fuori dalla depressione è suo cugino Andrea. Andrea, un marxista convinto, prova ad educare Irene, ad aprirle gli occhi sulle miserie del mondo. Questo è l’inizio del cambiamento di Irene …  senza rendersene conto diventa una persona diversa.
Aiuta una famiglia indigente.
La famiglia di Irene è preoccupata.
Torna a far visita alla famiglia che ha aiutato …  festeggia Bruno il figlio tornato a casa. Ama il calore con cui viene accolta da queste persone semplici. E’ una piccola comunità che vive in un quartiere distrutto: nell’appartamento a canto abita una prostituta malvista dai vicini. Irene trascorre gran parte del suo tempo con il ragazzo che le ricorda suo figlio.
Dopo aver aiutato quella famiglia la sua vita cambia per sempre;  non c’era quando suo figlio aveva bisogno di lei, ma ci sarà per tutti coloro a cui serve il suo aiuto.
Rossellini non punta l’attenzione sulla sua trasformazione, il film è puramente oggettivo, quasi privo di uno stile, è come se lo spettatore fosse accompagnato a camminare accanto ad Irene, seguendo il suo processo emotivo.
 Irene passa sempre più tempo nel quartiere e si comincia ad affezionare ad alcuni bambini; fa visita ad una donna che ha adottato molti bambini abbandonati pur avendo tre figli suoi, il suo nome è Passerotto ed è interpretato dalla grande Giulietta Masina, moglie di Fellini.
E’ facile approfittare dell’insaziabile bisogno di aiutare il prossimo di Irene. Accetta di sostituire per una giornata Passerotto in fabbrica. Ma una volta in fabbrica Irene si ritrova a faccia a faccia con una realtà a lei sconosciuta, la noia e l’oppressione che riempiono la giornata di chi è costretto a guadagnarsi da vivere.
Quando quella sera Irene rientra a casa le sembra di vivere in un altro mondo. 
Il marito non capisce cosa le stia accadendo e è convinto che abbia un amante.
Lei decide di dare un taglio netto, lascia il marito e va a vivere in un tugurio, prendendo le distanze dalla sua vita agiata. Ora vede solo i bisogni di chi le sta intorno. Irene si prende cura della prostituta che è sola e sta morendo di tubercolosi.
 E’ solo questione di tempo prima che anche lei cominci ad avere problemi con la legge. La polizia nutre sospetti su di lei, vuole sapere perché una donna rispettabile abbia deciso di vivere con una prostituta.
Per suo marito non ci sono alternative. Le ci vuole del tempo prima di rendersi conto di dove è finita.
Ora capisce che non è importante il luogo in cui vive finché ci sarà gente bisognosa d’aiuto.
I dottori del manicomio la interrogano sui suoi piani , i suoi scopi, le sue idee …  vuole o non vuole ritornare da suo marito.
Rossellini non condanna nessuno in Europa ’51. Non condanna la famiglia di Irene né il marito, né tanto meno i dottori che l’hanno rinchiusa in manicomio, mostra solo come la società imponga dei ruoli che definiscono il confine tra pazzia e normalità. Questa è la scomoda verità del film.
“ La gente oggi sa vivere solo in società non in comunità, lo spirito della società è la legge, quello della comunità l’amore! “ Questa è la frase che Rossellini usò per descrivere questo film sull’Europa del ’51, ma potrebbe essere ovunque, e potrebbe essere ora.
Guardando il film è importante non prestare attenzione alle sue imperfezioni.  Il doppiaggio dei personaggi minori della versione inglese, che è poi la versione ufficiale, è piuttosto approssimativo e questo è il grosso difetto dei film di Rossellini girati in quell’epoca. Fu un periodo critico della sua carriera, aveva sempre più difficoltà a girare film e le sue condizioni peggioravano di giorno in giorno.
Europa ‘51 ha una tale forza espressiva da trascendere i suoi stessi limiti.
Commento di Martin Scorsese su Europa ’51 di Roberto Rossellini tratto dal suo omaggio al cinema italiano intitolato Il mio viaggio in Italia.

