lunedì 18 maggio 2020

Gianna Maria Canale campionessa di karate




UN’ATTRICE ENERGICA
Gianna Maria Canale si difende
Da una aggressione alla frontiera
dalla tecnica delle varie forme

L' imprevedibile resistenza opposta da un’attrice alla decisa aggressione di due avventurieri costituisce il più sensazionale fatto di cronaca di questi giorni e se ne leggono lunghe corrispondenze specialmente su giornali francesi. La bellissima. Gianna Maria Canale, che compiva un lungo viaggio a bordo di una lussuosa «limousine», veniva fermata da due brutti ceffi che la costringevano a discendere dall’auto ad avviarsi, sotto la minaccia di una pistola, verso un sentiero di campagna.
Ad un tratto l'attrice si voltava verso uno degli aggressori e con un rapidissimo colpo alla gola lo faceva cadere di schianto. Anche l'altro uomo veniva colpito mentre cercava di immobilizzare l’attrice.
«Gli insegnamenti della lotta giapponese mi sono stati preziosi in questa occasione» - ha spiegato l'attrice ai corrispondenti francesi che si sono recati ad incontrarla al posto di polizia, di frontiera.
Il rapporto di forza stabilito dalla tecnica delle varie forme di combattimento individuale - dal pugilato alla lotta libera - appare del tutto superato quando si pensi che una rappresentante del «sesso debole» può fronteggiare una aggressione, sventarla facilmente e mettere fuori gioco e gli avversari. Quasi avesse potuto servirsi di uno di quei tocchi «magici con cui le fiabesche Fate rendevano vana ogni minaccia, l'attrice ha allontanato da se il grave pericolo con una rapida mossa che ha colto di sorpresa i due feroci aggressori. «La bellezza inerme che si piega alla forza bruta - ha detto Gianna Maria Canale - è in piena contradizione con la modernità. Una donna può farsi buona guardia da se stessa, purché si metta in condizione di difendersi, e non occorre molto».
Per quanto la Polizia abbia organizzato una battuta non sono stati rintracciati i due aggressori dell’attrice, i quali devono evidentemente essersi dati a vergognosa fuga. Gianna Maria prese delle lezioni di lotta giapponese un anno fa, quando si recò nel Marocco Francese per il film «Allarme a Sud» e non immaginava che quanto aveva appreso per la finzione cinematografica dovesse un giorno servirle nella realtà della vita, Difatti in una scena di quel film può sembrare appena credibile lo straordinario effetto di un colpo dato alla gola dell’avversario col palmo della mano a taglio, mentre è noto che la tecnica della lotta giapponese si basa appunto sugli effetti che si raggiungono toccando con precisione alcun delicati centri di sensibilità nervosa.
Il film «Allarme a Sud», che viene in questi giorni presentato sui nostri schermi narra le drammatiche traversie di un'affascinante danzatrice che messasi a disposizione del Servizio Segreto Francese nel Marocco riesce a svelare il mistero dell’invenzione del «raggio della morte» da parte di uno scienziato che si era nascosto tra i ruderi millenari di una. Città araba semisepolta dalle sabbie del deserto. Altri interpreti principali del film «Allarme a Sud» sono Erich von Stroheim, Lia Amanda, Jean Claude Pascal. E' la più affascinante storia d'amore nello sfondo degli intrighi dello spionaggio internazionale.
E' quell’ambiente di cui la cronaca dei recenti avvenimenti marocchini si è così vivamente interessata.
Lo scenario ineguagliabilmente suggestivo del Marocco francese è reso pienamente sullo schermo nei suoi aspetti più diversi e contrastanti dalle bianche citta assolate alla immensità, del deserto, in cui le carovane di cammelli tracciano itinerari che sconfinano nell’irreale. «Allarme a Sud», è una straordinaria avventura nel più affascinante e misterioso paese del mondo.
GAZZETTA DEL SUD Domenica 3 giugno 1954

