CORRADO ALVARO, Cinema nel
marzo 1937
Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
domenica 31 maggio 2020
L'attrice ha bisogno di essere amata e adorata
… un'attrice
ha bisogno di essere amata e adorata e farebbe qualunque cosa di cui è capace
una donna per ottenere adorazione e amore. E’ capace di simulare una crisi come
il bimbo può fingere un male per attrarre l'attenzione dei grandi. lo vidi una scena
simile. Un'attrice entrava una mattina in teatro, l`ambiente era triste come sono
i teatri di posa la mattina presto (gli operai battono e picchiano; l'ambiente
è come un appartamento vecchio e sonnacchioso disabitato da tempo; fa freddo): l`attrice
ebbe un'idea: svenne, per quello che io possa immaginare, finse di svenire.
Cadde di schianto in un angolo del salone di carta dipinta.
In breve il teatro si rianimò, si accesero le lampade di qualche migliaio di
candele per scaldare la diva, qualcuno accorse con un bicchiere d'acqua, altri
sosteneva il suo dolce e truccato peso. Quando ella cominciò più tardi a
recitare, regnava attorno a lei un silenzio di clinica.
Tra finzione e verità nessuno si diede la pena di approfondire
se ella fosse stata veramente male; anche se
avesse simulato, era in armonia con l’atmosfera degli studi,
lo stesso che fosse stato vero. Come sapeva svenire, quest'attrice sapeva
piangere. Non rido di queste cose poiché so che in arte l'atteggiamento fa
spesso la funzione: una buona materia a un'artista figurativo, o un buon
inchiostro odoroso e carta
buona a uno scrittore propiziano l’ispirazione, queste
sono le emozioni quasi inconfessabili che aiutano l'artista nel suo lavoro e ne
rendono dilettosa la strada. Che questa attrice, chiudendosi il viso tra le
mani e rimanendo assorta nel silenzio dello studio riuscisse poi a levare, al
cospetto di tutti, due occhi pieni di lacrime vere, pareva dapprima quasi
inumano.
Cosi accadde e sulle sue lacrime pronte e limpide la
voce del direttore tuonò: Avanti si gira.
Era penoso
ed era inesplicabile che la povera signora piangesse a
dirotto, ed era altrettanto penoso che ci si affrettasse a lavorare perché ella
avrebbe consumato entro mezz`ora la sua risei va di vere lacrime. A ogni
intoppo o ritardo ella avrebbe dovuto compiere nuovamente la violenza di quel
pianto su se stessa. Mi spiegarono poi, persone esperte in questi segreti, che
per piangere quando si voglia basta rimanere qualche tempo a occhi sbarrati senza
batter ciglio: non ci ho mai provato e lo dò per dimostrato: ma poi, nel caso
della signora che piangeva in teatro certo s'inserisce qualcosa di umano, un
dolore antico, una pietà di sé e dei dolori sofferti; insomma, alla fine il
pianto diventa vero. Dico che era straziante e avevamo pena della signora come
se tutti l'avessimo picchiata.
Ma accadde qualcosa di ancor più strano. Un'altra attrice,
e naturalmente rivale di colei, la quale aveva
giurato di non saper piangere altro che per una
ragione vera e mai per artificio, dovendo affrontare anch'essa la parte
lacrimosa, punta dalla felicità del pianto della sua rivale, scoppiò d`un tratto
anch'essa in un piangere dirotto, si presentò in scena selvaggiamente felice di
quelle lacrime che le scendevano dagli occhi. Cera un inconveniente per ambedue:
bisognava ritoccare di continuo il nero delle ciglia che sbavava sotto le
lacrime bollenti. Non si sentiva volare una mosca, nient'altro che lo sfrigolio
del riflettore che nel gergo degli studi si chiama madama; tutti avevano un viso pietoso; quel duello femminile in cui
si disputava una abilità artistica a colpi di singhiozzi, di lacrime ben
grosse, di bellissime contrazioni di muscoli del viso, era sconcertante,
assurdo, senza possibilità di conforto.
In apertura, Clara Calamai sulla copertina di Film D'OGGI Anno 1 - n. 1 - 9 giugno 1945
giovedì 28 maggio 2020
Un leone a Culver City - From Europa
Europei a Culver City
Oltre a Victor Sjostrom, che fra il 1923 e il 1930 riuscì a conservare, pur con risultati ineguali, un notevole prestigio presso i dirigenti della M.G.M., vari altri registi furono chiamati a Culver City negli ultimi anni del muto: il francese Jacques Feyder che dirigendo fra l'altro la Garbo in The Kiss (Il bacio, 1929) ne inaugurò la maniera per così dire "materna", destinata a divenire più tardi parte integrante della personalità dell'attrice; il danese Benjamin Christensen, autore del celebre film La stregoneria attraverso i secoli (realizzato in Svezia nel 1921), che diresse The Devil's Circus (1926) e Mockery (1927) con Lon Chaney; il tedesco Ernst Lubitsch, che dopo So This is Marriage (1924) fu il regista di un film operettistico, The Student Prince in Old Heidelberg (Il principe studente, 1928), tratto dal libro "Karl Heinrich" di Meyer-Forster, con Ramon Novarro e Norma Shearer; e infine il russo Dimitri Buchowetsky, che, dopo il successo dei grossi film in costume da lui diretti in Germania, fu chiamato a dirigere prima Mae Murray in Valencia (1926), e in seguito persino. La Garbo in Love (Anna Karenina, 1928): ma, per motivi imprecisati, dopo le prime scene il film gli fu tolto di mano e affidato alla puntuale diligenza Edmund Goulding. (continua)
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE
A sinistra: Mae Murray con Lloyd Hughes in Valencia del 1926
mercoledì 27 maggio 2020
C'era una volta il cinema Orfeo
DOTATO DI IMPIANTI STEREOFONICI
Inaugurata al Cinema Orfeo
la nuova stagione
cinematografica
Grazie alla solerzia degli esercenti la sala è
attrezzata anche per i film tridimensionali
Con uno spettacolare «cinemascope», «Operazione
Mistero» che si vale della buona interpretazione del magnifico Richard Widmark
e di una regia che abilmente sfrutta le possibilità del sistema di ripresa a
vasto campo, l'Orƒeo ha inaugurato i grandi impianti stereoƒonici forniti dalle
officine Prevost di Milano e consistenti nel «cinemascope stereofonico sistema
Fox», «Perƒecta stereofonic sound sistema Metro», «Vista vision sistema
Paramount» e «Sistema tridimensionale e panoramico».
