È la prima volta in Limelight (Luci della ribalta) che in un film di Charles Chaplin il
protagonista muore. Ha successo finalmente ma
muore. Negli altri, correva da insuccesso a insuccesso, la speranza chiamava la
vita ed era la stessa vita. Sul valore della vita, l'eroe di Chaplin non aveva
neppure il tempo di riflettere, era giovane, prendeva quello che poteva. Erano
tempi di miseria ma il mondo era ricco. In quasi tutti i film di Chaplin è l'idea
di una immensa ricchezza che si spreca; soltanto che essa non tocca al protagonista
se non per caso o errore. Del resto, egli non fa conto di che cosa sia la ricchezza,
non la valuta, non la invidia, non la desidera neppure; è un concetto che non
gli entra nella mente; essa è lontana da lui come è lontana la luce del sole che
lo illumina e lo scalda; ne profitta ma non ne misura la forza e tanto meno il
mistero.
In genere, nei film di Chaplin
non c'è rivolta né critica sociale; le si trova in Monsieur Verdoux, un film velleitario del falso o
ingenuo intellettualismo degli istintivi, ma non 'nel resto. L'eroe di Chaplin
accetta la società quale è, e anzi
cerca di inserirvisi. Soltanto che è maldestro, buffo, impresentabile. C'è una
differenza di razza tra lui e il detentore della ricchezza e della fortuna, in
genere tardo se non stupido, in cui l’educazione è una forma di debolezza; e
nei momenti in cui è generoso, pazzo o distratto o ubriaco. L'eroe di Chaplin è
un errante e un vagabondo che non riesce, con tutta la sua buona volontà, a inserirsi
in un sistema. A modo suo, sogna sempre la fortuna. La vita è una selva di
persone che egli capisce, sì, con le loro debolezze e magagne, con una
fondamentale inconsistenza, solidi per complicità, ma cui egli non riesce ad
adeguarsi. C’è molto disprezzo nel modo con cui 'l'eroe di Chaplin vede la
vita. Egli può disprezzare anche se stesso per il suo stato sociale ma non per
le sue possibilità. Si disprezza nella sua presenza contingente ma non per
quello che potrebbe essere. Gli altri li disprezza per quello che sono, nel
loro carattere immutabile e nel loro atteggiamento fisso. Se mai, le maschere
sarebbero loro, i regolari, non lui, l’irregolare. Essi sono la società, e
questa società bisogna vincerla, adeguarvisi sia pure ingannandola più o meno ingenuamente. I potenti,
in Chaplin, sono in genere anche fisicamente schiaccianti, grossi animali
sopravvissuti alla preistoria dell'uomo: sono i violenti e i malvagi e gli
avari e gli ingenerosi al confronto di un prodotto più debole ma più
interessante della civiltà: l'uomo dotato di intelligenza e di umanità, starei
per dire l’intellettuale. E Ulisse contro Polifemo, Davide contro Golia. Del
tipo debole e scaltro, Chaplin ci presenta spesso un altro lato del carattere:
l’incapacità di reggere a una fortuna grande o piccola che sia, il fatto di
tradirsi diventando più goffo e più inopportuno; è un nuovo fallimento, e si
ricomincia daccapo.
Corrado Alvaro su:« Il
Mondo», 3 gennaio 1953
In apertura - 1944: Invecchiato, dignitoso, in apparenza impenetrabile, Charlie Chaplin si reca al processo intentato da Joan Berry per il riconoscimento di paternità di una figlia . Attorno a lui non è più la folla entusiasta che lo idoleggia da trent'anni. Egli è solo.
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