giovedì 7 marzo 2013

Gli angeli di Luis Bunuel

OGGI
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E’ sogno?, E’ realtà?
Con Luis Bunuel ci troviamo sempre ignoranti di tutto ed in balia di noi stessi che cerchiamo di dipanare ciò che egli mette in scena. Alle volte non ne veniamo a capo di nulla, definendo la sua opera surreale.
Così lui a proposito del film: “ una metafora, un riflesso inquietante e sincero della vita dell’uomo contemporaneo, una testimonianza sulle preoccupazioni fondamentali del nostro tempo. Le sue immagini, come quelle del sogno, non riflettono la realtà, la creano.”
Questo agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso, è ancora così oggi? O è passato di moda Bunuel?

martedì 12 febbraio 2013

I DUE più beI film della storia del cinema

OGGI
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Mi rammento: una malinconia terribile aveva invaso tutto il mio essere; avevo una gran voglia di piangere; tutto destava in me sorpresa e mi rendeva inquieto. In modo più spaventoso ancora, mi opprimeva la sensazione che tutto era, ai miei occhi, estraneo, e comprendevo benissimo che quell'essere tutto estraneo mi uccideva. Rammento di essermi sottratto a questa prostrazione e a quel buio la sera in cui, giunto a Basilea, misi piede sul suolo svizzero per la prima volta... Mi fece tornare in me il raglio d'un asino sulla piazza del mercato. L'asino mi colpì fortemente e, al contempo, mi piacque molto: e, da quel momento, tutto parve rischiararsi nella mia mente. Fedor Dostoevskij L’idiota
"Ho rispettato John Ford fin dall'inizio. Inutile dirlo, io ho posto molta attenzione alle sue produzioni, e penso che sono influenzato da loro." Akira Kurosawa
Per molto tempo ho stimato che il più bel film della storia del cinema fosse Sentieri Selvaggi (The Searches) realizzato verso la metà degli anni 50 da John Ford.
Inaspettatamente pochi giorni or sono mi sono ricreduto vedendo L’idiota (Hakuchi) del giapponese Akira Kurosawa realizzato qualche anno prima del capolavoro fordiano.
Non mi sono allontanato di molto perché Kurosawa considerava Ford tra i suoi maestri e ne L’idiota la parte figurativa deve molto al maestro di origini irlandesi.
Io i miei feticci li tengo sull’altare e questo lo ripeto fino alla vergogna ed in questa occasione non mi pare il caso di nominarli, ma il culto non ha nulla a che vedere con la rappresentazione reale dei sentimenti e degli stati d’animo.
Per farvi un altro esempio,  uno dei miei scrittori di culto è Raymond (Il grande sonno)Chandler; tuttavia i sentimenti e gli stati d’animo li ho scoperti attraverso Lev Nicolaevic Tolstoj e Fedor Dostoevskij, ed ancora una volta il passo dall’uno agli altri è la distanza tra il pollice ed il mignolo della mia mano.
Fedor Dostoevskij è l’autore de L’idiota romanzo da cui Akira Kurosawa trasse il film che porta lo stesso titolo. L’idiota di Kurosawa risulta essere, pur nella versione finale massacrata dai produttori, il regista ne aveva approntata una che superava le quattro ore di durata,la migliore trasposizione per immagini di un testo scritto. Con grande maestria il regista giapponese ha trasportato l’azione dell’opera di Dostoevskij dalla Russia zarista al Giappone dell’immediato dopoguerra e tutto il lavoro è climatizzato dalla quantità di neve che copre gli esterni del film.
Lev Nicolaevic, il principe Myskin, nobile decaduto, diviene un reduce, Kameda, di Okinawa preso talvolta dagli spasmi del mal caduco.
I nomi dei protagonisti cambiano ma i caratteri di Rogozin, Nastas’ja Filippovna, Aglaia permangono intatti. Come identica è la tensione che agita i personaggi i ogni qualvolta entrano in contatto tra di loro. Nella sua lievità è un’opera che va direttamente al cuore e vi rimane murata.
Quanto ho scritto l’avevo dapprima riservato al film di John Ford e i due film Sentieri Selvaggi e L’idiota coesistono  insieme dentro di me.

