lunedì 25 maggio 2020

PVFF - Platì Virtual Film Festival - Second Season

Quando si dice che il film deve piacere al pubblico,
si enunzia grossolanamente una verità fondamentale
di ogni arte.
 Corrado Alvaro


 PVFF
Platì Virtual Film Festival
Second Season
Sotto gli auspici di Enzo Ungari



CORRADO ALVARO
o
il vero spettatore cinematografico
20 film da vedere assolutamente

Programma:
Altri tempi (Zibaldone n. 1), Italia 1952; Alessandro Blasetti.
L'amante del torero (The bull-fighter and the lady), USA 1951; Budd Boetticher.
L'Angelo azzurro (Der blaue engel), Germania 1930; Josef von Steinberg.
L'asso nella manica (The big carnival o Ace in the hole), USA 1951; Billy Wilder.
Atlantide (Die herrin von Atlantis), Francia-Germania 1932; Georg W. Pabst.
Aurora (Sunrise), USA 1927; Friedrich W. Murnau.
Bellissima, Italia 1951; Luchino Visconti.
I dannati (Decision before dawn), USA 1951; Anatole Litvak.
9 Diario di un curato di campagna (Journal d'un curé de campagne), Francia 1950; Robert Bresson.
10 Il dottor Caligari (Das kabinett des Dr. Caligari), Germania 1920; Robert Wiene.
11 Germania anno zero, Italia-Germania, 1947; Roberto Rossellini.
12 Luci della ribalta (Limelight), USA 1952; Charles Chaplin.
13 Metropolis (id.), Germania 1926; Fritz Lang.
14 1860, Italia 1934; Alessandro Blasetti.
15 Morte di un commesso viaggiatore (Death of a salesman), USA 1951; Laslo Benedek.
16 Rashômon (id.), Giappone 1950; Akira Kurasawa.
17 Risate in paradiso (Laughter in paradise), G. Bretagna 1951; Mario Zampi.
18 Roma città aperta, Italia 1945; Roberto Rossellini.
19 Salerno ora X (A walk in the sun), USA 1945; Lewis Milestone.
20 Sangue blu (Kind hearts and coronets), G. Bretagna 1949; Robert Hamer e John Dighton.
21 Telefonata a tre mogli (Phon call from a Stranger), USA 1952; Jean Negulesco.
22 Umberto D., Italia 1952; Vittorio De Sica.
23 Un uomo tranquillo (The quiet man), USA 1952; John Ford.
24 Verso la vita (Les bas-fonds), Francia 1936; Jean Renoir.
25 Viale del tramonto (Sunset boulevard), USA 1950; Billy Wilder.

Il cinema Corrado Alvaro lo portò sempre con sé. Accanto alla sua attività di romanziere, viaggiatore, giornalista e quant'altro, il legame col cinema non lo staccò, stancò mai: dentro l'industria dapprima e come saggista e critico dopo. I film riportati sopra ne sono un esempio. Quale più, quale meno sono sempre stati visti con l'occhio dello spettatore cinematografico più accorto. Le sue critiche erano tutte derivate dalla sua esperienza di scrittore ma anche di uomo vissuto. I suoi apporti critici a film come Diario di un curato di campagna, Morte di un commesso viaggiatore, Rashômon, Umberto D., Un uomo tranquillo, tra gli altri, letti con pieno coinvolgimento emotivo e con spirito libero. Le sue esperienze basilari di vita nella Grande Guerra e nella Germania di Weimar confluite dapprima nelle opere letterarie, le ritroviamo nelle recensioni de I dannati (Decision Before Dawn) e in Salerno ora X, schifoso titolo per l’edizione italiana di A Walk in the Sun e quando parla della nascita del mito di Marlene Dietrich in L’angelo azzurro. Negli scritti sul cinema un Alvaro poco ossequioso col potere specie quello ecclesiastico, ad onta di un fratello prete che probabilmente lo capì poco, lui a dover fare i conti con le città in espansione, don Massimo a Caraffa del Bianco dove ancora tutto era legato ai cicli della terra. Leggendo lo scritto sul capolavoro di Robert Bresson -  Diario di un curato di campagna - si intuisce la sua profonda conoscenza del mondo dei preti, sulla loro vita e missione. E qui voglio ricordare che don Massimo fu compagno in seminario di Ernesto Gliozzi il giovane e aiuto di Ernesto Gliozzi il vecchio, parroco in Casignana. Egli, per finire, fu uno dei pochi ad intuire la portata estetica e morale di un cineasta come Alessandro Blasetti - “l’amore delle idee generali, la prima dote che colpisce accostandolo; anche in chi come me, gli ha parlato per qualche istante una volta appena(1) - e a cui il cinema italico deve molto. Alvaro intuì l'importanza e i pregi di 1860 – “mostra quali risultati si possano ottenere in Italia sia pure con una certa economia di mezzi (2) - ben prima di Martin Scorsese.

