domenica 24 maggio 2020

La poesia di Limelight

Limelight si svolge in gran parte attraverso una vicenda affidata alla finzione teatrale. I numeri di varietà che vi sono inseriti, il sognato incontro di primavera con quel piumino da spolverare che diventa un mazzo di fiori; il numero del domatore di pulci; la canzone della sardina; il duetto finale con Buster Keaton, non sono tanto ritorni a motivi cari a Chaplin per fare spettacolo, quanto modi di proiettare la vicenda reale in una simbologia evidente, la fortuna e la sfortuna delle illusioni che offre il teatro. Vien fatto di notare che in passato, in molte scene comiche di questo genere, la truccatura di Chaplin era piuttosto amabile, la maschera cara an- che ai bambini. In Limelight, la truccatura non nasconde la faccia reale dell'uomo che lotta, trafelata e travagliata dalle competizioni con la vita, disperata, vendicativa. E un Chaplin che strappa il velo delle illusioni e mostra il viso dell'uomo sofferente che lotta per adempiersi. La poesia di quella finzione che è il teatro, cui questo film è il maggiore omaggio che fino ad ora abbia dato il cinema, è una delle doti più attraenti di Limelight. Il retroscena, la pedana del palcoscenico, la ribalta, sono in questo film paesaggi veduti con l'occhio di chi ne conosce le ore e i momenti come d'un paesaggio natale. E il paese di Chaplin. E la poesia che si leva dalla danza piena di trepidazione di Teresa, sulla pedana lucida come l'asfalto, mentre il suo creatore e amico e innamorato e padre trema dietro le scene, è il canto d'una vita che comincia, e che sotto il giudizio degli uomini, accigliato e infine vinto, sente di essere entrata
 come una forza nuova nel mondo, a prendere il posto di chi cade nella lotta. La conquista di niente altro che del diritto alla vita.
CORRADO ALVARO « Il Mondo», 3 gennaio 1953

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