mercoledì 18 novembre 2015

Sperduti nel buio del fotogramma



Come tutte le cinematografie anche il cinema in Giappone ha guardato, dagli inizi, al mito, alla tradizione e alla letteratura del passato. A partire da Teinosuke Kinugasa fa di più, esplora il fondo tenebroso della mente. Con A page of madness (Kurutta ippeiji, 1926) e Crossroads  (Jūjirō, 1928), riportiamo i titoli in inglese perché più facile il loro reperimento, non è altro che uno sprofondare nelle zone nere del cervello ma anche della fotografia. La trama serve da base per poter sperimentare all’infinito con la grammatica del cinema. Il resto in Giappone lo facevano i Benshi (弁士) che, in sala,  durante la proiezione, conducevano gli spettatori alla visione dei film . Agli spettatori di oggi che li guardano senza didascalie, o se vi compaiono sono negli ideogrammi originali, è lasciata la libertà di immergersi a loro piacimento nel caos delle immagini carpendo un’esile canovaccio per collegare il tutto. Gli studenti di cinema,  per parte loro, scorgono delle influenze di volta in volta francesi, tedesche e russe. Secondo noi solo per il motivo di aver assistito prima ai capolavori venuti fuori da quei paesi. Questa tesi la si può rovesciare a favore del cinema  “ made in Japan “.

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