mercoledì 8 marzo 2017

Genesi di un narratore

C'è tutto un quadro di intelligencija russa, soprattutto letteraria, che coltiva da sempre questa ragioni dello spirito e della vita. E' impossibile prescindere da essa se si vuol intendere a fondo il messaggio poetico di Šukšin. Il catalogo che ora ne diamo. sommario e incompleto, v’è appena una prima indicazione di ricerca per chi voglia approfondire i nessi di questo salutare e fecondo rapporto tra una certa tradizione letteraria russa e Šukšin; e tra Šukšin scrittore e Šukšin autore cinematografico.
Il momento nodale della sua vocazione di autore lo trova al VGIK, alla scuola di Michail Romm, « autentico uomo di cultura » così lo definisce Šukšin, maestro di vita oltre che d`arte: « La sua voce sorda, paziente, a volte un po' rauca ›› è la memoria che l'allievo ha lasciato del maestro al momento della sua scomparsa [in Le film soviétique ››, 1975. n. 9. p. 31)  « di un uomo buono e stanco di ripetere agli altri le verità più elementari. Stanco, ma che non smette di ripeterle. Due di queste verità - la necessità della bontà e del sapere - erano per lui il tema principale dell'arte.  «Era molto paziente. Quando sono stato suo allievo non l'ho mai temuto, non ho mai avuto il rimorso di rubargli il suo tempo. Era molto buono con me e pensavo che ciò fosse naturale. Poi, quando ho cominciato a capire, ero stupefatto dalla sua pazienza. E mi è molto dispiaciuto, per esempio, di avergli dato da leggere le mie brutte novelle. « Ci insegnava a lavorare. A lavorare molto. Tutta la vita. Era da questo che cominciava il suo insegnamento. Ci ha raccontato quanto lavorava, e con quali difficoltà, LevTolstòj. E per cinque anni ci ha ripetuto: "Ragazzi, bisogna lavorare" E si è ficcata in me questa idea che bisogna lavorare, lavorare e ancora lavorare per arrivare forse a qualcosa. “Bisogna leggere", “bisogna riflettere": erano anche questi inviti a lavorare. “Provare ancora": sempre la stessa cosa, lavorare e lavorare. « Anche lui ha lavorato fino all'ultimo giorno. E' cosí che vivono gli
artisti, ora lo so perfettamente. Soprattutto quando ripenso a tutta la sua vita. E so con altrettanta chiarezza che il tema principale dell'arte è la necessità della bontà e del sapere ››.
Il marchio di Romm nella vita di Šukšin è netto e preciso. Dal maestro non solo apprende un metodo di lavoro, una proposta estetica e poetica [l'arte come epifania «della bontà e della sapienza), ma ottiene l'accertamento della propria identità umana. Tre anni appena dopo aver scritto queste parole Šukšin morirà. E solo la morte gli ingiungerà di « smettere di ripetere ›› alla gente le sue « verità elementari ›› con un potere di convinzione che la malattia ha reso più caparbio e persuasivo. La sua ostinazione, alla fine - per quanto è vero che ogni autore è postumo di se stesso - la spunta perfino, almeno in parte, sui burocrati che non han saputo capire il valore e la portata della sua testimonianza di anticonformismo.
Da Romm dunque, al quale ha dato in visione i suoi racconti, Šukšin riceve consigli ed esortazioni a insistere in campo letterario. A trent'anni. le sue prime cartelle gli sono accettate da « NovyiMir ››, la famosa rivista diretta da .Aleksandr TrifònovicTvardòvskij, che s'era rivelato grande poeta nel 1930, lui di estrazione proletaria, proprio con una raccolta di liriche sulla trasformazione della vita della campagna, «La via al socialismo ››. Quasi sempre prima di uscire in volume i racconti di Šukšin compariranno su questa rivista o sull'altra, « Molodaia 'Gvardija ››. Nel 1963, con il titolo « Sel'skieìiteli » (t.l. Abitanti di paese), i suoi primi racconti son raccolti  in volume. 
Due anni piú tardi darà alle stampe il suo primo romanzo, « Ljub viny » [t.l.: il due ›Ljubavin], che sarà ridotto per lo schermo nel 1972 col titolo La fine dei Liubavin. Nel 1970 esce una seconda raccolta di novelle, «Tam, vdalì ›› (t.l.: Là, lontano). Passa un altro biennio e compare il suo terzo volume di racconti, intitolati significativamente « Zemljaki ›› [t.l.: Compaesani, che è stato ora trascritto per lo schermo dagli amici di Šukšin.