Non possiamo non congratularci con gli esperti
appassionati gestori dell'Orfeo che hanno saputo realizzare in breve tempo; e
prima di altre sale - anche di prima categoria – una perfetta scelta delle
apparecchiature
necessarie per la proiezione di film spettacolari e
soprattutto di quelli che abbisognano appunto di particolari impianti per
essere visionati.
E la nostra soddisfazione è maggiore perché questa
innovazione e stata realizzata in una sala di seconda visione che non resta,
quindi, seconda a nessuna, a riprova che la grande passione per il cine dei
messinesi trova riscontro e soddisƒazione nella solerzia degli esercenti, i
quali nulla tralasciano per mettersi al passo
con il progresso.
Chiudiamo questa nota rinnovando le nostre congratulazioni
ai signori Caruso e Spanò, non senza un beneaugurante «ad majora».
GAZZETTA DEL SUD, 13 NOVEMBRE 1954
Nota - Il cinema Orfeo negli anno '70 del secolo passato sotto la gestione del compianto Gianni Parlagreco si trasformò in Capitol, e la programmazione divenne di Prima Visione. Anni dopo con una nuova gestione divenne sala a luci rosse per finire tristemente con una programmazione di videocassette o CD con proiezione fatta per messo del video proiettore.
lunedì 25 maggio 2020
PVFF - Platì Virtual Film Festival - Second Season
Quando si dice che il film deve piacere al pubblico,
si enunzia grossolanamente una verità fondamentale
di ogni arte. Corrado Alvaro
Il cinema Corrado Alvaro lo portò sempre con sé. Accanto alla sua attività di romanziere, viaggiatore, giornalista e quant'altro, il legame col cinema non lo staccò, stancò mai: dentro l'industria dapprima e come saggista e critico dopo. I film riportati sopra ne sono un esempio. Quale più, quale meno sono sempre stati visti con l'occhio dello spettatore cinematografico più accorto. Le sue critiche erano tutte derivate dalla sua esperienza di scrittore ma anche di uomo vissuto. I suoi apporti critici a film come Diario di un curato di campagna, Morte di un commesso viaggiatore, Rashômon, Umberto D., Un uomo tranquillo, tra gli altri, letti con pieno coinvolgimento emotivo e con spirito libero. Le sue esperienze basilari di vita nella Grande Guerra e nella Germania di Weimar confluite dapprima nelle opere letterarie, le ritroviamo nelle recensioni de I dannati (Decision Before Dawn) e in Salerno ora X, schifoso titolo per l’edizione italiana di A Walk in the Sun e quando parla della nascita del mito di Marlene Dietrich in L’angelo azzurro. Negli scritti sul cinema un Alvaro poco ossequioso col potere specie quello ecclesiastico, ad onta di un fratello prete che probabilmente lo capì poco, lui a dover fare i conti con le città in espansione, don Massimo a Caraffa del Bianco dove ancora tutto era legato ai cicli della terra. Leggendo lo scritto sul capolavoro di Robert Bresson - Diario di un curato di campagna - si intuisce la sua profonda conoscenza del mondo dei preti, sulla loro vita e missione. E qui voglio ricordare che don Massimo fu compagno in seminario di Ernesto Gliozzi il giovane e aiuto di Ernesto Gliozzi il vecchio, parroco in Casignana. Egli, per finire, fu uno dei pochi ad intuire la portata estetica e morale di un cineasta come Alessandro Blasetti - “l’amore delle idee generali, la prima dote che colpisce accostandolo; anche in chi come me, gli ha parlato per qualche istante una volta appena" (1) - e a cui il cinema italico deve molto. Alvaro intuì l'importanza e i pregi di 1860 – “mostra quali risultati si possano ottenere in Italia sia pure con una certa economia di mezzi” (2) - ben prima di Martin Scorsese.