Akama: Hai paura di una ragazzina? [riguardo ad Ayako]
Taeko Nasu: Sì. Ho paura perfino di guardarla. Lei è l'incarnazione di tutti i miei sogni. Lei ha... tutto ciò che io ho perduto.
« Adoro Dostoevskij, ma non filmerò mai L'idiota dopo Kurosawa » Andrej Arsen'evič Tarkovskij

lunedì 21 gennaio 2013

Tre nemici amici

OGGI
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Diretto con mano sicura da Hal(Harold e Maud) Ashby, scritto con perizia da Robert(Chinatown) Towne ed infine colorato da Jack (Shining)Nicholson che lo impose come star.

mercoledì 2 gennaio 2013

'55 Chevy vs Pontiac G.T.O.

OGGI
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La retrospettiva dedicata a Robert Bresson termina al Cineforum con l'opera maggiore di un autore americano che riprende lo stile del maestro francese, provare per credere.
La cinepresa attrezzata di lente anamorfica indugia sulla strada e sui personaggi carpendovi gli stati d'animo ed il paesaggio in una storia tipicamente on the road, colorata dalle canzoni westcostiane dell'epoca.
James (Caroline on my mind) Taylor e Warren Oates non escono mai da quell'apparente recitazione che caratterizza il cinema bressoniano.
Mi viene un ulteriore suggerimento:in questo film Monte Hellman coniuga Robert Bresson con l'ausilio di Sam Peckimpah.



lunedì 26 novembre 2012

Ghiaccio su ghiaccio

OGGI
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Catherine Deneuve è glaciale ed elegante come e quanto in Repulsione di Roman Polanski, votata al sacrificio per poter amare un marito che chiede una famiglia. Ma Bunuel non da speranze di nessun genere.

lunedì 5 novembre 2012

Double reel

OGGI
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Dillinger è morto, Marco Ferreri
Fuoco!, Gian Vittorio Baldi

Due film tra loro contemporanei mettono a fuoco un certo disagio sul finire degli anni ’60. Il primo a colori con compostezza;  con foga il secondo, in bianco e nero.
Michel Piccoli, ingegnere, ben vestito, si muove silenzioso in un appartamento del centro storico cittadino ben arredato e ben fornito con una pistola rossa a pois uscita dal restyling di Mario Schifano (proprietario della casa dove furono girate parte delle scene, lo studio ed i salotti; la cucina invece era nella casa di Ugo Tognazzi ).
Mario Bagnato, muratore, probabilmente disoccupato, si muove anch’esso silenzioso in una vecchia casa che si affaccia sulla piazza principale di un paese in provincia di Viterbo, fornito di un arsenale militare.
Vittime di questo rigurgito antisociale sono le due mogli, Anita e Lidia … e  la Madonna.
Michel Piccoli, astutamente finirà a Taiti al servizio di una signorina, Mario Bagnato, da povero Cristo, in carcere su una giulietta dei carabinieri al servizio dello stato.
Ho scritto della foga con cui è girato Fuoco, macchina a mano,  da Gian Vittorio Baldi, Marco Ferreri, invece, la dispensa in quei brani casalinghi girati in 8 mm e proiettati su schermi vari, in modo da creare una bidimensionalità all’interno del film principale.
Qui sotto potete vedere il mio restyling ai due film con Layla di Eric Clapton

lunedì 1 ottobre 2012

Signor tenente i tedeschi

OGGI
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Questo film di Luigi Comencini che oggi il cinema italiano può solo sognarlo lo propongo perchè sto rileggendo per l'ennesima volta Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo che gli scrittori italiani d'oggi possono, anch'essi, solo sognarlo. Il libro lo leggo pensandolo in bianco e nero come il film e se Alberto Sordi non è 'Ndria Cambria, i resti dell'esercito italiano dopo l'otto settembre coincidono.

