domenica 26 gennaio 2020

Emilio "el Indio" Fernandez - Leitmotiv



Questa disorganizzazione narrativa, questa gratuità dell'analisi filmica si ripercuotono su tutta l’impostazione del linguaggio di Fernandez, determinando incertezze stilistiche ed ingenuità sintattiche. Il montaggio di Fernandez è generalmente sconclusionato manca di una base cronologica. Si veda per esempio in Enamorada, la sequenza, potenzialmente stupenda, del coro dei fanciulli nella chiesa. Fernandez escogita lente carrellate sulle volte floreali della chiesa, con accompagnamento del coro: sarebbe bellissimo se alcuni inserti di attacco, non distruggessero, con la loro gratuita brevità, il ritmo della sequenza.  In genere il montaggio di Fernandez tende alle clausole lunghe, ad un ritmo lento, eccessivamente analitico, in linea col ritmo sfilacciato dell'impostazione, narrativa. Donde quel senso di lentezza sciropposa, di freddezza che è caratteristico di tanti film di Fernandez e che è stato unanimemente segnalato dalla critica. In questo ritmo lento si inseriscono poi, oltre a rigonfi dialogici, anche certe preziosità figurative, certe ricerche fotografiche talvolta fini a se stesse f che raggelano ulteriormente il tono del racconto. Questo calligrafismo fotografico (la cui responsabilità è indubbiamente condivisa per buona parte da Figueroa) è forse una delle caratteristiche più appariscenti del cinema di Fernandez e su di esso la critica si particolarmente accanita, traendone tuttavia deduzioni talvolta inesatte. Si è creduto infatti da parte di alcuni che la povertà ritmica di Fernandez e la sua debolezza narrativa derivino appunto da ricerche figurative, mentre secondo noi queste ricerche non rappresentano che il momento culminante e conseguente di una particolare ispirazione, di un particolare abito narrativo, effetto e non causa.
La fotografia di Figueroa è infatti, nel suo complesso e coi suoi limiti, sostanzialmente coerente all'assunto lirico e al temperamento elegiaco di Fernandez. E' una fotografia dolce, languida a volte, che usa volentieri del filtro, ricca di toni sfumati e sfrangiati, una fotografia edonistica che si adegua naturalmente ad un ritmo rilassato di racconto e di montaggio. A nostro avviso Figueroa è però un fenomeno più modesto di quanto generalmente si crede. La sua fotografia deriva da quello standard fotografico che gli americani e francesi hanno derivato, in moneta speciale, dall`espressionismo tedesco e che tende ad effetti chiaroscurali in funzione psicologica. Su questo standard Figueroa innesta poi, conformemente al suo temperamento romantico, ricerche cromatiche, ricorrendo specialmente ad effetti di filtro e di flou; ma sostanzialmente la sua fotografia non differisce molto, come impostazione, da quella d'un Gregg Toland o, se vogliamo, d'uno Schüítan. E ne è la prova The Fugitive in cui il plasticismo di John Ford assimila con tutta naturalezza la fotografia di Figueroa, proprio perché questa fotografia costituisce la naturale conclusione di certe ricerche che Ford aveva condotto con operatori americani. Fra Long Voyage Home, fotografia di Gregg Toland, e The Fugitive, fotografia di Figueroa, non c'è che una differenza di grado, non di direzione.
L'esperienza di Figueroa - che è caratterizzata da un'assoluta mancanza di autosuperamento - si svolge quindi nell'ambito di una maniera, sia pure vivificata da un'eccezionale bravura tecnica, ed è ben lontana dall'originalità inventiva, per citare a caso, d'un Maté o d'un Aldo o, con riferimento proprio al Messico, d'un Tissé. D'altronde è proprio la sua bravura tecnica, non sempre superata in poesia, che finisce talvolta per pesare come un artificio ('l'abuso del filtro, per esempio, o del panfocus).
Anche per Figueroa, del resto, può valere quanto si è detto per Fernandez e cioè che il suo temperamento lirico gli concede scarse attitudini di racconto; cosicché certi artifici e certe forzature (per esempio certi sterili effetti di panfocus) derivano non tanto da acribia fotografica, quanto dallo sforzo di adeguarsi ad esigenze narrative che gli rimangono estranee. La fotografia di Figueroa ci sembra insomma perfettamente coerente alla regia di Fernandez e tale da smentire certe insinuazioni della critica circa un preteso influsso negativo, in senso calligrafico, di Figueroa su Fernandez. Al contrario, ci sembra che le loro personalità siano perfettamente affini: ciò spiega il loro affiatamento divenuto ormai proverbiale.
Del resto tutta l’opera di Fernandez appare, dentro i suoi limiti e le sue incoerenze pregiudiziali, improntata ad una sostanziale coerenza di tutti i suoi elementi.
Anche la recitazione è in linea. E' una recitazione, improntata ad un naturalismo lirico, che raggiunge il suo acme in certi atteggiamenti elementari, in espressioni distese di stati d'animo e che scade invece nella retorica più vieta quando tenta schemi convulsi di azione e di psicologia.
Recitazione estremamente discontinua, che passa dalla pura bellezza dei primi piani di Maria Felix in Enamorada alle insopportabili contorsioni di Dolores del Rio in Las abandonadas. A Fernandez va tuttavia riconosciuto il merito di aver saputo plasmare nell'ambiente provinciale messicano, privo di una tradizione e di un insegnamento recitativi, un nucleo di ottimi attori: Pedro Armendariz, Maria Felix, Columba Dominguez, Maria Elena Marquez. Alcuni di essi si impongono oggi anche all'estero: Pedro Arrnendariz lavora a Hollywood e Columba Dominguez a Cinecittà.
Questi, a grandi linee, i motivi tipici del cinema di Emilio Fernandez: esso ci appare come una singolare avventura sbocciata all'intersezione di civiltà contrastanti e nutrita di esigenze diverse. C’è nella
sua opera una ricerca di cultura e di tecnica tesa ad un esito di istinto e viceversa un fondo primitivo che cerca di chiarirsi e di esprimersi in termini di cultura e di eccellenza tecnica. Da quest’antinomia  costitutiva della sua personalità deriva la contaminazione che Fernandez compie fra i dati genuini della sua ispirazione lirica e la metodica corrente del racconto cinematografico.
Esperienza contrastata quindi, quella di Fernandez, che sotto una apparente facilità di canto cela uno sforzo doloroso di chiarificazione e di maturazione. Esperienza sincera, sofferta.
E' a questa sincerità soprattutto che si affidano gli elementi di una conclusione critica su Fernandez. La sua opera nasce dall'esigenza d'un clima assoluto, umano e geografico, e ci porge la suggestione d'un paesaggio mitico, l’immagine d'una evasione di cui, già prima di Fernandez, S. ,M. Eisenstein e André Breton avevano sentito il richiamo. A questo richiamo ha risposto recentemente sia pure con scarsa sincerità John Ford in The Fugitive. Si accinge ora a rispondervi anche Luis Bunuel.
Nel quadro odierno della produzione cinematografica mondiale ciò che Fernandez ci ha dato finora rimane un'affermazione latente di poesia che, per esplicarsi in pieno, attende, da una parte, una più matura coscienza del proprio temperamento e, dall'altra, una condizione produttiva più propizia ad un libero esercizio d'ispirazione.
Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951

