Il
tema della compulsione ricerca di un oggetto avente carattere di feticcio si
ritrova anche in High Window, tratto da un romanzo di Raymond
Chandler, con George Montgomery nella parte del «detective ›› privato Philip
Marlowe, in cui il feticcio è rappresentato da un'antichissima e preziosissima
moneta sottratta ai legittimi proprietari, il Doblone dei Brazsher.
Il « detective ›› privato Philip Marilowe appare anche
in Farewell. My Lovely di Edward
Dimytrik, con Dick Powell nella parte del protagonista, in cui il regista
ricerca equivalenti visuali della prosa, in prima persona, di Chandler. Quando
Marlowe riceve una botta in testa il commento letterario è « A black pool
opened at my feet; I dived in ›› [« un pozzo nero si spalancò ai miei piedi,
e io vi sprofondai dentro ››]. Nel film invece a questo punto lo schermo si
riempie d'inchiostro.
Marlowe appare ancora in The Lady in the Lake di George Montgomery, oltre che regista
interprete principale. In questo film ogni differenza tra il romanzo originale
e la trascrizione cinematografica tende a scomparire. Il romanzo è narrato in
prima persona da Marlowe e il lettore è rinchiuso nell'ottica del personaggio.
Lo stesso effetto è quello ricercato da George Montgomery girando il film come
se fosse una lunga soggettiva di Marlowe, che vediamo soltanto una volta,
quando si guarda allo specchio e la volontaristica « caméra stylo ›
dell'attore-regista ci restituisce il riflesso della sua presenza, visibile
soltanto adesso ma teoricamente presente lungo tutto il film, durante le
bizzarre peregrinazioni della macchina da presa. Secondo il progetto di
Montgomery lo spettatore dovrebbe identificarsi completamente con Marlowe. Ma
invece di aumentare il senso di partecipazione dello spettatore il ricorso a
continue soggettive sortisce un effetto grossolanamente straniante.
Dal che si e ben guardato Alfred Hitchcock, che pure
mira al massimo coinvolgimento e a fare dell'autentica direzione di spettatori,
evitando prudentemente un uso così insolente e indiscreto delle soggettive.
Quando nel film di Montgomery si vedono gli altri personaggi fissarci dallo schermo
la nostra reazione è disastrosa: ci rendiamo subito conto che chiunque noi siamo
non siamo certo Marlowe/Montgomery. Quando un personaggio dà un pugno in faccia
a Marlowe la macchina da presa accusa il colpo, quando un altro punta
minacciosamente contro di noi, si vede un pugno, teoricamente il nostro,
sollevarsi dal fondo dello schermo per andarsi ad appiattire contro il naso di
un faccione in primo piano. Insomma, The
Lady in the Lake costituisce il più grosso fallimento del tentativo di
applicazione al linguaggio cinematografico della tecnica letteraria d'affabulazione
in prima persona e si pone come la più esemplare dimostrazione che le qualità
maggiori del cinema americano vanno ricercate nell’accettazione delle
costrizioni esistenti in seno al suo statuto formale [caratterizzazione dei
personaggi in termini di azione, spigliatezza narrativa, fedeltà alla realtà
pro-filmica, sequenza temporale discontinua attraverso un flusso continuo di
immagini, valorizzazione dei punti di vista, verosimiglianza dello spazio
assegnato ad ogni personaggio, finalizzazione drammatica e psicologica del
«decoupage ] e non nelle « trouvailles ›› tecniche o nelle fanfaronate
stilistiche (si ricordi che un grandissimo cineasta come Elia Kazan, per
esempio, non ha inventato niente; lo stesso si potrebbe dire di Lubitsch,
ecc...). (continua)
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA
AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾
Nessun commento:
Posta un commento