giovedì 12 novembre 2015

Jean Prévost e Robert Brasillach scoprono il cinema

  ROBERTO E GIOVANNI

Fra i critici cinematografici francesi << fra le due guerre >>, due, che erano anche romanzieri e saggisti di larga fama, emersero per doti singolari, per una sorta di fiamma, di calore, di grazia che emanava dalle loro riflessioni. Per dir tutto, da quel dono che gli dei, che sovrintendono a queste cose, largiscono soltanto a pochissimi, il dono della personalità. I due critici si chiamavano Jean Prévost e Robert Brasillach.
 Ora, da un po' di tempo, il ricordo di questi due morti (perché di due morti si tratta) ci ossessiona. Erano, anno più anno meno, della nostra generazione. Sarebbero stati cioè, in questo anno '48, l”uno Prévost, alquanto sopra, l'altro Brasillach. appena sotto i quarant'anni, età nella quale chi può, chi se la sente, tira un primo bilancio; e, ciò che più conta, entrambi morirono di morte fulminea, non per repentina malattia o per disgrazia, ma travolti nella guerra civile. Jean Prévost, dei due il più anziano, è morto in una luce gloriosa, in un patetico alone di sacrificio e di speranza; con le armi alla mano, da protagonista della Resistenza, in un agguato teso dai nemici: Robert Brasillach è invece caduto sotto le pallottole dei gollisti, che lo condannarono a morte, per tradimento, pochi mesi dopo la cacciata dei tedeschi dalla Francia.
I due destini, come si è detto, ci angosciano. Quello che è successo a Prévost e a Brasillach poteva succedere a noi e ai nostri amici. E gli interessi culturali dell'uno e dell’altro ci erano tanto vicini, da aver l’impressione, leggendoli, di intendere la voce di un compagno di banco, di un collega di università o di redazione. Si intende che la fine di Brasillach, per quel moto del cuore per cui i peccatori puniti ci sono più vicini della gente meno avventurosa, ci è vicina con maggior urgenza di quella di Jean Prévost; eppure, per uno straniero disinteressato, forse per lo storico futuro, i binari del loro destino, cosi divergenti nella cronaca contemporanea, finiscono per unirsi. Per ciò che riguarda il cinematografo, la testimonianza di Prévost come quella di Brasillach è una testimonianza preziosa. Sono, nel primo dopoguerra, degli intellettuali che si avvicinano al cinematografo, non più per sfruttarlo o per un labile divertimento. ma per comprenderlo, amandolo. Per molti uomini di lettere, usciti, adolescenti o ragazzi, dalla vittoria del '19, il cinematografo fu davvero una scoperta vitale, una finestra spalancata su panorami e vie sconosciute, una magica possibilità offerta a un romantico desiderio di cose nuove, di nuove esperienze, di conturbanti scoperte. Questa testimonianza è affidata sia nell'uno che nell’altro scrittore a due delicati romanzi, in cui la parte autobiografica ha, come accade, un accento più puro e pagine rivelatrici. 
In << Diciottesimo anno >> Prévost ha fatto il racconto della sua giovinezza studiosa, del suo incontro con la politica attiva e con l’insegnamento di uno dei cervelli più lucidi, dei caratteri più fermi, delle coscienze più singolari di Francia, il filosofo Alain, Prévost vi racconta che, diciottenne, andò incontro, portando la bandiera rossa, alle << matraques ›› dei poliziotti. Con lo stesso animo, vent'anni più tardi affronterà le pallottole naziste. Ne << I sette colori >> Brasillach narra
(cronologicamente siamo a dieci anni di distanza dal romanzo di Prévost) il suo ritiro studioso nella Rue d’Ulm, ospite della Scuola normale superiore, la scoperta del cinema e della politica fascista. Una premessa morale, un'idea abbracciata in fretta da giovani, il gusto della cultura e del cinema, presiedono dunque << in nuce >› al destino dei due scrittori. Ora noi ci chiediamo non perché sono morti, ma perché non sono caduti nella stessa parte delle barricate (puramente figurate, questa volta) della guerra civile.
In Francia, paese cattolico alle frontiere con le nazioni protestanti, vige dal ”6oo, da quando il Re Sole fece abbattere i muri degli eremi di Port Royal, una sotterranea polemica che è la polemica giansenistica. I solitari pensatori di Port Royal volevano immettere nella coscienza cattolica la sottile angoscia della Grazia. Perché alcuni di noi saranno eletti nel cielo ed altri condannati alle tenebre eterne? Perché Dio, che sa tutto, ha deciso lui di scegliere nella paurosa lotta della salvazione? E come ammettere il velo di oscurità, la cortina fumogena, diremmo noi moderni, che l'autorità di Roma ha voluto porre, schivando le pagine di Sant”Agostino, su tale problema?
Spianate le tende dei nuovi profeti, la polemica, come s'è detto, è continuata sotterranea nella Francia moderna. Essa è arrivata alla luce del sole tutte le volte che il paese è stato squassato da una ideologia, da una passione, o dal piede dello straniero. Il problema s'è posto con Zola durante l'affare Dreyfus; con Jaurès e con Péguy al principio dell'altra guerra; s”è ripresentato con i nostri due morti nel corso della lotta civile che ha opposto sanguinosamente le due Francie negli anni del1°occupazione tedesca.
Il dovere s'è atteggiato, per chi era in buona fede, per chi si è buttato nella lotta col cuore, in due modi' diversi. Tanto Brasillach come Prévost hanno pagato con la vita la fede alla loro giovinezza; ma uno è morto alla luce del sole e l'altro negli incerti mattini che assistono alle esecuzioni.
Non è lecito ricercare nei due, oltre la polemica che non tocca uno straniero educato, il punto del loro avvicinarsi?
                                                                                                                                                                     continua
Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972

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