Nelle immagini Peter van Eyck, Gianna Maria Canale e Jean Tissier


domenica 17 maggio 2020

Un leone a Culver City - Lon Chaney



Il re del trucco

Del tutto al di fuori dell'imperante "Star System" si svolse invece l'attività di Lon Chaney, uno dei più grandi attori del muto. Nel cinema dal 1913 come attore, ed anche - intorno al 1915 - come regista e soggettista, passato dall'Universal alla Paramount, dalla prima Metro a Goldwyn, a partire dal 1924 (col già ricordato film di Sjostrom), tranne un breve ritorno alla Universal (con The Phantom of the Opera: (Il fantasma dell'Opera,1925), rimase negli studios di Culver City fino alla sua morte avvenuta nel 1930, in seguito a un cancro alla gola. Ostile per principio ad ogni forma di pubblicità, e interamente dedito al proprio mestiere, egli non rispondeva mai alle lettere degli ammiratori e a chi voleva frugare nella sua vita privata soleva rispondere che "fra un film e l'altro Lon Chaney non esiste". Divenuto famoso specie per le sue fantasiose e terrificanti truccature, che egli stesso inventava e realizzava sottoponendosi a fatiche e a sofferenze inaudite, nei suoi ultimi film apparve quasi sempre col suo vero volto, dando forse in tal modo le prove più convincenti del suo istintivo e forte talento di attore. Dei diciotto films cui prese parte alla M.G.M., vanno soprattutto ricordati i seguenti: The Tower of Lies (1925), diretto nuovamente da Sjostrom, Tell It to the Marines (I fanti del mare", 1927) di George Hill, Mister Wu (1927) di William Nigh, Mockery (1927) i Benjamin Christensen, The Big City (1928) di Tod Browning, Laugh Clown Laugh (Ridi pagliaccio, 1928) di Herbert Brenon e The Unholy Three (1925) di Browning, in cui sosteneva la doppia parte di un ventriloquo e di una vecchia: lo stesso soggetto venne ripreso nel 1930 da Jack Conway e costituì il debutto di Chaney nel film parlato, alla vigilia della sua morte. (continua)
Fausto Montesanti 

CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE

In apertura Williams Haines e Lon Chaney in Tell It to the Marines, di seguito con Renée Adorée in Mister Wu

mercoledì 13 maggio 2020

Corrado Alvaro spettatore cinematografico


NOTA PER FINE DI STAGIONE

Intorno al carattere della nuova cinematografia italiana si sono avute le dichiarazioni al Senato di Galeazzo Ciano, a quei giorni ministro per la Stampa e la Propaganda.
Il cinematografo oggi è lo strumento di divulgazione, se non più duraturo, di efficacia più immediata. Se ne servono tutti i paesi per far propaganda alla loro storia, ai loro classici, ai loro costumi, alle loro idee.

giovedì 7 maggio 2020



I registi si confessano
I MIEI DIFETTI
di Mario Bonnard


Eugenio Giovannetti, con i suoi articoli "senza peli sulla lingua", ha cercato di indicare quali sono - a suo modo di vedere - i difetti dei nostri registi. Ma hanno veramente dei difetti, i nostri registi? E sanno di averli? E sono disposti a confessarli? Ecco lo scopo di questa inchiesta che si apre oggi con l'arguta risposta di Mario Bonnard.