(1 ) Su "Il Mondo", 15 novembre 1952
(2 ) Su "Nuova Antologia" 16 maggio 1934
Forse dopo Corrado Alvaro le critiche più originali le ritroviamo proprio in Enzo Ungari (1948 - 1985)
si enunzia grossolanamente una verità fondamentale
di ogni arte. Corrado Alvaro
PVFF
Platì Virtual Film Festival
Second Season
Sotto gli auspici di Enzo Ungari
CORRADO ALVARO
o
il vero spettatore cinematografico
20 film da vedere assolutamente
Programma:
1 Altri tempi (Zibaldone n. 1), Italia 1952; Alessandro Blasetti.
2 L'amante del torero (The bull-fighter and the lady), USA 1951; Budd Boetticher.
3 L'Angelo azzurro (Der blaue engel), Germania 1930; Josef von Steinberg.
4 L'asso nella manica (The big carnival o Ace in the hole), USA 1951; Billy Wilder.
5 Atlantide (Die herrin von Atlantis), Francia-Germania 1932; Georg W. Pabst.
6 Aurora (Sunrise), USA 1927; Friedrich W. Murnau.
7 Bellissima, Italia 1951; Luchino Visconti.
8 I dannati (Decision before dawn), USA 1951; Anatole Litvak.
9 Diario di un curato di campagna (Journal d'un curé de campagne), Francia 1950; Robert Bresson.
10 Il dottor Caligari (Das kabinett des Dr. Caligari), Germania 1920; Robert Wiene.
11 Germania anno zero, Italia-Germania, 1947; Roberto Rossellini.
12 Luci della ribalta (Limelight), USA 1952; Charles Chaplin.
13 Metropolis (id.), Germania 1926; Fritz Lang.
14 1860, Italia 1934; Alessandro Blasetti.
15 Morte di un commesso viaggiatore (Death of a salesman), USA 1951; Laslo Benedek.
16 Rashômon (id.), Giappone 1950; Akira Kurasawa.
17 Risate in paradiso (Laughter in paradise), G. Bretagna 1951; Mario Zampi.
18 Roma città aperta, Italia 1945; Roberto Rossellini.
19 Salerno ora X (A walk in the sun), USA 1945; Lewis Milestone.
20 Sangue blu (Kind hearts and coronets), G. Bretagna 1949; Robert Hamer e John Dighton.
21 Telefonata a tre mogli (Phon call from a Stranger), USA 1952; Jean Negulesco.
22 Umberto D., Italia 1952; Vittorio De Sica.
23 Un uomo tranquillo (The quiet man), USA 1952; John Ford.
24 Verso la vita (Les bas-fonds), Francia 1936; Jean Renoir.
25 Viale del tramonto (Sunset boulevard), USA 1950; Billy Wilder.
Il cinema Corrado Alvaro lo portò sempre con sé. Accanto alla sua attività di romanziere, viaggiatore, giornalista e quant'altro, il legame col cinema non lo staccò, stancò mai: dentro l'industria dapprima e come saggista e critico dopo. I film riportati sopra ne sono un esempio. Quale più, quale meno sono sempre stati visti con l'occhio dello spettatore cinematografico più accorto. Le sue critiche erano tutte derivate dalla sua esperienza di scrittore ma anche di uomo vissuto. I suoi apporti critici a film come Diario di un curato di campagna, Morte di un commesso viaggiatore, Rashômon, Umberto D., Un uomo tranquillo, tra gli altri, letti con pieno coinvolgimento emotivo e con spirito libero. Le sue esperienze basilari di vita nella Grande Guerra e nella Germania di Weimar confluite dapprima nelle opere letterarie, le ritroviamo nelle recensioni de I dannati (Decision Before Dawn) e in Salerno ora X, schifoso titolo per l’edizione italiana di A Walk in the Sun e quando parla della nascita del mito di Marlene Dietrich in L’angelo azzurro. Negli scritti sul cinema un Alvaro poco ossequioso col potere specie quello ecclesiastico, ad onta di un fratello prete che probabilmente lo capì poco, lui a dover fare i conti con le città in espansione, don Massimo a Caraffa del Bianco dove ancora tutto era legato ai cicli della terra. Leggendo lo scritto sul capolavoro di Robert Bresson - Diario di un curato di campagna - si intuisce la sua profonda conoscenza del mondo dei preti, sulla loro vita e missione. E qui voglio ricordare che don Massimo fu compagno in seminario di Ernesto Gliozzi il giovane e aiuto di Ernesto Gliozzi il vecchio, parroco in Casignana. Egli, per finire, fu uno dei pochi ad intuire la portata estetica e morale di un cineasta come Alessandro Blasetti - “l’amore delle idee generali, la prima dote che colpisce accostandolo; anche in chi come me, gli ha parlato per qualche istante una volta appena" (1) - e a cui il cinema italico deve molto. Alvaro intuì l'importanza e i pregi di 1860 – “mostra quali risultati si possano ottenere in Italia sia pure con una certa economia di mezzi” (2) - ben prima di Martin Scorsese.
(1 ) Su "Il Mondo", 15 novembre 1952
(2 ) Su "Nuova Antologia" 16 maggio 1934
Forse dopo Corrado Alvaro le critiche più originali le ritroviamo proprio in Enzo Ungari (1948 - 1985)
domenica 24 maggio 2020
La poesia di Limelight
Limelight si svolge in gran parte attraverso una vicenda affidata alla finzione
teatrale. I numeri di varietà che vi sono inseriti, il sognato incontro di primavera con
quel piumino da spolverare che diventa un mazzo di fiori; il numero del domatore
di pulci; la canzone della sardina; il duetto finale con Buster Keaton, non
sono tanto ritorni a motivi cari a Chaplin per fare
spettacolo, quanto modi di proiettare la vicenda reale in una simbologia
evidente, la fortuna e la sfortuna delle illusioni che offre il teatro. Vien fatto
di notare che in passato, in molte scene comiche di questo genere, la
truccatura di Chaplin era piuttosto amabile, la maschera cara an- che ai
bambini. In Limelight, la truccatura
non nasconde la faccia reale dell'uomo che lotta, trafelata e travagliata dalle
competizioni con la vita, disperata, vendicativa. E un Chaplin che strappa il
velo delle illusioni e mostra il viso dell'uomo sofferente che lotta per adempiersi.