(1 ) Su "Il Mondo", 15 novembre 1952
(2 ) Su "Nuova Antologia" 16 maggio 1934


Forse dopo Corrado Alvaro le critiche più originali le ritroviamo proprio in Enzo Ungari (1948 - 1985)

domenica 24 maggio 2020

La poesia di Limelight

Limelight si svolge in gran parte attraverso una vicenda affidata alla finzione teatrale. I numeri di varietà che vi sono inseriti, il sognato incontro di primavera con quel piumino da spolverare che diventa un mazzo di fiori; il numero del domatore di pulci; la canzone della sardina; il duetto finale con Buster Keaton, non sono tanto ritorni a motivi cari a Chaplin per fare spettacolo, quanto modi di proiettare la vicenda reale in una simbologia evidente, la fortuna e la sfortuna delle illusioni che offre il teatro. Vien fatto di notare che in passato, in molte scene comiche di questo genere, la truccatura di Chaplin era piuttosto amabile, la maschera cara an- che ai bambini. In Limelight, la truccatura non nasconde la faccia reale dell'uomo che lotta, trafelata e travagliata dalle competizioni con la vita, disperata, vendicativa. E un Chaplin che strappa il velo delle illusioni e mostra il viso dell'uomo sofferente che lotta per adempiersi. La poesia di quella finzione che è il teatro, cui questo film è il maggiore omaggio che fino ad ora abbia dato il cinema, è una delle doti più attraenti di Limelight. Il retroscena, la pedana del palcoscenico, la ribalta, sono in questo film paesaggi veduti con l'occhio di chi ne conosce le ore e i momenti come d'un paesaggio natale. E il paese di Chaplin. E la poesia che si leva dalla danza piena di trepidazione di Teresa, sulla pedana lucida come l'asfalto, mentre il suo creatore e amico e innamorato e padre trema dietro le scene, è il canto d'una vita che comincia, e che sotto il giudizio degli uomini, accigliato e infine vinto, sente di essere entrata
 come una forza nuova nel mondo, a prendere il posto di chi cade nella lotta. La conquista di niente altro che del diritto alla vita.
CORRADO ALVARO « Il Mondo», 3 gennaio 1953

