mercoledì 22 marzo 2017

Ieirofania e cratofania in Stanley Kubrick


Nel documentario Dio è il regista, nel film il regista è Dio. (Alfred Hitchcock)

ln 2001: A Space Odissey [1965-68) di Stanley Kubrick, più o meno direttamente ispirato al romanzo “Childood's End” di Arthur C. Clarke, molti si sono chiesti corsa significhi il monolito nero che si vede ricorrere più volte nel film, a sollecitare le successive fasi dell'evoluzione dell'umanità. Si le assistito così a tutta una proliferazione di conati interpretativi, la maggior parte dei quali hanno scomodato la divinità. Ma la risposta è un'altra. Forse è stata la sua evidenza a provocare effetti di accecamento.
Un bicchiere cade al suolo dal quale trapela la luce e provoca un gesto di raccolta da parte di David Bowman (Keir Dullea), ormai giunto al termine del Viaggio, al cospetto del proprio Doppio morente. È seguendo questo gesto lentissimo e circospetto che scopriamo l'ultimo dei suoi « lo », vecchissimo le fetale, colto nel gesto con cui si stabilisce o ci si separa da qualcosa; al termine di questo movimento scopriamo il monolito nero, a fianco del capezzale dell'Ultimo Uomo, quale fattorie di una nuova rinascita. La macchina da presa non si lascia intimidire e punta dritta su «di esso [si vedrà che non è il caso di chiamarlo Lui] con una carrellata in avanti. Adesso, quando in campo c'è solo il monolito nero, la sua superficie coincide con quella dello schermo rabbuiatosi all'improvviso [come in un « fondu ››]. Subito dopo lo schermo nero, e cioè la superficie del monolito [dato che non ci sono stati stacchi o altri « fiat ››], si riaccende per effetto dell'apparizione di innumerevoli stelle luccicanti. È in questo momento che sorge I' immagine di ciò che è andato maturando: l'Uomo Nuovo nato da un atto di auto-creazione davvero perfezionistica in quanto frutto di vicissitudini interamente umane. Ecce Homo.
È nella conclusione del film che finalmente si mostra cosa sia il monolito nero; una dissolvenza in nero, un elemento di notazione cinematografica, un effetto della scrittura cinematografica. Anche qui l'unica intrusione tollerata da pane della divinità è quella del Regista-Dio-Demiurgo. la cui apparizione è garantita dalla connotazione della macchina da presa di attributi [fenomeno che si era già riscontrato nelle analogie tra macchina da presa e Macchina dei Tempo in Wells) che ne fanno la più mondana e secolarizzata delle ieirofanie e cratofanie.
Franco Ferrini, in BN fascicolo 3/4, 1974

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