La poesia di quella finzione che è il teatro, cui questo film è il maggiore
omaggio che fino ad ora abbia dato il cinema, è una delle doti più attraenti di Limelight. Il retroscena, la pedana del
palcoscenico, la ribalta, sono in questo film paesaggi veduti con l'occhio di chi
ne conosce le ore e i momenti come d'un paesaggio natale. E il paese di
Chaplin. E la poesia che si leva dalla danza piena di trepidazione di Teresa,
sulla pedana lucida come l'asfalto, mentre il suo creatore e amico e innamorato
e padre trema dietro le scene, è il canto d'una vita che comincia, e che sotto
il giudizio degli uomini, accigliato e infine vinto, sente di essere entrata
come una forza nuova nel mondo, a prendere il posto di
chi cade nella lotta. La conquista di niente altro che del diritto alla vita.
CORRADO ALVARO « Il Mondo», 3 gennaio 1953
venerdì 22 maggio 2020
L'innocente Lea
TIPI E CARATTERI
LEA PADOVANI
Se l’immissione continua di nuovi elementi per ogni cinematografia è fattore
decisivo di continuità e di miglioramento, per quella italiana
è addirittura condizione indispensabile di vita, ora che il problema primo per la nazione è quello di rompere
i ponti col passato e costruire “ex novo” ogni cosa. Non deve quindi
sembrare
inopportuno che “Film d'oggi” inizi una galleria di elementi che possono costituire i quadri di oggi e di domani del nostro
cinema nuovo, quando ancora la nostra produzione è lungi dall'aver ripreso.
Lea Padovani ha poco bisogno di essere
presentata, ma un urgente bisogno di essere ripresentata.
Questa ragazza infatti ha già interpretato
come prima attrice, sostenendo
la parte di un'ingenua collegiale l'ultimo film di Macario. L'innocente
Casimiro, la cui
visione sconsiglierebbe ogni uomo di buon gusto dal fare affidamento su di lei per il nuovo
cinema italiano.
Ma appare chiaro a chiunque l’abbia vista
in teatro, e queste foto si
sforzano di dimostrarlo, che questa giovane
attrice
è qualcosa di meglio che non una collegiale convenzionale e dolciastra; potrà
semmai fare “certe” collegiali.
E’ quanti che possono venir furi le sue caratteristiche più intime e più
espressive: un viso di adolescente con occhi acuti e gravi su di un corpo
esuberante di donna.
Un tipico esemplare della gioventù del
dopoguerra, cresciuta fra difficoltà molteplici e crude, fra guerre, rivoluzioni,
rovine materiali e morali, in un clima di dispersione spirituale forse senza
precedenti. Ma non vorrei aver dato una impressione troppo cupa né aver segnato
dei limiti troppo precisi. Senza dubbio,
infatti, Lea Padovani è fra le giovani attrici una di quelle più dotate di senso umoristico nella sua accezione
più moderna, americana direi, cosa che le dà evidentemente la possibilità di interpretare
con successo ruoli comici o addirittura caricaturali; pur non escludendo che le si addica, anche il dramma.
Per la storia diremo che Lea Padovani è
uscita dall'Accademia di Arte drammatica
di Roma, recita a attualmente
nella
compagnia Macario e si prepara ad affrontare, la prosa.
Che il cinematografo prima o poi la requisisca
ci appare inevitabile. Se questa operazione avverrà sotto l'auspicio di qualche uomo di cinema intelligente
e di gusto, Lea Padovani, collegiale
cattiva sarà una delle nostre attrici migliori.
SERGIO SOLLIMA
Film D'OGGI Anno 1 - n. 1 - 9 giugno 1945
mercoledì 20 maggio 2020
Corrado Alvaro: Il carattere di Charlie Chaplin
È la prima volta in Limelight (Luci della ribalta) che in un film di Charles Chaplin il
protagonista muore. Ha successo finalmente ma
muore. Negli altri, correva da insuccesso a insuccesso, la speranza chiamava la
vita ed era la stessa vita. Sul valore della vita, l'eroe di Chaplin non aveva
neppure il tempo di riflettere, era giovane, prendeva quello che poteva. Erano
tempi di miseria ma il mondo era ricco. In quasi tutti i film di Chaplin è l'idea
di una immensa ricchezza che si spreca; soltanto che essa non tocca al protagonista
se non per caso o errore. Del resto, egli non fa conto di che cosa sia la ricchezza,
non la valuta, non la invidia, non la desidera neppure; è un concetto che non
gli entra nella mente; essa è lontana da lui come è lontana la luce del sole che
lo illumina e lo scalda; ne profitta ma non ne misura la forza e tanto meno il
mistero.
