mercoledì 18 settembre 2019

Detective Thriller - e venne Raymond Chandler



Il tema della compulsione ricerca di un oggetto avente carattere di feticcio si ritrova anche in High  Window, tratto da un romanzo di Raymond Chandler, con George Montgomery nella parte del «detective ›› privato Philip Marlowe, in cui il feticcio è rappresentato da un'antichissima e preziosissima moneta sottratta ai legittimi proprietari, il Doblone dei Brazsher.
Il « detective ›› privato Philip Marilowe appare anche in Farewell. My Lovely di Edward Dimytrik, con Dick Powell nella parte del protagonista, in cui il regista ricerca equivalenti visuali della prosa, in prima persona, di Chandler. Quando Marlowe riceve una botta in testa il commento letterario è « A black pool opened at my feet; I dived in ›› [« un pozzo nero si spalancò ai miei piedi, e io vi sprofondai dentro ››]. Nel film invece a questo punto lo schermo si riempie d'inchiostro.
Marlowe appare ancora in The Lady in the Lake di George Montgomery, oltre che regista interprete principale. In questo film ogni differenza tra il romanzo originale e la trascrizione cinematografica tende a scomparire. Il romanzo è narrato in prima persona da Marlowe e il lettore è rinchiuso nell'ottica del personaggio. Lo stesso effetto è quello ricercato da George Montgomery girando il film come se fosse una lunga soggettiva di Marlowe, che vediamo soltanto una volta, quando si guarda allo specchio e la volontaristica « caméra stylo › dell'attore-regista ci restituisce il riflesso della sua presenza, visibile soltanto adesso ma teoricamente presente lungo tutto il film, durante le bizzarre peregrinazioni della macchina da presa. Secondo il progetto di Montgomery lo spettatore dovrebbe identificarsi completamente con Marlowe. Ma invece di aumentare il senso di partecipazione dello spettatore il ricorso a continue soggettive sortisce un effetto grossolanamente straniante.
Dal che si e ben guardato Alfred Hitchcock, che pure mira al massimo coinvolgimento e a fare dell'autentica direzione di spettatori, evitando prudentemente un uso così insolente e indiscreto delle soggettive. Quando nel film di Montgomery si vedono gli altri personaggi fissarci dallo schermo la nostra reazione è disastrosa: ci rendiamo subito conto che chiunque noi siamo non siamo certo Marlowe/Montgomery. Quando un personaggio dà un pugno in faccia a Marlowe la macchina da presa accusa il colpo, quando un altro punta minacciosamente contro di noi, si vede un pugno, teoricamente il nostro, sollevarsi dal fondo dello schermo per andarsi ad appiattire contro il naso di un faccione in primo piano. Insomma, The Lady in the Lake costituisce il più grosso fallimento del tentativo di applicazione al linguaggio cinematografico della tecnica letteraria d'affabulazione in prima persona e si pone come la più esemplare dimostrazione che le qualità maggiori del cinema americano vanno ricercate nell’accettazione delle costrizioni esistenti in seno al suo statuto formale [caratterizzazione dei personaggi in termini di azione, spigliatezza narrativa, fedeltà alla realtà pro-filmica, sequenza temporale discontinua attraverso un flusso continuo di immagini, valorizzazione dei punti di vista, verosimiglianza dello spazio assegnato ad ogni personaggio, finalizzazione drammatica e psicologica del «decoupage ] e non nelle « trouvailles ›› tecniche o nelle fanfaronate stilistiche (si ricordi che un grandissimo cineasta come Elia Kazan, per esempio, non ha inventato niente; lo stesso si potrebbe dire di Lubitsch, ecc...). (continua)
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾

Nessun commento:

Posta un commento