Caro Doletti, non ho avuto la possibilità di leggere l'articolo «Senza peli sulla lingua» scritto su di me da Eugenio Giovannetti, perché in quell'epoca ero in campagna; ma un mio amico, che venne a trovarmi, me ne parlò con un certo riguardo e mi consigliò di non leggerlo. Ero in campagna per ristabilirmi!
Ora tu mi chiedi qual i sono i miei difetti di regista; ti rispondo subito e volentieri anche per tranquillizzare Giovannetti che si preoccupa tanto di me e rassicurarlo che almeno non sono un illuso.
I miei difetti, come regista, sono tanti che, se dovessi enumerarli, discuterli, sezionarli, dovrei scrivere un articolo talmente lungo che tu rinunceresti a pubblicarlo o forse lo amputeresti a modo tuo. Perciò è meglio parlare di uno solo dei miei difetti: il principale, il più forte, quello che mi nega - ogni volta che vado in proiezione ad assistere ad un mio film - di essere talmente soddisfatto da esclamare: «Questa volta ho fatto un film perfetto!». Dunque, questo è il mio difetto più importante: il Signor Difetto, che mi perseguita da tanti anni e che io cerco disperatamente. Ma lui è più furbo di me: non si fa vedere, si nasconde ed appare soltanto quando si accorge che io sonnecchio, o sono distratto e allora senza pietà, ne approfitta per cambiarmi le carte in tavola e per farmi fare tutto quello che vuole. Ciò mi procura un malessere terribile ed allora, con uno sforzo, cerco di uscire dal mio torpore: ritorno in me, mi sembra di vederlo, di poterlo afferrare, ma lui è già scomparso!
Eppure mi è vicino, perché lo sento ridere e sghignazzare: - Anche questa volta te l'ho fatta, caro Bonnard, te ne accorgerai in proiezione!
Infatti è così: è sempre lui che vince!
Ah, difetto, se potessi trovarti! Ma io non lo potrò mai. Soltanto una terza persona, una che tu non conosci, potrebbe afferrarti per la gola e trascinarti davanti a me. E - allora si, ti farei parlare, ti costringerei con la forza a dirmi tutto il male -che mi fai ... Ma sta pur tranquillo, signor Difetto, questa terza persona se ne infischia di te e di me. Si, ogni tanto scrive nei giornali e parla dei miei film come gli altri: dice male , troppo male, per dir male - o dice bene, troppo bene, per dir bene; ma non si preoccupa di cercare te, che sei la mia rovina. E sono certo, caro Difetto, che quando leggerai quelle critiche, riderai a crepapelle anche di lui e gli dirai: «Non mi trovi! Hai trovato tanti difetti, ma quelli che vedono tutti: hai detto tante parole, ma di me non hai mai parlato; perciò non hai risolto nulla».
Ed io sono condannato: non potrò mai liberarmi di te!
Mario Bonnard



La testata si riferisce al fiIm Catene invisibibili diretto da Mario Mattoli, interpretato da Alida Valli, Carlo Ninchi, Andrea Checchi.  (ProduzIone Italcine - Distr. I.C.I.)

film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V - N. 9  20 FEBBRAIO 1942 XX

In apertura due espressioni di Mario Bonnard che ricordano il popolare regista di oggi e l'affascinante attore di trent'anni fa.

mercoledì 6 maggio 2020

Jean "d'arc" Seberg


 JEAN SEBEBG: LA INSUPERABILE INTERPRETE DI GIOVANNA D'ARCO

 La «ragazza dello Iowa »

 La giovanissima attrice scoperta da Otto Preminger 
riporta successi su tutti i teatrid'Europa - E' stata scelta su 18 mila candidate - In poco tempo si è fatta una fama

