mercoledì 2 ottobre 2019

Max Ophüls, il "Barbiere" & Shakespeare




Parlando con Max Ophuels

Vedere Ophuels a 1700 metri, col Monte Rosa da una parte e la più bella prateria dall'altra, se mi ha fatto gradita meraviglia, mi à riportato subito nell'inferno delle inquietudini e dei dispiaceri, che il cinema ci procura! Ci eravamo salutati a Milano, in una fumosa sala da bar, alzando il bicchiere per augurio di non so quale opera sua. Max Ophuels è venuto infatti quassù per lavorare. Tutto il giorno se ne sta rinchiuso o col regista Kurt Alexander o col musicista Maestro Tullio Serafin e la sua segretaria in una specie di sotterraneo,
destinato a diventare la sala da ballo di questa specie di falso Grand Hotel …
In attesa delle note di un fox, i villeggianti, che spiano nel sotterraneo, sentono le note del «Barbiere», intorno a cui Ophuels sta immaginando le sue favole strabilianti.
Appena finita la colazione è il solo momento che l'itinerario della sua passeggiata sfiora il recinto della mia baita e ci possiamo scambiare saluti e propositi. Col naso in aria a prendere il sole e sdraiati sull'erba, è la 801a posizione rassicurante per discorrere dell'avvenire della cinematografia.
Tutte le altre posizioni sono troppo preoccupate e polemiche. Ophuels è pieno di fede nel cinema italiano. Ha trovato in Italia un clima cinematografico. «Ho visitato mi dice, la Mostra della Rivoluzione. Permettete a un regista di guardare le cose da un punto di vista particolare. Mi è parso che tutto fosse espresso con tale immediatezza, rapidità, precisione, da rivelare un linguaggio cinematografico già maturo. La stessa osservazione ho fatto anche nelle più piccole cose. Mi sono· guardato intorno per le vie della città. Ho trovato nei manifesti, nei cartelli pubblicitari un modo di espressione diretta, vivace, sollecita, molto più suggestiva che non siano i manifesti, tipo profumi Coty o cioccolatto Meunier, di altri paesi. La gran massa del pubblico è già disposta a capire un linguaggio cinematografico. Soltanto che la vostra cinematografia è ancora inferiore al vostro pubblico».
Speriamo che così sia. Gli domando degli attori, delle maestranze. Mi dice che non ha mai avuto interpreti così eccellenti. «L'attore italiano è intelligentissimo, pieno di volontà e di passione: ho potuto fare in Italia alcune esperienze che non ero riuscito ancora a fare altrove».
Poiché Ophuels sta lavorando intorno al «Barbiere di Siviglia» è naturale che si parli dei rapporti fra l'opera lirica e il cinematografo. Qui siamo, a tutta prima, di parere opposto. Ophuls è entusiasta dell'idea di dare espressione cinematografica alle nostre opere. Per lui è questo uno dei contributi più preziosi che l'Italia può dare al cinema e per la diffusione del cinema italiano in Europa e soprattutto in America.
Tormentato ancora dalle immagini dei nostri illustri tenori sullo schermo, faccio distrattamente le mie riserve. Ophuels scuote la testa e mi agita le braccia sul naso, col tono perentorio che supplisce alla poca conoscenza della nostra lingua. "Leggete lo scenario del "Barbiere" e poi mi direte il vostro parere».
Devo ritirare le mie riserve per quanto concerne almeno, questo caso specifico. Ogni scena è inquadrata in un tono di balletto, di féerie, che permette al buon gusto del regista di liberare i cantanti e gli sfondi da tutto ciò che gli uni e gli altri avevano di più immobile, mummificato, immutabile. E' stata anzi questa la sua trovata. Tutto si trasforma: si agita: vive. Un venticello acuto e assillante soffia nel fuoco, e dal principio alla fine le soluzioni inedite si inseguono, le cose più assurde per il teatro divengono legittime e naturali; gli uomini diventano burattini, maghi, spiriti. Siviglia stessa esce dal suo cliché e rivela le sue strade, i suoi alberi, i suoi tetti, da nuovi punti di vista.
Non manca un finale allarmante di humour e di parodia; alcuni policemen in motocicletta che fermano i signori protagonisti per chiedere loro le carte in regola.
Ho avuto da questo scenario la migliore smentita a un mio parere troppo precipitoso. I lettori, a cui posso offrire qualche pagina rigorosamente inedita, direi, appena sfornata dal famoso sotterraneo dei lavori, potranno giudicarne.
Frattanto si avvicina la presentazione pubblica di La donna di tutti. Un bel giorno Ophuels è partito improvvisamente per assistere allo spettacolo del Festival. E' tornato due giorni dopo. Buon successo di pubblico e di critica. Ma mi pare che egli attenda il giudizio di un pubblico più libero, meno snobistico, più inclinato a giudicare il film senza la complicità di tutto quello che di mirabolante il Festival può offrire.
Prima di lasciarci, abbiamo dedicato un ultimo saluto al Cinema. A uno svolto di viottola ho chiesto, senza preamboli, a Ophuels, come se gli tirassi una revolverata: «ma infine, ci credete, che un film sia un'opera d'arte?"
«Vi dico in un orecchio, mi ha risposto, ma non ripetetelo a nessuno, che per me, se oggi Shakespeare risuscitasse, scriverebbe i suoi drammi «in cinematografo».
ENZO FERRIERI
CINE-CONVEGNO Anno II .- N. 3-4-5  25 Luglio 1934 (XII)

Nota: Ophuels, così nel testo originale.

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