In genere, nei film di Chaplin
non c'è rivolta né critica sociale; le si trova in Monsieur Verdoux, un film velleitario del falso o
ingenuo intellettualismo degli istintivi, ma non 'nel resto. L'eroe di Chaplin
accetta la società quale è, e anzi
cerca di inserirvisi. Soltanto che è maldestro, buffo, impresentabile. C'è una
differenza di razza tra lui e il detentore della ricchezza e della fortuna, in
genere tardo se non stupido, in cui l’educazione è una forma di debolezza; e
nei momenti in cui è generoso, pazzo o distratto o ubriaco. L'eroe di Chaplin è
un errante e un vagabondo che non riesce, con tutta la sua buona volontà, a inserirsi
in un sistema. A modo suo, sogna sempre la fortuna. La vita è una selva di
persone che egli capisce, sì, con le loro debolezze e magagne, con una
fondamentale inconsistenza, solidi per complicità, ma cui egli non riesce ad
adeguarsi. C’è molto disprezzo nel modo con cui 'l'eroe di Chaplin vede la
vita. Egli può disprezzare anche se stesso per il suo stato sociale ma non per
le sue possibilità. Si disprezza nella sua presenza contingente ma non per
quello che potrebbe essere. Gli altri li disprezza per quello che sono, nel
loro carattere immutabile e nel loro atteggiamento fisso. Se mai, le maschere
sarebbero loro, i regolari, non lui, l’irregolare. Essi sono la società, e
questa società bisogna vincerla, adeguarvisi sia pure ingannandola più o meno ingenuamente. I potenti,
in Chaplin, sono in genere anche fisicamente schiaccianti, grossi animali
sopravvissuti alla preistoria dell'uomo: sono i violenti e i malvagi e gli
avari e gli ingenerosi al confronto di un prodotto più debole ma più
interessante della civiltà: l'uomo dotato di intelligenza e di umanità, starei
per dire l’intellettuale. E Ulisse contro Polifemo, Davide contro Golia. Del
tipo debole e scaltro, Chaplin ci presenta spesso un altro lato del carattere:
l’incapacità di reggere a una fortuna grande o piccola che sia, il fatto di
tradirsi diventando più goffo e più inopportuno; è un nuovo fallimento, e si
ricomincia daccapo.
Corrado Alvaro su:« Il
Mondo», 3 gennaio 1953
In apertura - 1944: Invecchiato, dignitoso, in apparenza impenetrabile, Charlie Chaplin si reca al processo intentato da Joan Berry per il riconoscimento di paternità di una figlia . Attorno a lui non è più la folla entusiasta che lo idoleggia da trent'anni. Egli è solo.
lunedì 18 maggio 2020
Gianna Maria Canale campionessa di karate
UN’ATTRICE ENERGICA
Gianna Maria Canale si difende
Da una aggressione alla frontiera
dalla tecnica delle varie forme
L' imprevedibile resistenza opposta da un’attrice alla decisa aggressione di due avventurieri costituisce il più sensazionale fatto di cronaca di questi giorni e se ne leggono lunghe corrispondenze specialmente su giornali francesi. La bellissima. Gianna Maria Canale, che compiva un lungo viaggio a bordo di una lussuosa «limousine», veniva fermata da due brutti ceffi che la costringevano a discendere dall’auto ad avviarsi, sotto la minaccia di una pistola, verso un sentiero di campagna.
Ad un tratto l'attrice si voltava verso uno degli aggressori e con un rapidissimo colpo alla gola lo faceva cadere di schianto. Anche l'altro uomo veniva colpito mentre cercava di immobilizzare l’attrice.
«Gli insegnamenti della lotta giapponese mi sono stati preziosi in questa occasione» - ha spiegato l'attrice ai corrispondenti francesi che si sono recati ad incontrarla al posto di polizia, di frontiera.
Il rapporto di forza stabilito dalla tecnica delle varie forme di combattimento individuale - dal pugilato alla lotta libera - appare del tutto superato quando si pensi che una rappresentante del «sesso debole» può fronteggiare una aggressione, sventarla facilmente e mettere fuori gioco e gli avversari. Quasi avesse potuto servirsi di uno di quei tocchi «magici con cui le fiabesche Fate rendevano vana ogni minaccia, l'attrice ha allontanato da se il grave pericolo con una rapida mossa che ha colto di sorpresa i due feroci aggressori. «La bellezza inerme che si piega alla forza bruta - ha detto Gianna Maria Canale - è in piena contradizione con la modernità. Una donna può farsi buona guardia da se stessa, purché si metta in condizione di difendersi, e non occorre molto».
Per quanto la Polizia abbia organizzato una battuta non sono stati rintracciati i due aggressori dell’attrice, i quali devono evidentemente essersi dati a vergognosa fuga. Gianna Maria prese delle lezioni di lotta giapponese un anno fa, quando si recò nel Marocco Francese per il film «Allarme a Sud» e non immaginava che quanto aveva appreso per la finzione cinematografica dovesse un giorno servirle nella realtà della vita, Difatti in una scena di quel film può sembrare appena credibile lo straordinario effetto di un colpo dato alla gola dell’avversario col palmo della mano a taglio, mentre è noto che la tecnica della lotta giapponese si basa appunto sugli effetti che si raggiungono toccando con precisione alcun delicati centri di sensibilità nervosa.
Il film «Allarme a Sud», che viene in questi giorni presentato sui nostri schermi narra le drammatiche traversie di un'affascinante danzatrice che messasi a disposizione del Servizio Segreto Francese nel Marocco riesce a svelare il mistero dell’invenzione del «raggio della morte» da parte di uno scienziato che si era nascosto tra i ruderi millenari di una. Città araba semisepolta dalle sabbie del deserto. Altri interpreti principali del film «Allarme a Sud» sono Erich von Stroheim, Lia Amanda, Jean Claude Pascal. E' la più affascinante storia d'amore nello sfondo degli intrighi dello spionaggio internazionale.
