Nel documentario Dio è
il regista, nel film il regista è Dio. (Alfred Hitchcock)
ln 2001: A Space
Odissey [1965-68) di Stanley Kubrick, più o meno direttamente ispirato al
romanzo “Childood's End” di Arthur C.
Clarke, molti si sono chiesti corsa significhi il monolito nero che si vede
ricorrere più volte nel film, a sollecitare le successive fasi dell'evoluzione
dell'umanità. Si le assistito così a tutta una proliferazione di conati interpretativi,
la maggior parte dei quali hanno scomodato la divinità. Ma la risposta è un'altra. Forse è stata la sua evidenza a
provocare effetti di accecamento.
Un bicchiere cade al suolo dal quale trapela la luce e
provoca un gesto di raccolta da parte di David Bowman (Keir Dullea), ormai
giunto al termine del Viaggio, al cospetto del proprio Doppio morente. È
seguendo questo gesto lentissimo e circospetto che scopriamo l'ultimo dei suoi
« lo », vecchissimo le fetale, colto nel gesto con cui si stabilisce o ci si
separa da qualcosa; al termine di questo movimento scopriamo il monolito nero,
a fianco del capezzale dell'Ultimo Uomo, quale fattorie di una nuova rinascita.
La macchina da presa non si lascia intimidire e punta dritta su «di esso [si
vedrà che non è il caso di chiamarlo Lui] con una carrellata in avanti. Adesso,
quando in campo c'è solo il monolito nero, la sua superficie coincide con
quella dello schermo rabbuiatosi all'improvviso [come in un « fondu ››]. Subito
dopo lo schermo nero, e cioè la superficie del monolito [dato che non ci sono
stati stacchi o altri « fiat ››], si riaccende per effetto dell'apparizione di
innumerevoli stelle luccicanti. È in questo momento che sorge I' immagine di
ciò che è andato maturando: l'Uomo Nuovo nato da un atto di auto-creazione davvero
perfezionistica in quanto frutto di vicissitudini interamente umane. Ecce Homo.
È nella conclusione del film che finalmente si mostra cosa
sia il monolito nero; una dissolvenza in nero, un elemento di notazione
cinematografica, un effetto della scrittura cinematografica. Anche qui l'unica
intrusione tollerata da pane della divinità è quella del Regista-Dio-Demiurgo.
la cui apparizione è garantita dalla connotazione della macchina da presa di
attributi [fenomeno che si era già riscontrato nelle analogie tra macchina da
presa e Macchina dei Tempo in Wells) che ne fanno la più mondana e
secolarizzata delle ieirofanie e cratofanie.
Franco
Ferrini, in
BN fascicolo 3/4, 1974
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