venerdì 22 maggio 2020

L'innocente Lea



TIPI E CARATTERI
LEA PADOVANI

Se l’immissione continua di nuovi elementi per ogni cinematografia è fattore decisivo di continuità e di miglioramento, per quella italiana è addirittura condizione indispensabile di vita, ora che il problema primo per la nazione è quello di rompere i ponti col passato e costruire “ex novo” ogni cosa. Non deve quindi sembrare inopportuno che “Film d'oggi” inizi una galleria di elementi che possono costituire i quadri di oggi e di domani del nostro cinema nuovo, quando ancora la nostra produzione è lungi dall'aver ripreso.
Lea Padovani ha poco bisogno di essere presentata, ma un urgente bisogno di essere ripresentata.
Questa ragazza infatti ha già interpretato come prima attrice, sostenendo la parte di un'ingenua collegiale l'ultimo film di Macario. L'innocente Casimiro, la cui visione sconsiglierebbe ogni uomo di buon gusto dal fare affidamento su di lei per il nuovo cinema italiano.
Ma appare chiaro a chiunque l’abbia vista in teatro, e queste foto si sforzano di dimostrarlo, che questa giovane attrice è qualcosa di meglio che non una collegiale convenzionale e dolciastra; potrà semmai fare “certe” collegiali. E’ quanti che possono venir furi le sue caratteristiche più intime e più espressive: un viso di adolescente con occhi acuti e gravi su di un corpo esuberante di donna.
Un tipico esemplare della gioventù del dopoguerra, cresciuta fra difficoltà molteplici e crude, fra guerre, rivoluzioni, rovine materiali e morali, in un clima di dispersione spirituale forse senza precedenti. Ma non vorrei aver dato una impressione troppo cupa né aver segnato dei limiti troppo precisi. Senza dubbio, infatti, Lea Padovani è fra le giovani attrici una di quelle più dotate di senso umoristico nella sua accezione più moderna, americana direi, cosa che le dà evidentemente la possibilità di interpretare con successo ruoli comici o addirittura caricaturali; pur non escludendo che le si addica, anche il dramma.
Per la storia diremo che Lea Padovani è uscita dall'Accademia di Arte drammatica di Roma, recita a attualmente nella compagnia Macario e si prepara ad affrontare, la prosa.
Che il cinematografo prima o poi la requisisca ci appare inevitabile. Se questa operazione avverrà sotto l'auspicio di qualche uomo di cinema intelligente e di gusto, Lea Padovani, collegiale cattiva sarà una delle nostre attrici migliori.
SERGIO SOLLIMA
Film D'OGGI Anno 1 - n. 1 - 9 giugno 1945

Lea Padovani è ritratta da Barzacchi

mercoledì 20 maggio 2020

Corrado Alvaro: Il carattere di Charlie Chaplin


È la prima volta in Limelight (Luci della ribalta) che in un film di Charles Chaplin il protagonista muore. Ha successo finalmente ma muore. Negli altri, correva da insuccesso a insuccesso, la speranza chiamava la vita ed era la stessa vita. Sul valore della vita, l'eroe di Chaplin non aveva neppure il tempo di riflettere, era giovane, prendeva quello che poteva. Erano tempi di miseria ma il mondo era ricco. In quasi tutti i film di Chaplin è l'idea di una immensa ricchezza che si spreca; soltanto che essa non tocca al protagonista se non per caso o errore. Del resto, egli non fa conto di che cosa sia la ricchezza, non la valuta, non la invidia, non la desidera neppure; è un concetto che non gli entra nella mente; essa è lontana da lui come è lontana la luce del sole che lo illumina e lo scalda; ne profitta ma non ne misura la forza e tanto meno il mistero.
In genere, nei film di Chaplin non c'è rivolta né critica sociale; le si trova in Monsieur Verdoux, un film velleitario del falso o ingenuo intellettualismo degli istintivi, ma non 'nel resto. L'eroe di Chaplin accetta la società quale è, e anzi cerca di inserirvisi. Soltanto che è maldestro, buffo, impresentabile. C'è una differenza di razza tra lui e il detentore della ricchezza e della fortuna, in genere tardo se non stupido, in cui l’educazione è una forma di debolezza; e nei momenti in cui è generoso, pazzo o distratto o ubriaco. L'eroe di Chaplin è un errante e un vagabondo che non riesce, con tutta la sua buona volontà, a inserirsi in un sistema. A modo suo, sogna sempre la fortuna. La vita è una selva di persone che egli capisce, sì, con le loro debolezze e magagne, con una fondamentale inconsistenza, solidi per complicità, ma cui egli non riesce ad adeguarsi. C’è molto disprezzo nel modo con cui 'l'eroe di Chaplin vede la vita. Egli può disprezzare anche se stesso per il suo stato sociale ma non per le sue possibilità. Si disprezza nella sua presenza contingente ma non per quello che potrebbe essere. Gli altri li disprezza per quello che sono, nel loro carattere immutabile e nel loro atteggiamento fisso. Se mai, le maschere sarebbero loro, i regolari, non lui, l’irregolare. Essi sono la società, e questa società bisogna vincerla, adeguarvisi sia pure ingannandola più o meno ingenuamente. I potenti, in Chaplin, sono in genere anche fisicamente schiaccianti, grossi animali sopravvissuti alla preistoria dell'uomo: sono i violenti e i malvagi e gli avari e gli ingenerosi al confronto di un prodotto più debole ma più interessante della civiltà: l'uomo dotato di intelligenza e di umanità, starei per dire l’intellettuale. E Ulisse contro Polifemo, Davide contro Golia. Del tipo debole e scaltro, Chaplin ci presenta spesso un altro lato del carattere: l’incapacità di reggere a una fortuna grande o piccola che sia, il fatto di tradirsi diventando più goffo e più inopportuno; è un nuovo fallimento, e si ricomincia daccapo.
Corrado Alvaro su:« Il Mondo», 3 gennaio 1953

