Il
caso di King Vidor indice di un sistema
Il caso di Vidor può servire a illustrare forse
meglio di tanti altri - data la personalità del regista e l'indiscutibile fiducia che si doveva
fin da allora avere in lui - l'implacabilità di un metodo ormai divenuto sistema: può infatti
apparire curioso che l'autore di La grande parata abbia potuto dirigere
subito dopo due film nettamente plateali e di assai relativo impegno: La Bohème (1926), ispirato a " La vie de Bohème " di Murger (in cui la Gish, Gilbert e la
Adorée vestivano rispettivamente i panni di Mimi, Rodolfo e Musetta), un film tuttavia
alla cui ambientazione non mancava un certo profumo; e Bardelys the
Magnificent (Bardelys il Magnifico, 1926) da un romanzo di Sabatini, con John
Gilbert e Eleanor Boardman, una volgare e poco convinta replica dei
film di Douglas Fairbanks, assolutamente indegna della firma del regista. Ma basta osservare ad esempio con
attenzione un "si gira" di La Bohème in cui il giovane Thalberg, a
braccia conserte, " controlla " affettuosamente la ripresa di un primo piano della protagonista (Vidor è il secondo da sinistra), per rendersi conto
dell'importanza acquisita in quegli anni dalla figura ormai determinante dell'executive
producer. Solo con The Crowd (La folla, 1928),
uno degli ultimi e più convincenti esempi di cinema muto, Vidor riuscirà a
prendersi una netta rivincita sulla produzione in serie. La folla, film palesemente influenzato dai migliori prodotti del realismo
psicologico tedesco, narrava con spoglio vigore l'umile vicenda di una coppia
di sposi (James Murray e Eleanor Boardman), soffocati dal bisogno e incapaci di
elevarsi al disopra dell'anonima marea di gente che popola la grande città: l'ingenuità
di certi sviluppi
e la
schematica struttura dello scenario (avvilito per giunta da un posticcio quanto detestabile " happy end ") venivano tuttavia riscattate dalla toccante
attualità del tema, dalla coraggiosa impostazione dei personaggi e degli ambienti
costruiti e descritti con inusitata obiettività, e infine dal sapientissimo uso della macchina
da presa. Nonostante l'accoglienza entusiasta della critica, il film ottenne un
mediocre successo: il pubblico americano - distratto e volubile - pareva poco
propenso a interessarsi di problemi umani e sociali che lo riguardavano direttamente e
preferiva piuttosto evadere dalla realtà quotidiana attraverso le avventure impossibili, gli amori
travolgenti e le "revues " in bicromia. E mentre i primi rintocchi della crisi (la cui dura realtà,
le poco gradevoli immagini di La folla con il loro eloquente silenzio,
mettevano straordinariamente a fuoco) venivano sopraffatti dal gracidare del " Vitaphone " e del " Movietone '', Vidor era
costretto a tornare alle esperienze minori dirigendo Marion Davies in Patsy (1928) e Show
People (Maschere di celluloide, 1928).(continua)
Fausto MontesantiCINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE
In apertura King Vidor e Irving Thalberg osservano Lilian Gish sul set de La Bohème, di seguito James Murray e Eleanor Boardman in The Crowd
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