I REGISTI (senza peli
sulla lingua)
DI EUGENIO GIOVANNETTI
Nunzio Malasomma
1894 - 1974
Non sarebbe male cominciare con una piccola predica
brillante sulla mediocrità, fiera crudele e diversa. Chi non fu mai mediocre
nell'arte sua, scagli la prima pietra.
Oh sì, io scaglio la pietra, e sono mediocre tuttavia. Beate
le arti dal climi estremi, che non conobbero mai la poltrida bestia dalla mille
iridi: la pittura spagnola, per esempio, in cui non fu mai lecito esser nel
mezzo e si fu sommi o si fu infimi. La nostra pittura? Troppi
ingegni contenti di sé, equilibrati, espansi (un latinismo odioso quanto impeccabile, che traduce perfettamente il
francese rêpandus).
Un pittore come Andrea del Sarto, un decoroso, un felice
mediocre, non è immaginabile nel paese in cui lo spirito è alla bassura di
Sancio o al delirio di Don Chisciotte. O sono El Greco o sono l’imbianchino:
non vogliono bestia che sia tra l’asino di Sancio e l’alato Ronzinante.
A galoppo per un'ora
sulla mia chimera, dannato e povero. Il resto, che conta? In quasi tutte le
arti la mediocrità è protetta? E che m’importa, se per un’ora almeno avrò
respirato nella mia apocalisse? Beati, in arte, i fanciulli che precipitano al
primo passo! Voleranno, un giorno, più alti del cherubino.
Non c'è che un’arte oggi, al mondo, in cui la saggia
mediocrità sia di prammatica, sia proclamata e conclamata come una forza:
l'arte del regista. Assicurarsi, a forza di saggie concessioni, il consenso di
quell'oscura potenza multanime ch'è la folla, può parere ed essere una sana prudenza.
Nel cinema, ritrovare l’aspirazione segreta degli innumerevoli e blandirla, per
bassa e turpe che sia, è pur sempre al segreto d`un successo perfettamente
legittimo in quanto l'industria cinematografica non se ne proponga altri. Il cinema non sì fa pei soliti
dodici o ventiquattro avanguardisti. E', al contrario, il più largo presente
dei presentisti: e voi, artisti mancati e insoddisfatti, che non tollerare la
mediocrità, rompetevi il collo altrove con la vostra chimera.
Il cinema è Sancio che si camuffa, se vuole, anche in cherubino.
Un troppo lungo preambolo, forse, per affrontar la
mediocrità decorosa di Nunzio Malasomma, ma in non ho mai saputo in realtà da
che parte prendere questo regista dignitosamente impersonale, che fa, ogni tanto,
una comparsa soddisfacente e poi scompare senza mai lasciar detto né dove vada
né quel che intenda di fare.
Dev`essere in lui qualche disdegno o qualche riserbo,
perché, ed è sempre stato, il regista italiano che fa meno parlare di sé, avendo pur l`aria d’essere ben contento
di sé. Poco si sa di lui, delle sue abitudini, dei suo passato. Sappiamo che ha
viaggiato e che lavorava in Germania al tempo della dispersione, coi Righelli,
coi Bonnard.
Ebbe, certo, in Germania la cinematografica ventura
d’imbattersi in Luis Trenker, allora nel suo primo romantico fiore. Oggi Luis Trenker è un po' il Gigione delle
vette. Allora, Nunzio Malasomma e Mario Bonnard potevano ancora combinargli un
truculento e romanticissimo film: I
cavalieri della morte.
Nel 1931 il Malasomma è con gli altri in Italia: ed eccolo
alla Cínes con l'Uomo dell’artiglio e
La cantante dell’opera. Il suo
passaggio alla Cines non lasciò veramente segno alcuno: la mediocrità del
Malasomma in cose come La telefonista
era un po’ troppo grigia. Francesco Pasinetti ricorda nella cantante dell’opera un'interessante ricerca d`effetti
contrappuntistici tra immagini e suoni. lo ho il ricordo ben vivo di quelle
ricerche non tanto nella Cantante
dell’opera quanto nella Vecchia
signora d'Amleto Palermi.
Il merito di quelle ricerche va, del resto riconosciuto oggi
al musicista Umberto Mancini assai più che ai registi. La trovata era quasi
sempre essenzialmente musicale e seguiva e animava l'immagine. Il musicista Mancini aveva allora una fresca vena umoristica, che s'è
perduta. Nella Vecchia signora la
galoppata del vecchio sfiancato cavallo di botticella sui selciati di Roma era
un capolavoro d'umorismo musicale, che vivificava d'un tratto, attraverso la
suggestione ritmica soprattutto, una sequenza che sarebbe stata in sé grottesca
e triste.
