mercoledì 6 maggio 2020

Jean "d'arc" Seberg


 JEAN SEBEBG: LA INSUPERABILE INTERPRETE DI GIOVANNA D'ARCO

 La «ragazza dello Iowa »

 La giovanissima attrice scoperta da Otto Preminger 
riporta successi su tutti i teatrid'Europa - E' stata scelta su 18 mila candidate - In poco tempo si è fatta una fama

Londra, giugno
 AVEVO, spesso pregato vari amici comuni di presentarmi a Graham Green, ma non si era mai verificato che venissimo a trovarci nella stessa città nell'identico periodo di tempo. L’altalena della vita rimescolando nel crogiulo dei miei desideri, non era mai riuscita a distruggere la speranza di potere avere una lunga, interessante conversazione con chi, ancora oggi, rimane uno dei miei autori preferiti. Avevo sempre saputo che prima o poi l’opportunità si sarebbe presentata ed ero fermamente deciso a non lasciarmi sfuggire l'occasione di andare alla scoperta di una personalità umana sulla quale avevo e continuo ad ascoltare estremi, accesi giudizi contrastanti.
L'opportunità si presentò, come di sovente accade inaspettata, un mattino dello scorso marzo in uno dei teatri di posa di Shepperton; ma dopo le rituali convenevoli frasi che seguono ogni presentazione, il silenzio cadde fra noi ed entrambi rivolgemmo la nostra attenzione verso la scena dove sotto l'accecante luce dei riflettori una diciottenne fanciulla riviveva l'intimo eccelso dramma di Giovanna d’Arco con tale sentito radicato tormento e sì forte sublime potenza espressiva, che la finzione si trasformava in realtà e la realtà in arte.
Non avremmo potuto fare altrimenti poiché in quel momento chi risoffriva le fisiche e le spirituali pene della Santa d’Orleans era, a dispetto della giovanissima età e della immatura preparazione tecnica, una grande attrice alla quale ieri Parigi e gli Stati Uniti ed oggi Londra hanno tributato un appassionato trionfo con pochi precedenti; un volto ed un nome che ben presto lo spettatore italiano annovererà fra i suoi favoriti: Jean Seberg.
Ho un amico arabo, che non vedo da parecchi anni col quale ero solito conversare, nei tempi andati, durante le afose, interminabili, eppure rimpiante, ioniche notti. Avevamo un punto in contrasto e parecchio in comune ma toccare quel punto significava fare l'alba sui gradini del sagrato o sulla prua di una barca. A parlare ero, per lo più io: El Amhed stava ad ascoltarmi per poi invariabilmente ripetere: «Dipende ...». Correvo a dissetarmi ad una fontana davo fondo al pacchetto delle sigarette e ripartivo all'attacco.  «Ascolta, figlio di un cammello - gli dicevo -, non puoi prendere un uomo o una donna che non abbiano mai recitato in vita loro e pretendere che ti diano una esatta interpretazione dell’Amleto o dell'Elettra, dell'Osvaldo di Ibsen o della Saint Joan di Shaw. La vocazione non è sufficiente: occorrono mesi o anni di studio».
Quando per la prima volta lessi che Otto Preminger aveva bandito un concorso per scegliere la nuova Giovanna d'Arco e che al concorso si erano presentate circa 18 mila candidate, come innumerevoli altri, sorrisi e dissi: pubblicità. Più tardi, quando egli si accinse ad ascoltare alcune migliaia di candidate fui assalito da un timido dubbio, per poi chiedermi, subito dopo, su quale esperta attrice del teatro inglese o americano sarebbe caduta la scelta. Al contrario arrivò la notizia che la scelta di Preminger era caduta su una sconosciuta ragazza dello Iowa, una certa Jean Seberg. Mi chiesi cosa avesse potuto spingere uno dei migliori registi e produttori il quale ha dato allo schermo un intramontabile classico con «L'uomo dal braccio d’oro» e fra gli altri suoi eccellenti «Carmen Jones», «La luna era blu» di fama mondiale, a scomodare Bernard Shaw, a chiedere a Graham Green di adattare il lavoro per le esigenze cinematografiche ad includere nel «cast» attori come Richard Widmark, John, Gielgud, Richard Todd e tanti altri, la cui bravura aveva avuto il suggello dello applauso delle platee di almeno tre continenti, per poi andare ad affidare il ruolo principale e nello stesso tempo il più difficile aduna inesperta ragazza americana.
Pensai al mio amico arabo, poi con quella caparbietà che mi viene dal granito del mio Aspromonte scossi il capo e dissi: follia. Follia ripetetti, quando alcuni corrispondenti stranieri mi dissero che Jean Seberg aveva tutte le doti per oscurare le precedenti interpretazioni della Falconetti e della Bergman.
Ne rimasi doppiamente sorpreso. Di solito quelli del teatro non amano le inesperte promesse della cinematografia› e per di più gli attori inglesi sono portati a credere che un interprete di Shakespeare di Shaw o di Oscar Wílde, non potrà mai raggiungere la perfezione se non nato sotto il grigio cielo dell’isola britannica o, per lo meno, non abbia fatto il suo lungo tirocinio in una delle rinomate scuole di recitazione di Londra.
Decisi di andare a Shepperton e telefonai a Bill Batchelor. Bill è il migliore Publicity Director, sempre in viaggio, sempre impegnato con un nuovo film o un nuovo lavoro teatrale da lanciare; ma fui fortunato: lo rintracciai alla prima chiamata telefonica e gentile come sempre oltre a lasciarmi il «passo» m'invitò a colazione. Durante la colazione presi una cartolina e l’indirizzai ad El Ahmed. «Il miracolo è accaduto: Jean Seberg nella Saint Joan di Shaw, Green, Preminger.» Non ho ancora ricevuto alcuna risposta; probabilmente il mio amico arabo è fuori sede; ma so fin d'ora cosa mi dirà «Allah è grande! Allah è giusto!»
Ho conversato a lungo con Jean Seberg, mentre gli elettricisti e gli operai preparavano la scena. Fuori della luce dei riflettori la personalità di questa giovane donna nulla perde del suo fascino. I grandi, chiari, bellissimi occhi magnetici continuano a brillare come arsi da una perenne febbre spirituale ed il volto continua ad esprimere con incisiva forza magica i brillanti pensieri della sua non comune intelligenza ed i sentimenti che travagliano o accendono il suo nobile cuore di fanciulla sensitiva; la quale ancor oggi ,dopo gli unanimi riconoscimenti e i successivi trionfi al di qua e al di là dell'oceano conserva il raro dono divino della semplicità.
Renzo Pettè
GAZZETTA DEL SUD, Domenica 18 Giugno 1957

Nota - Renzo Pettè, calabrese, è stato l'autore di un romanzo ormai dimenticato che per titolo aveva Un ponte sullo stretto pubblicato da Gastaldi Editore in Milano nel 1953. Di lui si è perso ogni traccia. Questo testo lo stabilisce a Londra nella metà degli anni '50.

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