A questo punto l'attività di Šukšin si intensifica in maniera straordinaria. Testimonia Gerasimov che Šukšin «possedeva un'inconsueta, inesauribile avidità di lavoro. ll ruolo era difficile, esigeva una continua presenza. Eppure in ogni minuto libero dalle riprese, egli scriveva. Scriveva sui pezzetti di carta che gli capitavano sottomano se non trovava nella tasca il quaderno di appunti. Scriveva velocemente, temendo che il pensiero gli scivolasse via, gli sfuggisse, si polverizzasse. Ed ecco che l'idea nasceva, trovava forma verbale, assumeva una precisa intonazione. Soltanto allora era soddisfatto: ma per questo bisognava fissarla velocemente. Sebbene Šukšin possedesse una memoria prodigiosa, tuttavia non se ne fidava, sostenendo, e giustamente, che la letteratura «è una forma d'arte in cui formulare un pensiero appena un po' approssimativo è in sostanza capovolgere le leggi generali, che si basano sulla scelta puntuale e sul legame preciso delle parole, in nome della precisione dell'immagine ›› « llskusstvo kino ››, 1975, 1, cit., p. 148). Continua dunque a scrivere per l'editoria e per il cinema interpreta film, ne prepara e gira i suoi. Vedono la luce il romanzo cinematografico « Ja prišel dat' vam volju ›› [t.l.: «Sono venuto a darvi la libertà), nel 1971; e nel '73 la quarta silloge di novelle, «Charaktery ›› [t.l.: l caratteri) e il racconto cinematografico «Kalina krasnaja › [t.l.:Il viburno rosso) che diventerà film nel 1974.
Nel '74 chiude con un'altra coppia di volumi di racconti: « Besedi prjasnoj lune ›› [t.l.: Colloqui al chiar di luna] e « Rasskazy ›› [t.l.: Racconti). Già le intestazioni della produzione letteraria di Šukšin - schiette, quasi ritrose nella loro semplicità -- sono indicative dell’orientamento di fondo della sua poetica. Non è solo la salubrità dell`aria, la genuinità della natura, la franchezza e la saggia bonomia della gente che abita la terra ad avvisare l'alterità che William Cowper, il pre-romantico inglese, avvertí profondamente in mezzo ai suoi melanconici terrori sintetizzandola nell'apoftemma “Dío fece la campagna e l'uomo la città".
Per Šukšin la città è la residenza della lucida razionalità della programmazione, della geometria e della standardizzazione. La campagna è il luogo primordiale del buon senso, del sentimento, dei
moti teneri e bruschi del cuore; è il luogo della spontaneità e insieme della fedeltà ad un archetipo sociale che fortifica e rinfranca il carattere dell'uomo e lo scampa dalle seduzioni di un mondo illustrato ma volubile, facile ma subdolo.
E' questa la nota dominante dei suoi racconti [soprattutto in « Là lontano ››] e di tutti i suoi film, in particolare dell'inedito da noi Peöki-lavoöki ›(t.l.: Stufe-panchine, 1973].
Non che Šukšin si lasci imbecherare da quelle che Sinisgalli chiamerebbe le moine della natura. Šukšin sente la campagna virilmente come termine di riferimento etico, come sede della pulizia, non solo ecologica ed atmosferica, ma fisica, psichica e morale.
Pensiamo ad una delle sequenze conclusive di Vaš syn y brat. Il padre e i due figli sono sulla riva del fiume Katun, antico spettacolo dell'acqua diversa e impassibile, immagine - per ricordare Melville -dell'inafferrabile fantasma della vita. Il fiume giudica il vecchio, la vita sua che declina. E il vecchio giudica i due figli: il piú  giovane, Vassia, che è rimasto fedele alla terra e gli lavora la campagna, e il maggiore, lgnati, che ha scelto la città e s'è messo bene con la sua palestra di ginnastica per adulti. ll vecchio, quotando la forza fisica dei due figli, vuole che la misurino nella lotta, come facevano quand'erano ragazzi. Vassia prevarrà e darà conferma al padre: il vigore fisico speso in città è un vigore sprecato. Ma Vassia, il fedele, il buono, il timido Vassia si schermisce: è piú possente, è evidente, ma non si fida fino in fondo della sua forza, soffre d'inferiorità di fronte alla vigoria « razionalizzata » del fratello. il confronto non ha luogo. Il padre è deluso, Vassia rimpiangerà l'occasione perduta.
Ma la sua “superiorità” non viene scalfita dalla prova mancata. Proprio perché non c’è bisogno di prova. Chi fatica, chi soffre, quello è superiore: Antòn Pàvloviöc Cèchov registra in questa fase un decreto esistenziale che nessuno nega. E la terra non accorda sconti alla fatica. Dà e riprende a misura di come e quanto è servita.
E' il motivo secolare della iustissima tellus: mentre chiede, rende a misura, imparzialmente, forza, sapienza, bontà.

Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, lugio/agosto 1976

Nessun commento:

Posta un commento