Un musicista che avesse oggi quella vena potrebbe rendere
ancora servizi preziosi alla nostra commedia filmica. Ma la nostra mu sica
filmistica è oggi così boriosa nella sua funzione di tappezzeria! Vuol mettere
sempre arazzi dove basterebbe un caprifoglio rampicante sotto una dannata fuga
di rondini.
Nelle successive comparse abbiamo sempre visto un
Malasomma dal mestiere esperto, ben curato, soddisfatto, anche in cose di
colore leggero come Nina, non far la
stupida. La commedia è visibilmente il suo forte: e tutto in questo genere
gli va.
Eravamo
sette sorelle:
qualcuno gli ha manipolato per un film, per un titolo almeno, anche questa divina
fiabetta che profuma tutta l’opera dannunziana, come un invisibile sacchetto di
lavanda profuma tutto un guardaroba. Ci dovrebbe essere una censura dei titoli
cinematografici, che punisse siffatte profanazioni. Eravamo sette sorelle: questo piccolo sacchetto di spigo, la sola
cosa forse che, tra mill'anni, i poeti trarranno ancora odorante di sotto ai
muffiti damaschi del guardaroba dannunziano, ecco che il cinema pretendeva
calpestarla sotto i suoi zoccoli grigi. Il lettore si rassicuri. Nunzio
Malasomma non è riuscito a seppellir la fiabetta sotto i passi spietati del suo
film.
Ho visto or sono alcune settimane, Nunzio Malasomma
nella sua novissima comparsa: Scampolo. Abile, accurato, ingegnoso, dignitoso
più che mai. Vecchio teatro per la giovanissima Lilia Silvi. Ha saputo farla
rendere, come nessuno saprà più. Non poteva dare più che tanto la piccola, ma
quel tanto Io ha dato, e a meraviglia. Quando compare, Nunzio è sicuro di non
fare uno sproposito. Se no, non comparirebbe.
Che cosa farà domani? Una cosa altrettanto ingegnosa e
sicura. Non vi preoccupate. Quando l’eccellenza Cipriano Efisio Oppo abitava a villa Strohlfern, assentandosi
soleva lasciare un laconico bigliettino sulla porta, in cui si leggeva: «sono
uscito›› o «ritorno›› « non ci sono sino a lunedì ››. Nunzio Malasomma non lascia mai detto nulla sulla sua ermetica porta: ma
potete star sicuri che quando meno ve l’aspettate, tornerà soddisfatto e se ne
riandrà soddisfattissimo.
Tutto sommato, o, meglio, tutto malasommato, io amo
questa regista perché è, tra i nostri, quello che lascia far meno chiacchiere
sul suo conto, quella insomma che importuna meno la gente con interviste e
ciance e s'accontenta di fare meglio che può. Una media dignitosa? Vada. La
sola insopportabile è la media boriosa, che, quando non vi seppellisce sotto le
chiacchiere, tace per insoddisfatta superbia.
Per avere scritto due parole gentili su d’un La
Rochefoucauld, l`interessato s’affretterà a ringraziarvi con una lettera: ma raramente riceverete due righe di
ringraziamento da un regista mediocre da
elogiato in pubblico con la più ingegnosa cordialità. Un autista
sarebbe, in casi simili, molto più gentile d’un insoddisfatto e borioso manipolatore di film.
Ma la vera, la peggior mediocrità è forse proprio
quella, che s`aspetta ringraziamenti o gratitudine. Bisogna far sempre le cose
per quel tanto di buono ch'esse hanno in sé, e non pensar mai a quel che
l’interessato ne dirà. Fummo mediocri perché volemmo troppo piacere: bisogna
dir sempre quella che ci pare onestamente la verità; e regalarci anche, ogni
tantino, quello che Baudelaire chiamava: «il piacere aristocratico di dispiacere››.
Eugenio Giovannetti
Opere di Nunzio Malasomma: L’ uomo dell’artiglio, La
cantante dell’opera (1931) - La telefonista,Sette giorni cento lire, La signorina dell’autobus(1932) – La cieca di Sorrento (1933) – Cleo robes et manteaux, Lohengrin, Non ti conosco più (1934) – Nina
non far la stupida (1936) – Eravamo
sette sorelle (1938)- Cose dell’altro
mondo (1939) - Dopo divorzieremo
(1940) - Scampolo (1941) – Giungla (in
lavorazione).
film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V – N. 1 – 3 GENNAIO 1942 XX
La testata si riferisce al film L’ultimo addio (Diagnosi) diretto da
Ferruccio Cerio e interpretato da Gino Cervi,Luisa Ferida, Sandro Ruffini,
Annibale Betrone (Produzione Inac - Sirena)