La sequenza d'apertura di Patto col diavolo vale assai più come presupposto
per definire un'atmosfera e per stabilire l'importanza determinante degli
elementi naturali (il paesaggio vive prima ancora che ci si accorga della vita
degli uomini dentro di esso, ma quale
sarà il carattere di questa vita già lo si intuisce) che non per porre le basi
del dramma. L'azione - si comprende - dovrà essere regolata da questo clima di
solenne compostezza e dovrà mirare a tradurlo in termini umani, in modo che fra
uomo e ambiente si crei un significativo rapporto di necessità: il conflitto
fra i ricchi e i poveri nasce sotto il segno d'una natura aspra e selvaggia che
non sembrerebbe consentire una diversa soluzione. E, infatti, non la consente,
ma non possiede peraltro la forza bastevole a imporre la sua soluzione, che è
soluzione tragica e disperata. Il rapporto fra uomo e ambiente, che avrebbe
dovuto essere impostato e risolto con una esattezza rigorosa, stenta a
delinearsi, ed emerge solo a tratti dalla materia narrativa svolta nel film. Difetto, questo, non imputabile - come altri
vorrebbe - alla statìcità psicologica dei personaggi, ma alla lacunosa giustificazione
della presenza di questi personaggi nell'ambiente scelto. Non risponde al vero l’affermazione che il conflitto
non si sviluppi e non si concluda secondo una necessaria progressione
psicologica; è piuttosto vero il contrario,
nel senso che proprio la (comprensibile) preoceupazione di evitare la statícità
di cui s'è detto ha impedito di inserire adeguatamente - secondo le premesse -
l'uomo nella natura e la natura nell'uomo. Il linguaggio da allusivo come
avrebbe dovuto essere si fa talvolta rninutamente analitico, troppo concedendo
allo scrupolo delle osservazioni particolari (senza, con questo, rifugiarsi
nella cosiddetta calligrafia, in Patto
col diavolo superata), e non soddisfa che in parte le esigenze del
fondamentale rapporto da istituire. Cosi, l’amore tra i figli delle due
famiglie antagoniste in alcuni punti si isola in se stesso e insiste su schermaglie
dialogiche non opportune né risolutive; così, d'altro canto, i fattori
ambientali risentono degli squilibri dell'azione e cedono, in certe pause del
racconto alle lusinghe del suggestivo folclore calabrese (nel ballo all'aperto,
per esempio, e nel corteo nuziale). L'inserzione del coro nello sviluppo del
dramma appare, perciò, forzata e, qualche volta, dannosa al dramma stesso. Pur essendo, sul piano assoluto dei risultati
raggiunti, inferiore a La bella
addormentata (che rimane, a tutt'oggi, il migliore film di Luigi Chiarini), Patto col diavolo rappresenta un progresso sostanziale nel quadro
complessivo dell’opera del regista. Il suo atteggiamento è, dopo questo film, più facilmente
individuabile, e può essere senz'altro accolto alla luce delle affermazioni che
Chiarini stesso fece e sulla linea lungo la quale il suo credo estetico tende
all'espressione compiuta. Annullato il
sospetto di un esperienza calligrafica fine a se stessa, illuminata meglio di
quanto prima non fosse la materia più congeniale all'animo del regista, Patto col diavolo potrà costituirà una
premessa per il lavoro ancora da compiere. Per quanto non riuscito nel senso
che Chiarini si proponeva, il film già mostra la possibile soluzione dei problemi
espressivi che questa tendenza comporta. Primo fra tutti, quello della
recitazione, che è forse il più arduo. Gli attori qui sono stati nettamente
inferiori al loro compito e non hanno saputo adeguarsi (chi per mancanza di
forze proprie e sufficienti, chi per palese incomprensione) al tono che si
voleva imprimere al film: la contenutezza cui hanno cercato dì ispirarsi, li soffoca e a tratti
lì svuota d'ogni capacità d'emozione.
Dietro ogni espressione sfocata si intuisce quale avrebbe dovuto essere
la espressione giusta, quella cui il regista mirava, e si indovina perché proprio
a quella, e in quel modo, egli vi mirasse.
FINE
Fernaldo Di Giammatteo BN BIANCO E NERO RASSEGNA MENSILE DI STUDI
CINEMATOGRAFICI ANNO XI N.10 OTTOBRE 1950