mercoledì 24 aprile 2019

Neorealismo in Calabria - controllare la regia


Che cosa significa controllare troppo la regia, e che cosa significa che ogni sequenza è impostata sulla scorta di una rigidità piú critica che creativa? Non significa nulla. Un giudizio di tale genere non è un giudizio, è la ripetizione di un equivoco che impedisce qualsiasi esame obbiettivo, della materia di Patto col diavolo. Si ragiona pressappoco cosí: Luigi Chiarini è un teorico del cinema che nei suoi libri ha lucidamente risolto, sulla base di una concezione estetica coerente, i problemi più importanti dei lm come opera d'arte ed ha perciò dato prova, nei confronti di questi problemi, d'un acume critico indiscutibile. Per conseguenza, i suoi film non possono non essere impregnati di questo atteggiamento che con la creazione vera e propria non ha molti punti di contatto. 
«Controllare troppo la regia» equivarrebbe, dunque, a porsi in una strana posizione di indifferenza verso il film, quasi che fosse possibile comporre un racconto cinematografico ed esserne allo stesso tempo estraneo. Ma il controllo della regia non può, evidentemente, mai essere troppo o troppo poco, poiché l’autore impegna nella sua opera tutto se stesso, e questa totalità di partecipazione creativa non ê condizionata da restrizioni di quantità. Controllo può, semmai, essere sinonimo di autocritica, ma neppure l’autocritica esula dal processo creativo, ne costituisce anzi uno dei componenti essenziali. E le cosiddette «impennate che sono proprie del creatore» non debbono essere giudicate come movimenti assurdi, sfuggiti a un ipotetico controllo critico, perché nell'opera d'arte assurdità e controllo sono, in fondo,  termini senza senso. Tutto può essere, contemporaneamente, assurdo e controllato, a seconda dell'umore di chi osserva l'opera, e con questo metro non è nemmeno pensabile un’indagine critica. Maggiori probabilità di cogliere nel segno parrebbe avere l'esame di quella che nei riguardi di Chiarini si suole da parecchio tempo chiamare «calligrafia››. Fu relativamente facile parlarne al tempo della Via delle cinque  lune e della Bella addormentata, e il  rilievo non era del tutto fuori posto, allora. Ma risolve poco anche il concetto della calligrafia, troppo vago per poter spiegare la personalità di un regista. Anche qui, tirate accuratamente le somme; si scopre la persistenza (anzi, in questo caso, ia nascita) del luogo comune di cui si diceva più sopra e del semplicistico ragionamento sulla teoria e la creazione. Se per la Via delle cinque lune si poteva sostenere che la calligrafia era ne a se stessa, per La bella addormentata il discorso andava in molte parti rovesciato: l'assillo formale sottintendeva, o anche soltanto preludeva ad una precisa esigenza tematica, continuamente presente nel film. Dire che quelle due opere (e, in particolare, a mio avviso, la seconda) facevano parte di una tendenza di avanguardia in seno al cinema italiano d'anteguerra, può essere esatto soltanto se si attribuisce alla cosiddetta calligrafia una funzione in un certo modo rivelatrice di un mondo non chiuso nella contemplazione dei fronzoli stilistici. Altrimenti, l’avanguardia di quei film sarebbe stata ben poca cosa, e il concetto tornerebbe a girare a vuoto, intorno al solito equivoco della posizione teorica di Chiarini.
Fernaldo Di Giammatteo BN BIANCO E NERO RASSEGNA MENSILE DI STUDI CINEMATOGRAFICI ANNO XI N.10 OTTOBRE 1950

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