Londra, giugno
 AVEVO, spesso pregato vari amici comuni di presentarmi a Graham Green, ma non si era mai verificato che venissimo a trovarci nella stessa città nell'identico periodo di tempo. L’altalena della vita rimescolando nel crogiulo dei miei desideri, non era mai riuscita a distruggere la speranza di potere avere una lunga, interessante conversazione con chi, ancora oggi, rimane uno dei miei autori preferiti. Avevo sempre saputo che prima o poi l’opportunità si sarebbe presentata ed ero fermamente deciso a non lasciarmi sfuggire l'occasione di andare alla scoperta di una personalità umana sulla quale avevo e continuo ad ascoltare estremi, accesi giudizi contrastanti.
L'opportunità si presentò, come di sovente accade inaspettata, un mattino dello scorso marzo in uno dei teatri di posa di Shepperton; ma dopo le rituali convenevoli frasi che seguono ogni presentazione, il silenzio cadde fra noi ed entrambi rivolgemmo la nostra attenzione verso la scena dove sotto l'accecante luce dei riflettori una diciottenne fanciulla riviveva l'intimo eccelso dramma di Giovanna d’Arco con tale sentito radicato tormento e sì forte sublime potenza espressiva, che la finzione si trasformava in realtà e la realtà in arte.
Non avremmo potuto fare altrimenti poiché in quel momento chi risoffriva le fisiche e le spirituali pene della Santa d’Orleans era, a dispetto della giovanissima età e della immatura preparazione tecnica, una grande attrice alla quale ieri Parigi e gli Stati Uniti ed oggi Londra hanno tributato un appassionato trionfo con pochi precedenti; un volto ed un nome che ben presto lo spettatore italiano annovererà fra i suoi favoriti: Jean Seberg.
Ho un amico arabo, che non vedo da parecchi anni col quale ero solito conversare, nei tempi andati, durante le afose, interminabili, eppure rimpiante, ioniche notti. Avevamo un punto in contrasto e parecchio in comune ma toccare quel punto significava fare l'alba sui gradini del sagrato o sulla prua di una barca. A parlare ero, per lo più io: El Amhed stava ad ascoltarmi per poi invariabilmente ripetere: «Dipende ...». Correvo a dissetarmi ad una fontana davo fondo al pacchetto delle sigarette e ripartivo all'attacco.  «Ascolta, figlio di un cammello - gli dicevo -, non puoi prendere un uomo o una donna che non abbiano mai recitato in vita loro e pretendere che ti diano una esatta interpretazione dell’Amleto o dell'Elettra, dell'Osvaldo di Ibsen o della Saint Joan di Shaw. La vocazione non è sufficiente: occorrono mesi o anni di studio».
Quando per la prima volta lessi che Otto Preminger aveva bandito un concorso per scegliere la nuova Giovanna d'Arco e che al concorso si erano presentate circa 18 mila candidate, come innumerevoli altri, sorrisi e dissi: pubblicità. Più tardi, quando egli si accinse ad ascoltare alcune migliaia di candidate fui assalito da un timido dubbio, per poi chiedermi, subito dopo, su quale esperta attrice del teatro inglese o americano sarebbe caduta la scelta. Al contrario arrivò la notizia che la scelta di Preminger era caduta su una sconosciuta ragazza dello Iowa, una certa Jean Seberg. Mi chiesi cosa avesse potuto spingere uno dei migliori registi e produttori il quale ha dato allo schermo un intramontabile classico con «L'uomo dal braccio d’oro» e fra gli altri suoi eccellenti «Carmen Jones», «La luna era blu» di fama mondiale, a scomodare Bernard Shaw, a chiedere a Graham Green di adattare il lavoro per le esigenze cinematografiche ad includere nel «cast» attori come Richard Widmark, John, Gielgud, Richard Todd e tanti altri, la cui bravura aveva avuto il suggello dello applauso delle platee di almeno tre continenti, per poi andare ad affidare il ruolo principale e nello stesso tempo il più difficile aduna inesperta ragazza americana.
Pensai al mio amico arabo, poi con quella caparbietà che mi viene dal granito del mio Aspromonte scossi il capo e dissi: follia. Follia ripetetti, quando alcuni corrispondenti stranieri mi dissero che Jean Seberg aveva tutte le doti per oscurare le precedenti interpretazioni della Falconetti e della Bergman.
Ne rimasi doppiamente sorpreso. Di solito quelli del teatro non amano le inesperte promesse della cinematografia› e per di più gli attori inglesi sono portati a credere che un interprete di Shakespeare di Shaw o di Oscar Wílde, non potrà mai raggiungere la perfezione se non nato sotto il grigio cielo dell’isola britannica o, per lo meno, non abbia fatto il suo lungo tirocinio in una delle rinomate scuole di recitazione di Londra.
Decisi di andare a Shepperton e telefonai a Bill Batchelor. Bill è il migliore Publicity Director, sempre in viaggio, sempre impegnato con un nuovo film o un nuovo lavoro teatrale da lanciare; ma fui fortunato: lo rintracciai alla prima chiamata telefonica e gentile come sempre oltre a lasciarmi il «passo» m'invitò a colazione. Durante la colazione presi una cartolina e l’indirizzai ad El Ahmed. «Il miracolo è accaduto: Jean Seberg nella Saint Joan di Shaw, Green, Preminger.» Non ho ancora ricevuto alcuna risposta; probabilmente il mio amico arabo è fuori sede; ma so fin d'ora cosa mi dirà «Allah è grande! Allah è giusto!»
Ho conversato a lungo con Jean Seberg, mentre gli elettricisti e gli operai preparavano la scena. Fuori della luce dei riflettori la personalità di questa giovane donna nulla perde del suo fascino. I grandi, chiari, bellissimi occhi magnetici continuano a brillare come arsi da una perenne febbre spirituale ed il volto continua ad esprimere con incisiva forza magica i brillanti pensieri della sua non comune intelligenza ed i sentimenti che travagliano o accendono il suo nobile cuore di fanciulla sensitiva; la quale ancor oggi ,dopo gli unanimi riconoscimenti e i successivi trionfi al di qua e al di là dell'oceano conserva il raro dono divino della semplicità.
Renzo Pettè
GAZZETTA DEL SUD, Domenica 18 Giugno 1957

