Il
prototipo del « detective » è il C. Auguste Dupin di Edgar Allan Poe. Mezzo
artista, mezzo scienziato Dupin impone alle apparenze distorte di un mondo
percorso da un orrore irrazionale le sembianze di un ordine sovrano. Prova e
riprova che anche l'incubo più delirante, cioè
disorganizzato (etimologicamente il termine delirio sta ad indicare il
movimento che l`aratro compie accidentalmente schizzando dal solco), i corpi
straziati che ostruiscono il camino di una camera in cui nessuno sembra aver
messo piede, può essere decifrato. Secondo questo modello la « detective story
›› si basa su un'estensione della tipica risorsa del romanzo gotico: il «
marveilleux expliqué ››. Ma inserito in un quadro particolare inventato dallo
stesso Edgar Allan Poe, in cui un narratore si pone come testimone ammirato
(secondo l'espressione di Jean-Paul Sartre, per il quale si assisterebbe allo stesso rapporto tra il
narratore e il Monsieur Teste di Paul Valéry) delle prodezze cerebrali di un
pensatore che sublima nella sfera delle idee un gesto sanguinario. È dal
narratore di Edgar Allan Poe che derivano tutte le successive figure vicarie di
fidi cronisti di annali polizieschi: il dottor Watson [che fa coppia con
Sherlock Holmes), Archie Goodwin (con Nero Wolfe), Hastings [con Hercule
Poirot), Vain [con Philo Vance), ecc. Caratteristica del testimone ammirato,
confuso e terrorizzato in misura maggiore dello stesso lettore, e quella di
limitarsi ad -osservare e registrare gli « exploits ›› delle meningi del « detective
››, sempre freddo e perspicace. Il narratore è più tardo del cosiddetto uomo
della strada e il « detective » non è che una versione inedita del « «poète
maudit », un recluso solitario che di tanto in tanto si degna di dare una mano
alla società da cui si sente escluso. « Detective stories ›› di questo genere
vengono di solito usate per proiettare una patetica immagine dello stesso
autore in quanto essere volontaristicamente utile nei confronti della società
costituita, per quanto incompreso e disprezzato.
È
quanto succede nella Casa del corvo (sceneggiato
dallo scrittore di romanzi polizieschi John
Dickson Carr, in cui il
protagonista (Joseph Cotten] accoglie in sé i caratteri di Edgar Allan Poe e
del C. Auguste Dupin. Anche lo stesso Poe è stato costretto a dissolvere
completamente la barriera tra arte e vita, tra lo scrittore e l'investigatore,
provvedendo nel « Mistero di Marie Roget ›› a dare soluzione a un caso
criminale dell’epoca rimasto insoluto. Ma è soprattutto in « Eureka ›› che
Edgar Allan Poe ha tentato di liberarsi della propria maschera, dando risposta
al più sconcertante «whodunit» il «chi è stato?›› possibile e immaginabile: il
caso della Creazione. In questa «detective story» cosmogonica Poe cerca di dimostrare
che il mondo deve ritornare a Dio, il Creatore, il Maestro, l'Ingegnere - Architetto,
a prezzo del sacrificio della creatura. «Cerchiamo di capire, egli afferma, che
la Natura tende a scomparire, e che Dio solo deve rimanere, intero, unico e
completo». L'essenziale di «Eureka›› consiste nel tentativo di far convergere
compulsione della ricerca e strutture dell'universo. Ma questo tentativo
non e che un'auto-difesa. Edgar Allan Poe mira in realtà a dimostrare che non
vi sono né maniaci, né artefici persecutori ma soltanto spettatori della loro
ritirata e della loro estromissione, postulando una perfetta sintesi tra
conoscenza, natura e poesia. Le ultime due creano le loro forme per scopi
comuni. Spetta poi alla conoscenza prospettare questa unità d’azione e
d'indirizzo, in vista dello scioglimento risanatore di ogni tensione dolorosa. (continua)
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA
AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾
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