JEAN SEBEBG: LA INSUPERABILE INTERPRETE DI GIOVANNA
D'ARCO
La «ragazza dello Iowa »
La giovanissima attrice scoperta da Otto
Preminger
riporta successi su tutti i teatrid'Europa - E' stata
scelta su 18 mila candidate - In poco tempo si è fatta una fama
Londra, giugno
AVEVO, spesso pregato
vari amici comuni di presentarmi a Graham Green, ma non si era mai verificato che venissimo a trovarci nella stessa città nell'identico
periodo di tempo. L’altalena della vita rimescolando nel crogiulo dei miei
desideri, non era mai riuscita a distruggere la speranza di potere avere una
lunga, interessante conversazione con chi, ancora oggi, rimane uno dei miei
autori preferiti. Avevo sempre saputo che prima o poi l’opportunità si sarebbe presentata ed ero
fermamente deciso a non lasciarmi sfuggire l'occasione di andare alla scoperta
di una personalità umana sulla quale avevo e continuo ad ascoltare estremi,
accesi giudizi contrastanti.
L'opportunità si presentò, come di sovente accade inaspettata,
un mattino dello scorso marzo in uno dei teatri di posa di Shepperton; ma dopo
le rituali convenevoli frasi che seguono ogni presentazione, il silenzio cadde
fra noi ed entrambi rivolgemmo la nostra attenzione verso la scena dove sotto
l'accecante luce dei riflettori una diciottenne fanciulla riviveva l'intimo
eccelso dramma di Giovanna d’Arco con tale sentito radicato tormento e sì forte sublime potenza espressiva, che
la finzione si trasformava in realtà e la realtà in arte.
Non avremmo potuto fare altrimenti poiché in quel momento
chi risoffriva le fisiche e le spirituali pene della Santa d’Orleans era, a
dispetto della giovanissima età e della immatura preparazione tecnica, una
grande attrice alla quale ieri Parigi e gli Stati Uniti ed oggi Londra hanno
tributato un appassionato trionfo con pochi precedenti; un volto ed un nome che
ben presto lo spettatore italiano annovererà fra i suoi favoriti: Jean Seberg.
Ho un amico arabo, che non vedo da parecchi anni col quale
ero solito conversare, nei tempi andati, durante le afose, interminabili,
eppure rimpiante, ioniche notti. Avevamo un punto in contrasto e parecchio in
comune ma toccare quel punto significava fare l'alba sui gradini del sagrato o
sulla prua di una barca. A parlare ero, per lo più io: El Amhed stava ad
ascoltarmi per poi invariabilmente ripetere: «Dipende ...». Correvo a
dissetarmi ad una fontana davo fondo al pacchetto delle sigarette e ripartivo
all'attacco. «Ascolta, figlio di un
cammello - gli dicevo -, non puoi prendere un uomo o una donna che non abbiano
mai recitato in vita loro e pretendere che ti diano una esatta interpretazione
dell’Amleto o dell'Elettra, dell'Osvaldo di Ibsen o della Saint Joan di Shaw.
La vocazione non è sufficiente: occorrono mesi o anni di studio».
Quando per la prima volta lessi che Otto Preminger aveva
bandito un concorso per scegliere la nuova Giovanna d'Arco e che al concorso si
erano presentate circa 18 mila candidate, come innumerevoli altri, sorrisi e
dissi: pubblicità. Più tardi, quando egli si accinse ad ascoltare alcune
migliaia di candidate fui assalito da un timido dubbio, per poi chiedermi,
subito dopo, su quale esperta attrice del teatro inglese o americano sarebbe
caduta la scelta. Al contrario arrivò la notizia che la scelta di Preminger era
caduta su una sconosciuta ragazza dello Iowa, una certa Jean Seberg. Mi chiesi
cosa avesse potuto spingere uno dei migliori registi e produttori il quale ha
dato allo schermo un intramontabile classico con «L'uomo dal braccio d’oro» e fra gli altri suoi eccellenti «Carmen
Jones», «La luna era blu» di fama mondiale, a scomodare Bernard Shaw, a
chiedere a Graham Green di adattare il lavoro per le esigenze cinematografiche
ad includere nel «cast» attori come Richard Widmark, John, Gielgud, Richard
Todd e tanti altri, la cui bravura aveva avuto il suggello dello applauso delle
platee di almeno tre continenti, per poi andare ad affidare il ruolo principale
e nello stesso tempo il più difficile aduna inesperta ragazza americana.
Pensai al mio amico arabo, poi con quella caparbietà che mi
viene dal granito del mio Aspromonte scossi il capo e dissi: follia. Follia
ripetetti, quando alcuni corrispondenti stranieri mi dissero che Jean Seberg
aveva tutte le doti per oscurare le precedenti interpretazioni della Falconetti
e della Bergman.
Ne rimasi doppiamente sorpreso. Di solito quelli del teatro
non amano le inesperte promesse della cinematografia› e per di più gli attori
inglesi sono portati a credere che un interprete di Shakespeare di Shaw o di Oscar
Wílde, non potrà mai raggiungere la perfezione se non nato sotto il grigio
cielo dell’isola britannica o, per lo meno, non abbia fatto il suo lungo
tirocinio in una delle rinomate scuole di recitazione di Londra.
Decisi di andare a Shepperton e telefonai a Bill Batchelor. Bill
è il migliore Publicity Director, sempre in viaggio, sempre impegnato con un nuovo film o un nuovo
lavoro teatrale da lanciare; ma fui fortunato: lo rintracciai alla prima
chiamata telefonica e gentile come sempre oltre a lasciarmi il «passo» m'invitò
a colazione. Durante la colazione presi una cartolina e l’indirizzai ad El Ahmed.
«Il miracolo è accaduto: Jean Seberg nella Saint Joan di Shaw, Green,
Preminger.» Non ho ancora ricevuto alcuna risposta; probabilmente il mio amico
arabo è fuori sede; ma so fin d'ora cosa mi dirà «Allah è grande! Allah è
giusto!»
Ho conversato a lungo con Jean Seberg, mentre gli
elettricisti e gli operai preparavano la scena. Fuori della luce dei riflettori la personalità di questa giovane donna nulla
perde del suo fascino. I grandi, chiari, bellissimi occhi magnetici continuano
a brillare come arsi da una perenne febbre spirituale ed il volto continua ad
esprimere con incisiva forza magica i brillanti pensieri della sua non comune
intelligenza ed i sentimenti che travagliano o accendono il suo nobile cuore di
fanciulla sensitiva; la quale ancor oggi ,dopo gli unanimi riconoscimenti e i
successivi trionfi al di qua e al di là dell'oceano conserva il raro dono
divino della semplicità.
Renzo Pettè
GAZZETTA DEL SUD, Domenica 18 Giugno 1957
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