Ciò che figurativamente colpisce nel cinema di De Sica è la cura straordinaria
posta nella costruzione dell'inquadratura nel momento- fulcro relativo al
problema umano e morale del protagonista. Ovvero, l'attenzione compositiva tutta
tesa a creare un’immagine che sia di per sé eloquente correlativo oggettivo
dell'isolamento del personaggio. Uno degli esempi più chiari è senza dubbio in Ladri di biciclette.
La sequenza è quella del furto di Ricci, vale a dire il punto d'arrivo verso
il quale tutte le linee portanti del film avevano teso fino a quel momento. Disperato,
il protagonista si imbatte in un deposito di biciclette fuori dallo stadio esultante.
A lui il divertimento è precluso perché è precluso il lavoro, la speranza di
una vita vissuta in modo più umano, la sicurezza che quel piccolo impiego gli
aveva in un primo tempo concesso. Il furto subito è stato una sorta di ritorno
alla realtà, o meglio, l’occasione di verificare l'indifferenza, l’ottusità, la
brutalità, la menzogna, la crudeltà della città, del gruppo, della società. Lì,
davanti allo stadio, la prima epifania, l'improvviso pensiero che un modo
ancora c'è per risolvere la sua disperata situazione, il suo problema di uomo e
di lavoratore: le biciclette se ne stanno ammassate l'una all‘altra, un
groviglio di ferro inestricabile, basterebbe allungare una mano ed una di esse ne
uscirebbe fuori senza che l'insieme ne venisse in qualche modo diminuito, senza
che nessuno potesse accorgersi del furto. La trovata è di una formidabile
profondità psicologica naturalmente il furto è impossibile, trattandosi di un
deposito custodito, ma il momento è perfettamente la dimensione psicologica che
rende possibile, fattibile il furto come atto in sé agli occhi del
protagonista. Poi, il secondo momento. Ricci vede una
bicicletta appoggiata all'esterno di un portone [e il pensiero dello
spettatore corre subito al momento in cui, accompagnata la moglie dalla
veggente, il protagonista aveva lasciato allo stesso modo la sua bicicletta
sulla strada, chiedendo a un ragazzo di darle un'occhiata mentre lui si
assentava e creando, fra l'altro, un momento di notevole suspense , subito ridimensionato
dalla presenza del veicolo, scoperto con
calcolata indifferenza dalla macchina da presa che aveva accompagnato alla
uscita marito e moglie già per le scale interne dell'edificio). Allontanato con
una scusa il figlio, l'uomo si avvicina alla bicicletta: l’inquadratura è
perfetta, gli elementi che la compongono, essenziali. L'ala dell‘edificio che
sta alle spalle del protagonista presenta una sostanza geometrica non casuale:
balconi, finestre, spigoli, grondaia, intelaiatura del portone, l'inquadratura
è fatta di una serie di linee geometriche la cui funzione è quella di staccare
il protagonista dallo sfondo, isolarlo nel gesto del furto, evidenziarne la
situazione psicologica e morale. L'uomo non ha sullo sfondo una casa o un muro,
ma, appunto, una serie di linee, verticali e orizzontali che si intrecciano in
senso normale e che fungono da antitesi figurativa all'uomo e all'oggetto, al
puro fine di isolarli nel momento culminante del problema di fondo, nella
scelta etica imposta dalla disperazione. E‘ certo un momento di grande
bellezza, poiché in esso la costruzione figurativa diventa, come si diceva,
segno della situazione morale e umana (si noti, fra l'altro, che a differenza del
ladro che gli ha rubato il suo veicolo, l‘uomo si dà alla fuga dirigendosi per
una strada in leggera salita, ad indicare ulteriormente non soltanto la sua
ingenuità, ma soprattutto, attraverso di essa, la sua sostanziale estraneità
morale di fondo all’atto che ha compiuto].
Una scena simile è rintracciabile più di una volta nel cinema di De
Sica. In Sciuscià, per esempio,
quando la macchina da presa inquadra il ragazzo seduto insieme al malatino
napoletano sulla panchina del cortile della prigione durante l'ora di ricreazione.
Pasquale è stato appena accusato di tradimento da Giuseppe e il suo isolamento
morale e ben indicato, secondo il medesimo procedimento compositivo della scena
del furto in Ladri di biciclette,
dalle linee geometriche della panchina e del muro di fondo dalle quali, per
così dire, emerge isolato il personaggio {qui, anzi, la presenza
del malatino contribuisce a rafforzarne ancor più l'isolamento, dal momento che
l'unica persona che ne accetta la vicinanza è un bambino che è l'immagine
stessa della solitudine, e virtualmente un morto]. Oppure ancora, in Umberto D., in una scena che già abbiamo
citato e che è uno dei culmini dell'atroce peripezia morale del protagonista,
Umberto ha appena deciso di abbassarsi all'umiliazione della carità (lui, per
anni è un funzionario dello Stato] e ad evidenziare la sua tragica decisione si
innalza alle sue spalle la possente verticalità del Pantheon, a ridurne la
figura a dimensioni microscopiche, a minacciarne la dimensione di uomo povero,
afflitto, disperato.
Sono momenti esemplari, questi, nel cinema di De Sica, e
momenti nei quali |'impiego dello spazio si svela come il protagonista figurativo
di tutta l'opera in quanto suo catalizzatore emozionale, elemento compositivo
che evidenzia, ingigantisce e finalmente fa esplodere la problematica dei
protagonisti. (continua)
Franco La Polla, BN
BIANCO NERO, MENSILE
DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12,
1975
Nessun commento:
Posta un commento