In apertura - 1944: Invecchiato, dignitoso, in apparenza impenetrabile, Charlie Chaplin si reca al processo intentato da Joan Berry per il riconoscimento di paternità di una figlia . Attorno a lui non è più la folla entusiasta che lo idoleggia da trent'anni. Egli è solo.

lunedì 18 maggio 2020

Gianna Maria Canale campionessa di karate




UN’ATTRICE ENERGICA
Gianna Maria Canale si difende
Da una aggressione alla frontiera
dalla tecnica delle varie forme

L' imprevedibile resistenza opposta da un’attrice alla decisa aggressione di due avventurieri costituisce il più sensazionale fatto di cronaca di questi giorni e se ne leggono lunghe corrispondenze specialmente su giornali francesi. La bellissima. Gianna Maria Canale, che compiva un lungo viaggio a bordo di una lussuosa «limousine», veniva fermata da due brutti ceffi che la costringevano a discendere dall’auto ad avviarsi, sotto la minaccia di una pistola, verso un sentiero di campagna.
Ad un tratto l'attrice si voltava verso uno degli aggressori e con un rapidissimo colpo alla gola lo faceva cadere di schianto. Anche l'altro uomo veniva colpito mentre cercava di immobilizzare l’attrice.
«Gli insegnamenti della lotta giapponese mi sono stati preziosi in questa occasione» - ha spiegato l'attrice ai corrispondenti francesi che si sono recati ad incontrarla al posto di polizia, di frontiera.
Il rapporto di forza stabilito dalla tecnica delle varie forme di combattimento individuale - dal pugilato alla lotta libera - appare del tutto superato quando si pensi che una rappresentante del «sesso debole» può fronteggiare una aggressione, sventarla facilmente e mettere fuori gioco e gli avversari. Quasi avesse potuto servirsi di uno di quei tocchi «magici con cui le fiabesche Fate rendevano vana ogni minaccia, l'attrice ha allontanato da se il grave pericolo con una rapida mossa che ha colto di sorpresa i due feroci aggressori. «La bellezza inerme che si piega alla forza bruta - ha detto Gianna Maria Canale - è in piena contradizione con la modernità. Una donna può farsi buona guardia da se stessa, purché si metta in condizione di difendersi, e non occorre molto».
Per quanto la Polizia abbia organizzato una battuta non sono stati rintracciati i due aggressori dell’attrice, i quali devono evidentemente essersi dati a vergognosa fuga. Gianna Maria prese delle lezioni di lotta giapponese un anno fa, quando si recò nel Marocco Francese per il film «Allarme a Sud» e non immaginava che quanto aveva appreso per la finzione cinematografica dovesse un giorno servirle nella realtà della vita, Difatti in una scena di quel film può sembrare appena credibile lo straordinario effetto di un colpo dato alla gola dell’avversario col palmo della mano a taglio, mentre è noto che la tecnica della lotta giapponese si basa appunto sugli effetti che si raggiungono toccando con precisione alcun delicati centri di sensibilità nervosa.
Il film «Allarme a Sud», che viene in questi giorni presentato sui nostri schermi narra le drammatiche traversie di un'affascinante danzatrice che messasi a disposizione del Servizio Segreto Francese nel Marocco riesce a svelare il mistero dell’invenzione del «raggio della morte» da parte di uno scienziato che si era nascosto tra i ruderi millenari di una. Città araba semisepolta dalle sabbie del deserto. Altri interpreti principali del film «Allarme a Sud» sono Erich von Stroheim, Lia Amanda, Jean Claude Pascal. E' la più affascinante storia d'amore nello sfondo degli intrighi dello spionaggio internazionale.
E' quell’ambiente di cui la cronaca dei recenti avvenimenti marocchini si è così vivamente interessata.
Lo scenario ineguagliabilmente suggestivo del Marocco francese è reso pienamente sullo schermo nei suoi aspetti più diversi e contrastanti dalle bianche citta assolate alla immensità, del deserto, in cui le carovane di cammelli tracciano itinerari che sconfinano nell’irreale. «Allarme a Sud», è una straordinaria avventura nel più affascinante e misterioso paese del mondo.
GAZZETTA DEL SUD Domenica 3 giugno 1954