Nota - Renzo Pettè, calabrese, è stato l'autore di un romanzo ormai dimenticato che per titolo aveva Un ponte sullo stretto pubblicato da Gastaldi Editore in Milano nel 1953. Di lui si è perso ogni traccia. Questo testo lo stabilisce a Londra nella metà degli anni '50.

lunedì 4 maggio 2020

I lupi attaccano in branco, Franco Cirino 1970





SEGNALATI DAI PASTORI
Branchi di lupi sull’Aspromonte
Platì, 2 gennaio `
Molti pastori di questo centro, dislocati in vari punti dell'Aspromonte hanno segnalato la presenza di numerosi lupi nelle zone anche vicine all'abitato.
Nella serata di ieri alcune dir queste belve si sono portate in un recinto di capre posto in contrada Arcopallo e hanno sbranato alcuni capi della mandria. Altri capi di bestiame, tra cui sei mucche e diverse pecore sono scappati via impauriti dall'assalto e non sono stati poi ritrovati.
I pastori danno attivamente la caccia alle pericolose belve, che si presume siano in tutto una diecina, ma le battute condotte finora non hanno dato nessun risultato positivo.
La sera di martedì 27 dicembre, verso le ore ventitré, alcuni giovani di questo centro hanno dichiarato di avere visto, lungo la via Roma, risalire una piccola torma di cani uggiolanti. Appare probabile adesso, che dovevasi trattare di qualche lupo spinto dalla fame nel paese.
GAZZETTA DEL SUD 3 gennaio 1955
Dal tono della scrittura si può tranquillamente attribuire il testo all’avvocato Michele Fera.

Oggi senza motivo apparente mi sono lasciato andare, con una dose minima di visionaria visione, in uno scambio di parti: qui leggerete il testo che doveva essere nel suo sito fratello e viceversa qui la pubblicazione originaria per questa pagina.

domenica 3 maggio 2020

I don't wanna be another Richard Jewell


I did my job that night, and some people are alive because of that.
But do you think that the next time some security guard sees a suspicious package, that he or she's
gonna call it in?
I doubt it.
You know? 'Cause they're gonna look at that and they're gonna think, "I don't wanna be
another Richard Jewell.
So I'm just gonna run."

Quella sera ho fatto il mio lavoro, e delle persone sono vive grazie a questo.
La prossima volta che una guardia noterà un pacco sospetto...
Pensate che darà l'allarme?
Ne dubito.
Perché lo guarderà e penserà: "Non voglio finire come Richard Jewell, quindi mi giro e vado via."
Clint Eastwood, Richard Jewell, 2019