E' quell’ambiente di cui la cronaca dei recenti avvenimenti marocchini si è così vivamente interessata.
Lo scenario ineguagliabilmente suggestivo del Marocco francese è reso pienamente sullo schermo nei suoi aspetti più diversi e contrastanti dalle bianche citta assolate alla immensità, del deserto, in cui le carovane di cammelli tracciano itinerari che sconfinano nell’irreale. «Allarme a Sud», è una straordinaria avventura nel più affascinante e misterioso paese del mondo.
GAZZETTA DEL SUD Domenica 3 giugno 1954
domenica 17 maggio 2020
Un leone a Culver City - Lon Chaney
Il re del trucco
Del tutto al di fuori dell'imperante "Star System"
si svolse invece l'attività di Lon Chaney, uno dei più grandi attori del muto. Nel cinema dal 1913 come attore, ed anche - intorno al 1915 - come
regista e soggettista, passato dall'Universal alla Paramount, dalla prima Metro
a Goldwyn, a partire dal 1924 (col già ricordato film di Sjostrom), tranne un
breve ritorno alla Universal (con The Phantom of the Opera: (Il
fantasma dell'Opera,1925), rimase negli studios di Culver City fino alla sua morte
avvenuta nel 1930, in seguito a un cancro
alla gola. Ostile per principio ad ogni forma di pubblicità, e interamente dedito al proprio mestiere, egli non rispondeva
mai alle lettere degli ammiratori e a
chi voleva frugare nella sua vita privata soleva rispondere che "fra un
film e l'altro Lon Chaney non
esiste". Divenuto famoso specie per le sue fantasiose e terrificanti
truccature, che egli stesso inventava e realizzava sottoponendosi a fatiche e a
sofferenze inaudite, nei suoi ultimi film apparve quasi sempre col suo vero volto, dando forse in tal modo le prove
più convincenti del suo
istintivo e forte talento di attore.
Dei diciotto films cui prese parte alla M.G.M., vanno soprattutto
ricordati i seguenti: The Tower of Lies (1925), diretto nuovamente da Sjostrom, Tell It to the
Marines (I fanti del mare", 1927) di George Hill, Mister Wu (1927) di William Nigh, Mockery (1927) i Benjamin Christensen,
The Big City (1928) di Tod Browning, Laugh
Clown Laugh (Ridi
pagliaccio, 1928) di Herbert Brenon e The Unholy Three (1925) di
Browning, in cui sosteneva la doppia parte di un ventriloquo e
di una vecchia: lo stesso soggetto venne ripreso nel 1930 da Jack Conway e
costituì il debutto di Chaney nel film parlato, alla vigilia della sua morte. (continua)
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE
mercoledì 13 maggio 2020
Corrado Alvaro spettatore cinematografico
NOTA
PER FINE DI STAGIONE
Il cinematografo oggi è lo strumento di divulgazione, se non più duraturo, di efficacia più immediata. Se ne servono tutti i paesi per far propaganda alla loro storia, ai loro classici, ai loro costumi, alle loro idee.
giovedì 7 maggio 2020
I registi si confessano
I MIEI DIFETTI
di Mario Bonnard
Eugenio Giovannetti, con i suoi
articoli "senza peli sulla
lingua", ha cercato di indicare quali sono -
a suo modo di vedere - i difetti
dei nostri registi. Ma hanno veramente dei difetti, i nostri
registi? E sanno di averli? E sono disposti a confessarli? Ecco lo scopo di questa
inchiesta che si apre oggi con l'arguta risposta di Mario Bonnard.
Caro Doletti, non ho avuto la possibilità di leggere
l'articolo «Senza peli sulla
lingua» scritto su
di me da Eugenio Giovannetti, perché in quell'epoca ero in campagna;
ma un mio amico, che venne a trovarmi, me ne parlò con un certo riguardo e mi
consigliò di non leggerlo. Ero in campagna per ristabilirmi!
Ora tu mi chiedi qual i sono i miei difetti di regista; ti
rispondo subito e volentieri anche per tranquillizzare Giovannetti che si preoccupa tanto di me e rassicurarlo che
almeno non sono un illuso.
I miei difetti, come regista, sono tanti che, se dovessi enumerarli,
discuterli, sezionarli, dovrei scrivere un articolo talmente lungo che tu rinunceresti a pubblicarlo o
forse lo amputeresti a modo tuo. Perciò è meglio parlare di uno solo dei miei difetti: il principale, il più forte, quello che mi nega - ogni volta che vado in proiezione ad assistere ad un mio film - di essere talmente soddisfatto
da esclamare: «Questa volta ho fatto un film
perfetto!». Dunque, questo è il mio difetto
più importante: il Signor Difetto, che mi perseguita da tanti anni e che io
cerco disperatamente. Ma lui è più furbo di me: non si fa vedere, si nasconde
ed appare soltanto quando si accorge che io sonnecchio, o sono distratto e
allora senza pietà, ne approfitta per cambiarmi le carte in tavola e per farmi
fare tutto quello che vuole. Ciò mi procura un malessere terribile ed allora,
con uno sforzo, cerco di uscire dal mio torpore: ritorno in me, mi sembra di
vederlo, di poterlo afferrare, ma lui è già scomparso!