Nelle immagini Peter van Eyck, Gianna Maria Canale e Jean Tissier


domenica 17 maggio 2020

Un leone a Culver City - Lon Chaney



Il re del trucco

Del tutto al di fuori dell'imperante "Star System" si svolse invece l'attività di Lon Chaney, uno dei più grandi attori del muto. Nel cinema dal 1913 come attore, ed anche - intorno al 1915 - come regista e soggettista, passato dall'Universal alla Paramount, dalla prima Metro a Goldwyn, a partire dal 1924 (col già ricordato film di Sjostrom), tranne un breve ritorno alla Universal (con The Phantom of the Opera: (Il fantasma dell'Opera,1925), rimase negli studios di Culver City fino alla sua morte avvenuta nel 1930, in seguito a un cancro alla gola. Ostile per principio ad ogni forma di pubblicità, e interamente dedito al proprio mestiere, egli non rispondeva mai alle lettere degli ammiratori e a chi voleva frugare nella sua vita privata soleva rispondere che "fra un film e l'altro Lon Chaney non esiste". Divenuto famoso specie per le sue fantasiose e terrificanti truccature, che egli stesso inventava e realizzava sottoponendosi a fatiche e a sofferenze inaudite, nei suoi ultimi film apparve quasi sempre col suo vero volto, dando forse in tal modo le prove più convincenti del suo istintivo e forte talento di attore. Dei diciotto films cui prese parte alla M.G.M., vanno soprattutto ricordati i seguenti: The Tower of Lies (1925), diretto nuovamente da Sjostrom, Tell It to the Marines (I fanti del mare", 1927) di George Hill, Mister Wu (1927) di William Nigh, Mockery (1927) i Benjamin Christensen, The Big City (1928) di Tod Browning, Laugh Clown Laugh (Ridi pagliaccio, 1928) di Herbert Brenon e The Unholy Three (1925) di Browning, in cui sosteneva la doppia parte di un ventriloquo e di una vecchia: lo stesso soggetto venne ripreso nel 1930 da Jack Conway e costituì il debutto di Chaney nel film parlato, alla vigilia della sua morte. (continua)
Fausto Montesanti 

CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE

In apertura Williams Haines e Lon Chaney in Tell It to the Marines, di seguito con Renée Adorée in Mister Wu

mercoledì 13 maggio 2020

Corrado Alvaro spettatore cinematografico


NOTA PER FINE DI STAGIONE

Intorno al carattere della nuova cinematografia italiana si sono avute le dichiarazioni al Senato di Galeazzo Ciano, a quei giorni ministro per la Stampa e la Propaganda.
Il cinematografo oggi è lo strumento di divulgazione, se non più duraturo, di efficacia più immediata. Se ne servono tutti i paesi per far propaganda alla loro storia, ai loro classici, ai loro costumi, alle loro idee.