Ma è certo difficilmente numerabile la schiera dei
minori che di georgicità fecero professione trovando però raramente la composizione
del loro temperamento culturale con le esigenze nuove di una mediazione politica
dell'arte. Pensiamo a Pëtr Vasìl'evic Onèšin, a Sergéj Klyökòv, ad Aleksandr
širjàevec, poeti schietti, ma troppo romanticamente innamorati della terra per
avvertire le urgenze dei tempi nuovi e, in qualche modo, adattarvisi.
Tra i prosatori - torniamo ad essi - che accettarono
la rivoluzione pur senza militarvi e che si proposero di coadiuvare con la propria
attività il proletariato a consolidare il suo potere, meritando cosi l'ambigua
e non sempre contestata qualifica di “compagni di strada" non si può
dimenticare Lìdija Nikolàevna Sejfùllina, che con i suoi racconti e alcuni dei
suoi romanzi [« Humus ››, « Virinèja ›› e « Sulla propria terra ») acclamò con
temperata (e femminilmente trepida) rettorica alla terra e alla sua gente
emancipata dalla rivoluzione.
E nell'ambito della grande fortuna che dopo i primi
anni trenta toccò al romanzo storico, val la pena rammentare autori come
Viašeslàv Jàkovlevic šiškòv e Ol'ga Dmitrievna Forš. Entrambi, pur nel novero di altre loro rivisitazioni del passato, tornarono
anch'essi al frequentato motivo della rivoluzione contadina e a Pugaëëv,
dichiaratamente assurto ad antesignano della volontà di liberazione delle
classi subalterne dal proprio secolare servaggio ›[l'Emeljàn Pugašëv di šiškòv fu pubblicato nel '44, il
Radiššev della Forš nel `39].
Ma intanto il romanzo sovietico di "fiction"
stava procedendo regolarmente sui binari parenetici di confermazione della
rivoluzione e dei suoi obiettivi, prima che venisse istituzionalizzato il “
realismo socialista" come canone estetico-politico, nel primo Congresso degli
scrittori del 1934. Indice dell'interesse con cui gli scrittori di estrazione
contadina [o attenti comunque a quella realtà] seguirono le reazioni del loro
ambiente alle novità della rivoluzione e ai problemi che la costruzione di quel
tipo di socialismo poneva, sono per esempio l'emblematico « Cemento ›› di «Fëdor
VasìI'evìc Gladkòv (bisogna cementare se stessi e la rivoluzione, occorre
scompaginare insieme i mattoni dello stato dei contadini e degli operai),
«Bruski ›› di Fëdorlvànovic Panfërov, il « Capàev » di Dmitrij Andréevic
Fúrmanov (lodatissimo romanzo per aver trasfigurato quel rappresentante della
classe contadina lavoratrice in eroe tipo della sua classe) e i racconti di
vita contadina di Aleiksàndr Sergéevic Nevèrov.
Non occorrerà poi spendere troppe parole per
rammentare lo spazio e il rilievo che occupano in « Il placido Don ›› e in ›«
Podnjataja celina ›› [t.ital.: « l dissodatori ››) di ›I\Mlichaìl Aleksàndrovic
šolochov al tema del trionfo della collettivizzazione della terra oltre e
contro le resistenze e la tragedia ch'essa comportò.
Maggior considerazione per l'uomo biologico che
sopravvive oltre le “quadratura” dell'uomo di classe spicca invece
esplicitamente nei vivaci e coloriti racconti di vita contadina - soprattutto
nella raccolta « Sulla terra - firmati da Vladìmir Matvéevic
Bachmètev, "scrittore proletario" che converge sulla campagna.
E intanto dalla campagna vengono direttamente a testimoniare aspirazioni, resistenze
e dubbi prima e dopo il Nep e la collettivizzazione i romanzi di Pëtrilvànovic Zamòjskij,
i racconti e il romanzo «« Il quinto amore ›› di Michail Jàikovlevic Karpov, le novelle di Jàkov Evdokimic
Koròbov (esemplare diorama della difficoltà che incontrarono i primi rapporti tra
la gente delle campagne e il proletariato operaio] e i racconti di Rodiòn Michàjlovic
Akùl'šin.
Anche i territori della poesia intanto eran percorsi
dalla consegna proclamata nel congresso degli scrittori del '42 con i versi «
non si canta soltanto, si scolpisce, si fucina, si costruisce ». A frotte i
poeti si adattarono, piú o meno di buon grado, a riordinare la propria «
domestica azienda poetica ››, con risultati esteticamente piú o meno esaltanti.
Non mancò chi riuscí a mantenersi entro il partijnost,
l'ordinazione di partito, senza venir meno alla propria vocazione di devozione
alla campagna e alla natura come - siamo ormai nel secondo dopoguerra -Nikolàj Leopòl'dòvic
Braun con « Le pianure della mia patria » e con “La terra in fiore” o come il piú raffinatamente metaforico Pàvel
'Nikolàevic šubin.