Eppure mi è vicino, perché lo sento ridere e sghignazzare: -
Anche questa volta te l'ho fatta, caro Bonnard, te ne accorgerai in proiezione!
Infatti è così: è sempre lui che vince!
Ah, difetto, se potessi trovarti! Ma io non lo potrò mai.
Soltanto una terza persona, una che tu non conosci, potrebbe afferrarti per la gola e trascinarti davanti a me. E
- allora si, ti farei parlare, ti costringerei con la forza a dirmi tutto il male -che mi fai ... Ma sta pur
tranquillo, signor Difetto, questa terza persona se ne infischia di te e di me.
Si, ogni tanto scrive nei giornali e parla dei miei film come gli altri: dice
male , troppo male, per dir male - o dice bene, troppo bene, per dir bene;
ma non si preoccupa di cercare te, che sei la mia rovina. E sono certo, caro Difetto, che quando leggerai
quelle critiche, riderai a crepapelle anche di lui e gli dirai: «Non mi trovi!
Hai trovato tanti difetti, ma quelli che vedono tutti: hai detto tante parole,
ma di me non hai mai parlato; perciò non hai risolto nulla».
Ed io sono condannato: non potrò mai liberarmi di te!
Mario Bonnard
La testata si riferisce al fiIm Catene
invisibibili diretto da Mario Mattoli, interpretato da Alida Valli,
Carlo Ninchi, Andrea Checchi.
(ProduzIone Italcine - Distr. I.C.I.)
film SETTIMANALE DI
CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V - N. 9
20 FEBBRAIO 1942 XX
In apertura due espressioni di Mario Bonnard che ricordano
il popolare regista di oggi e l'affascinante attore di trent'anni fa.
mercoledì 6 maggio 2020
Jean "d'arc" Seberg
JEAN SEBEBG: LA INSUPERABILE INTERPRETE DI GIOVANNA
D'ARCO
La «ragazza dello Iowa »
La giovanissima attrice scoperta da Otto
Preminger
riporta successi su tutti i teatrid'Europa - E' stata
scelta su 18 mila candidate - In poco tempo si è fatta una fama
Londra, giugno
AVEVO, spesso pregato
vari amici comuni di presentarmi a Graham Green, ma non si era mai verificato che venissimo a trovarci nella stessa città nell'identico
periodo di tempo. L’altalena della vita rimescolando nel crogiulo dei miei
desideri, non era mai riuscita a distruggere la speranza di potere avere una
lunga, interessante conversazione con chi, ancora oggi, rimane uno dei miei
autori preferiti. Avevo sempre saputo che prima o poi l’opportunità si sarebbe presentata ed ero
fermamente deciso a non lasciarmi sfuggire l'occasione di andare alla scoperta
di una personalità umana sulla quale avevo e continuo ad ascoltare estremi,
accesi giudizi contrastanti.
L'opportunità si presentò, come di sovente accade inaspettata,
un mattino dello scorso marzo in uno dei teatri di posa di Shepperton; ma dopo
le rituali convenevoli frasi che seguono ogni presentazione, il silenzio cadde
fra noi ed entrambi rivolgemmo la nostra attenzione verso la scena dove sotto
l'accecante luce dei riflettori una diciottenne fanciulla riviveva l'intimo
eccelso dramma di Giovanna d’Arco con tale sentito radicato tormento e sì forte sublime potenza espressiva, che
la finzione si trasformava in realtà e la realtà in arte.
Non avremmo potuto fare altrimenti poiché in quel momento
chi risoffriva le fisiche e le spirituali pene della Santa d’Orleans era, a
dispetto della giovanissima età e della immatura preparazione tecnica, una
grande attrice alla quale ieri Parigi e gli Stati Uniti ed oggi Londra hanno
tributato un appassionato trionfo con pochi precedenti; un volto ed un nome che
ben presto lo spettatore italiano annovererà fra i suoi favoriti: Jean Seberg.
Ho un amico arabo, che non vedo da parecchi anni col quale
ero solito conversare, nei tempi andati, durante le afose, interminabili,
eppure rimpiante, ioniche notti. Avevamo un punto in contrasto e parecchio in
comune ma toccare quel punto significava fare l'alba sui gradini del sagrato o
sulla prua di una barca. A parlare ero, per lo più io: El Amhed stava ad
ascoltarmi per poi invariabilmente ripetere: «Dipende ...». Correvo a
dissetarmi ad una fontana davo fondo al pacchetto delle sigarette e ripartivo
all'attacco. «Ascolta, figlio di un
cammello - gli dicevo -, non puoi prendere un uomo o una donna che non abbiano
mai recitato in vita loro e pretendere che ti diano una esatta interpretazione
dell’Amleto o dell'Elettra, dell'Osvaldo di Ibsen o della Saint Joan di Shaw.
La vocazione non è sufficiente: occorrono mesi o anni di studio».