domenica 16 settembre 2012

Sono scappato da tutto

OGGI
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Sono scappato da tutto. Da mia moglie. Dalla mia casa. Da un figlio adottato. Da un lavoro di successo. Da tutto eccetto le cattive abitudini di cui non riesco a liberarmi. (David Locke)

L’avventura e Deserto (rosso) sono due titoli che ci conducono dentro questo film antonioniano del 1975, la sua opera definitiva.
L’avventura è quella del doppio David - Locke e Robertson –, il deserto è quello reale, africano, e quello metaforico che circonda la vita quotidiana del reporter e del trafficante d’armi, che diverranno un’unica identità e con questa il David sopravvissuto abbraccerà volontariamente, senza grido, la morte.
Questo ultimo titolo del regista ferrarese ci riporta al suo particolare sguardo, fotografico, - arricchito nel finale da un piano-sequenza che dura otto minuti - di riprodurre il paesaggio: l’Emilia ne Il grido, la Sicilia ne L’avventura, l’ovest americano in Zabriskie Point, l’Africa e l’Almeria in questo Professione: reporter.
Un’ultima annotazione, come un ricordo: siamo nella metà degli anni ’70 e Jack Nicolson li sta cavalcando alla grande: L’ultima corvé, Chinatown, Qualcuno volò sul nido del cuculo per citarne alcuni.

La ragazza: Tutti i giorni sparisce qualcuno.
David Locke: Ogni volta che uno esce da una stanza.

Qui sotto il piano sequenza citato



lunedì 3 settembre 2012

Diabolicamente servo

OGGI
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In una invernale swinging London prima maniera, folgorata dalle luci di Douglas Slocombe e tinteggiata dalle musiche raffinatissime di John Dankworth si muovono ( mi viene da scrivere danzano) Dirk Bogarde, Jame Fox, Sarah Miles e Wendy Craig nella prima collaborazione tra Joseph Losey e Harold Pinter che è poi un adattamento di uno sconosciuto romanzo di Robin Maughan. La vicenda è a dir poco umana: la presa del potere di un servo contro il padrone. Questa esperienza servirà al grande Dirk per tratteggiare, dieci anni dopo,  Il portiere di notte. In questo film si muove diabolicamente in un appartamento locato dal giovane, biondo, sessualmente ambiguo, e ricco Tony: ecco ancora una lettura diversa, il  povero contro il ricco.
L’arma di cui si serve Hugo Barrett è la psicologia, con quella frantuma lo status, anche sociale, di Tony, avendone afferrata la natura debole e corrotta.
Non so con quali agganci accosto questo film a quelli successivi di Pier Paolo Pasolini, Teorema del 1968 e Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci del 1972, non credo però di prendere abbaglio.
Un ultima annotazione: Joseph Losey, assieme ad un altro eccellente immigrato, Stanley Kubrick, portò nel Regno Unito una ventata di rinnovamento in quella cinematografia, che sboccerà con le opere dei giovani del free cinema.



mercoledì 22 agosto 2012

Aiutami!

OGGI
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Fuori competizione a Cannes nel 1970 insieme a Tristana di Luis Bunuel è il quinto film di Sidney Pollack ed è un’opera che arriva come un pugno nelle parti basse del corpo. In quei primi anni 70 fece abbastanza chiasso, facendo alzare le quotazioni del regista, il ballo da azione rigeneratrice diventa una manifestazione degradante, per la sua presa di posizione contro il potere rappresentato duramente da Gig Young. Con l’estrema richiesta di Gloria  ( Jane Fonda) risulta anche essere una liberazione da quel potere e da una vita disumana.


martedì 22 maggio 2012

Uomo natura - Natura/uomo

oggi al cineforum Peppuccio Tornatore

Storia di un’iniziazione, canto d’amore pieno di speranza e disperato. Dersu Uzala è l’opera di un emigrante, di un  esiliato e di un clandestino: il suo procedere lento e solenne è lo stesso della memoria quando si concentra sul passato, e pensiamo vedendolo ai film memorabili di altri sognanti viaggiatori, India di Rossellini, Il fiume di Renoir, Zabriskie Point di Antonioni.  Enzo Ungari