Nel quadro poi del drastico giro di vite con il quale
il comitato centrale del Pc intese, nell'agosto del'46, stroncare le tendenze
“non sane" il “cosmopolitismo" e “formalismo”, correlativi estetici
dell'imputazione di deviazione] che in letteratura disturbavano « l'adempimento
dei grandi compiti posti all'arte dalla nuova tappa dello sviluppo storico ››, riprese
forza la vena 'minore' - se rapportata al 'grosso' tema della ripresa
industriale della riedificazione dell'agricoltura e della ripresa della vita
dei kolchozy. Romanzi e racconti tornarono alla campagna, al suo nuovo volto
storico, con stacco piú diligente che ispirato e con risultati piú documentari
che artisticamente commendevoli, quando non addirittura schematici: basterà
fare i nomi di Semën Pëtrovic Babaèvskij, di Juri Grigòr'vic Làptev, di Galina Evgèn'evna
Niikolàeva.
Il disgelo e le sue smorzate liberalità, l`atmosfera
nuova quanto instabile che si stabili anche in letteratura dopo il rapporto
Kruscëv al XX congresso del Pc sono eventi noti e recenti per esigere campionature
piú esaustive.
Per quel che si sa, gli anni sessanta e settanta
vedono in letteratura un fenomeno di decentramento “tematico” analogo a quello,
appena intravisto però, che si nota in cinematografia con il decentramento
produttivo nelle repubbliche periferiche e con il tentativo di recupero delle
singolarità etniche e culturali delle diverse repubbliche sovietiche. Anche in
letteratura sembra avvertirsi dunque un fenomeno parallelo di riconoscimento
dello Hinterland: quello cosmico per
cui gli scrittori si dedicano alla scoperta o riscoperta del mare o dello spazio (basterà ricordare i padri
della fantascienza Adàmov, Beljàev, Efrèmov e Kazàncev) e quello geografico che
porta alla rivelazione dell'amor di terra
lontana, la Siberia (Anatòliij Pàvlovic Zlòbin, Leonid Ivànovic lvànov,per esempio), la regione dell'oltre
Baikal (Boris Aleksàindrovic Kostjukòvskij, ll'jàMichàilovic Lavròv) e quella
dell'Altaj'(Sergéj Ivànovic Zalšlginlç e il piú anziano e autorevole Afanàsij Lazàrevic
Koptèlov, accreditato dalla critica sovietica d'esser stato il primo, già a
metà degli anni trenta, con il romanzo « ll grande campo dei nomadi ››, ad
aver celebrato I'importanza della rivoluzione socialista nella vita delle
piccole comunità. .Sono naturalmente, queste, terre periferiche rispetto al «
meridiano fondamentale ›› che è Mosca; non lo sono per questi autori che vi son
nati e che le conoscono come conoscono il terreno su cui hanno edificato la propria
casa. Si confessa šukšin (c. -Benedetti, int. cit.): «Su questi temi ero
autonomo, audace, attivo. Una volta scelto il campo ho deciso di coltivarlo;
per fare altre cose, bisognerebbe viver tre volte per raccontar
tutto ».
E in questo comparto convenzionale e in questa
dimensione della letteratura russo-sovietica contemporanea sembra potersi
collocare, a buon diritto, Vasilij Makàrovic šukšin.
C`è un altro autore contemporaneo cui šukšin viene
talora apparentato ed è difficile dire con quanta attendibilità, almeno fino a quando,
di šukšin, non si conoscerà l'opera omnia. E' Michàil Michàjlovic Zòššenrko.
Morto sessantatreenne nel '58, Zòšöenko è il piú brioso campione di quell'umorismo
satirico che «è un tarlo inammissibile per una ferma struttura ufficiale di
letteratura che si proponga di esaltare “l'uomo nuovo socialista". La
demistificazione dell'eroe positivo, del ritratto a tutto tondo, dell'integro e
integrale interprete della rivoluzione, dell'industrializzazione e della
collettivizzazione, la rivelazione di una realtà double-face è una presunzione imperdonabile
per un uomo di lettere che debba dipendere dai burocrati. A poco a poco, l'autore
di -« I racconti di «Nazar Il'ic signor Sinebrjùchov ››, di « Cittadini stimati»,
di i« Gente nervosa ››,con i suoi aneddoti in diretta - skaz o divagazione -
con la sua fiera pretesa di non essere « né comunista né monarchico ma russo
››, con la sua assenza nello sforzo di fiancheggiamento che gli scrittori
compirono al tempo della grande guerra nazionale contro il nazismo, con la
ripresa imperterrita dell'autobiografismo in « Prima del sorgere del sole ››,
la cui pubblicazione fu avviata nel 1943 sulla rivista « Oktjabr' ››, con quel suo imperversare in
mezzo a quel mondo piccolo-borghese di sussieghi, piccinerie e ostinazioni che
la rivoluzione non aveva saputo rimuovere, diventò inevitabilmente (insieme
alla Achmàtova] il capro espiatorio della stretta di freni contro le “tendenze non sane” in letteratura
(cosmopolitismo, formalismo e, appunto egotismo), che comportò l'espulsione dei
due dall'Unione degli scrittori e una non breve mora alla facoltà di
pubblicare.
(continua)