Nota Bibliografica
Per una bibliografia su Fernandez rimane ancora valida quella indicata per il cinema messicano da Mario Verdone in appendice al suo studio «Aspetti del cinema messicano» in «Bianco e Nero» aprile 1949. Ad essa è solo da aggiungere, ch'io sappia, la recensione di Massimo Mida su La Perla («Bianco e Nero ››, giugno 1949) e la già citata recensione di Glauco Viazzi su Enamorada, («Bianco e Nero , settembre 1949) i cui argomenti sono ripetuti anche in un altro scritto di Viazzi: «Il cinema nell'arte e nella vita messicana»  in «Ferrania» n. 7, 1949.
Tutti questi testi sono del genere da leggersi in treno. L'unico di essi che dia, sia pure sommariamente, un apporto concreto di critica è, al solito, quello di G. C. Castello («Infanzia precoce del cinema messicano» in «Cinema» n. s. n. 2, 10 novembre 1948). Dal punto di vista informativo ë interessante lo scritto di André Camp: « Apergus sur le cinéma mexicain ›› in «La Revue du cinéma» n. 15, luglio 1948. Chi volesse poi documentarsi sul clima culturale messicano in cui si è formato il cinema di Fernandez può consultare utilmente, prendendo però le dovute precauzioni, le corrispondenze dal Messico di André Bréton in «Minotaure», Parigi, annata 1939.

In apertura screenshot da The Fugitive, 1947 di John Ford

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