Il duce inaugura Cinecittà
Il cinema del Duce
Si potranno fare tutte le riserve che si vogliono sui rapporti tra il Festival di Venezia e gli interessi politici del Duce, ma è incontestabile che questa idea del Festival Internazionale ha fatto, da allora, la sua strada e se ne misura oggi il prestigio nel vedere quattro o cinque nazioni europee annettersene le spoglie.
Se non avessimo avuto durante la guerra, e a buon diritto, un partito preso, film come Uomini sul fondo o La nave bianca di Rossellini avrebbero colpito un ò di più la nostra attenzione. Del resto, anche quando la stupidità capitalista o politica limitava al massimo la produzione commerciale, l’intelligenza, la cultura e la ricerca sperimentale si rifugiavano nella pubblicistica, nei congressi di cineteca e nella realizzazione di cortometraggi. Lattuada, regista del Bandito, allora direttore della cineteca di Milano, per poco non andava in prigione per aver osato presentare la versione integrale della Grande Illusione nel 1941.
Gusto e cattivo gusto delle scenografie, idolatria delle vedette, enfasi puerile della recitazione, ipertrofia della messa in scena, intrusione del tradizionale apparato del bel canto e dell’opera, storie convenzionali influenzate dal dramma, dal melodramma romantico e della chanson de geste per romanzo d’appendice.
Oggi che la carica degli elefanti di Scipione non è più che un rimbombo lontano, possiamo prestare orecchio un po’ meglio al rumore discreto ma delicato che fanno Quattro passe fra le nuvole.
Registi come Vittorio De Sica, autore dello splendido Sciuscià, si sono sempre dedicati alla realizzazione di commedie molto umane, piene di sensibilità e di realismo, fra le quali, nel 194: I bambini ci guardano. Un Camerini realizzava già nel 193 Gli uomini che mascalzoni la cui azione si svolge, come quella di Roma città aperta, nelle strade della capitale, e Piccolo mondo antico non era meno tipicamente italiano.
André Bazin, op. cit.
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