Quando per la prima volta lessi che Otto Preminger aveva
bandito un concorso per scegliere la nuova Giovanna d'Arco e che al concorso si
erano presentate circa 18 mila candidate, come innumerevoli altri, sorrisi e
dissi: pubblicità. Più tardi, quando egli si accinse ad ascoltare alcune
migliaia di candidate fui assalito da un timido dubbio, per poi chiedermi,
subito dopo, su quale esperta attrice del teatro inglese o americano sarebbe
caduta la scelta. Al contrario arrivò la notizia che la scelta di Preminger era
caduta su una sconosciuta ragazza dello Iowa, una certa Jean Seberg. Mi chiesi
cosa avesse potuto spingere uno dei migliori registi e produttori il quale ha
dato allo schermo un intramontabile classico con «L'uomo dal braccio d’oro» e fra gli altri suoi eccellenti «Carmen
Jones», «La luna era blu» di fama mondiale, a scomodare Bernard Shaw, a
chiedere a Graham Green di adattare il lavoro per le esigenze cinematografiche
ad includere nel «cast» attori come Richard Widmark, John, Gielgud, Richard
Todd e tanti altri, la cui bravura aveva avuto il suggello dello applauso delle
platee di almeno tre continenti, per poi andare ad affidare il ruolo principale
e nello stesso tempo il più difficile aduna inesperta ragazza americana.
Pensai al mio amico arabo, poi con quella caparbietà che mi
viene dal granito del mio Aspromonte scossi il capo e dissi: follia. Follia
ripetetti, quando alcuni corrispondenti stranieri mi dissero che Jean Seberg
aveva tutte le doti per oscurare le precedenti interpretazioni della Falconetti
e della Bergman.
Ne rimasi doppiamente sorpreso. Di solito quelli del teatro
non amano le inesperte promesse della cinematografia› e per di più gli attori
inglesi sono portati a credere che un interprete di Shakespeare di Shaw o di Oscar
Wílde, non potrà mai raggiungere la perfezione se non nato sotto il grigio
cielo dell’isola britannica o, per lo meno, non abbia fatto il suo lungo
tirocinio in una delle rinomate scuole di recitazione di Londra.
Decisi di andare a Shepperton e telefonai a Bill Batchelor. Bill
è il migliore Publicity Director, sempre in viaggio, sempre impegnato con un nuovo film o un nuovo
lavoro teatrale da lanciare; ma fui fortunato: lo rintracciai alla prima
chiamata telefonica e gentile come sempre oltre a lasciarmi il «passo» m'invitò
a colazione. Durante la colazione presi una cartolina e l’indirizzai ad El Ahmed.
«Il miracolo è accaduto: Jean Seberg nella Saint Joan di Shaw, Green,
Preminger.» Non ho ancora ricevuto alcuna risposta; probabilmente il mio amico
arabo è fuori sede; ma so fin d'ora cosa mi dirà «Allah è grande! Allah è
giusto!»
Ho conversato a lungo con Jean Seberg, mentre gli
elettricisti e gli operai preparavano la scena. Fuori della luce dei riflettori la personalità di questa giovane donna nulla
perde del suo fascino. I grandi, chiari, bellissimi occhi magnetici continuano
a brillare come arsi da una perenne febbre spirituale ed il volto continua ad
esprimere con incisiva forza magica i brillanti pensieri della sua non comune
intelligenza ed i sentimenti che travagliano o accendono il suo nobile cuore di
fanciulla sensitiva; la quale ancor oggi ,dopo gli unanimi riconoscimenti e i
successivi trionfi al di qua e al di là dell'oceano conserva il raro dono
divino della semplicità.
Renzo Pettè
GAZZETTA DEL SUD, Domenica 18 Giugno 1957
lunedì 4 maggio 2020
I lupi attaccano in branco, Franco Cirino 1970
SEGNALATI DAI PASTORI
Branchi di lupi sull’Aspromonte
Platì, 2 gennaio `
Molti pastori di questo centro, dislocati in vari punti dell'Aspromonte
hanno segnalato la presenza di numerosi lupi nelle zone anche vicine all'abitato.
Nella serata di ieri alcune dir queste belve si sono portate
in un recinto di capre posto in contrada Arcopallo e hanno sbranato alcuni capi
della mandria. Altri capi di bestiame, tra cui sei mucche e diverse pecore sono
scappati via impauriti dall'assalto e non sono stati poi ritrovati.
I pastori danno attivamente la caccia alle pericolose belve,
che si presume siano in tutto una diecina, ma le battute condotte finora non
hanno dato nessun risultato positivo.
La sera di martedì 27 dicembre, verso le ore ventitré,
alcuni giovani di questo centro hanno dichiarato di avere visto, lungo la via
Roma, risalire una piccola torma di cani uggiolanti. Appare probabile adesso,
che dovevasi trattare di qualche lupo spinto dalla fame nel paese.
GAZZETTA DEL SUD 3 gennaio 1955
Dal tono della scrittura si può tranquillamente attribuire il
testo all’avvocato Michele Fera.
Oggi senza motivo apparente mi sono lasciato andare,
con una dose minima di visionaria visione, in uno scambio di parti: qui
leggerete il testo che doveva essere nel suo sito fratello e viceversa qui
la pubblicazione originaria per questa pagina.
domenica 3 maggio 2020
I don't wanna be another Richard Jewell
I did my job that
night, and some people are alive because of that.
But do you think that
the next time some security guard sees a suspicious package, that he or she's
gonna call it in?
I doubt it.
You know? 'Cause they're
gonna look at that and they're gonna think, "I don't wanna be
another Richard
Jewell.
So I'm just gonna
run."
Quella sera ho fatto il mio lavoro, e delle persone sono vive grazie a
questo.
La prossima volta che una guardia noterà un pacco sospetto...
Pensate che darà l'allarme?
Ne dubito.
Perché lo guarderà e penserà: "Non voglio finire come Richard
Jewell, quindi mi giro e vado via."
Clint Eastwood, Richard Jewell, 2019
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