I film italiani recenti sono perlomeno pre-rivoluzionari: tutti rifiutano, implicitamente o esplicitamente, con l’umorismo, la satira o la poesia, la realtà sociale di cui si servono, ma sanno, anche nelle prese di posizione più chiare, non trattare mai questa realtà come un mezzo. Condannarla non obbliga alla cattiva fede. Essi non dimenticano che prima di essere condannabile, il mondo, semplicemente, è. … ma ditemi se, uscendo dopo aver visto un film italiano, non vi sentite migliori, non avete voglia di cambiare l’ordine delle cose, ma di preferenza persuadendo gli uomini, almeno quelli che possono esserlo e che solo l’accecamento, il pregiudizio o la sfortuna hanno condotto a fare del male ai loro simili.
Per questo quando se ne legge il riassunto, la storia di molti film italiani non resiste al ridicolo. Ridotti all’intrigo, molto spesso, non sono che melodrammi moraleggianti. Ma nel film tutti i personaggi esistono con una verità sconvolgente. Nessuno è ridotto allo stato di cosa o di simbolo, il che permetterebbe di odiarli senza dover superare preliminarmente l’equivoco della loro umanità.
Per il momento il cinema italiano è molto meno politico che sociologico. Voglio dire che delle realtà sociali così concrete come la miseria, il mercato nero, l’amministrazione, la prostituzione, la disoccupazione non sembrano ancora aver ceduto il posto nella coscienza del pubblico ai valori a priori della politica. I film italiano non ci informano quasi per niente sul partito a cui appartiene il regista, e neppure su quello che accarezza. Questo stato di fatto deriva senza dubbio dal temperamento etnico, ma anche dalla situazione politica italiana e dallo stile del partito comunista della penisola.
André Bazin, op. cit.
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