E
dunque, la città dell'umile non è quella del ricco. Essa va conquistata metro
per metro: lo dimostrano bene le sequenze al Prenestino di Il tetto. Ma non -— e qui è un punto importante — per assimilarvisi
supinamente, bensì perché nella conquista dello spazio si esplichi un' essenziaIe
creatività alternativa. Il tetto abbonda
di panoramiche verticali ad indicare il tema fondamentale della costruzione [del
resto necessariamente presente in un film che, dopo tutto, narra della vita di
un muratore — e, detto per inciso, in questo senso il film e una piccola
lezione sul concetto marxiano di alienazione]. E’ la storia dello spazio
dell'umile, del suo fondamentale diritto ad esso in opposizione alla struttura
capitalistica della città. E’ la storia della ricerca e della costruzione dello
spazio essenziale alla propria vita, al di là delle intenzioni stesse di
uniformarsi a un modello sociale stabilito 10 {qui chiaramente indicato dal matrimonio, anche se
non va dimenticato che in questo caso l'istituzione stesse viene
problematizzata, negata dalla realtà sociale ed economica della società: non
per nulla il padre della ragazza si oppone a un matrimonio fondato sul semplice
sentimento e non garantito da una sicurezza economica iniziale]. Ciò appare
ancor più chiaro in Miracolo a Milano,
nel quale lo spazio alternativo compare a dimensioni d'affresco: un‘intera
città viene eretta dai reietti della metropoli. E non per nulla
essa viene eretta ai margini di questa. Quello, insomma, che costituiva la
comunità caotica dei barboni come luogo di emarginazione diventa lo spazio altro
da opporre alla città. Ogni rapporto, anzi, con lo spazio si configura in
termini di alterità: si pensi alla scena in cui Totò apre per un bambino una
porta dietro la quale non c'è nulla. La porta sembra la fragile, assurda linea
divisoria di uno spazio vuoto. ln realtà quello che poteva essere un gag da
film muto americano acquista un suo preciso senso simbolico: virtualmente la
città alternativa è già costruita, Totò col suo gesto l‘ha già istituita,
fondata, ideata per i suoi compagni.
Perché essa è la città della fantasia, e basta un gesto nello spazio vuoto per
evocarla dal nulla. La fantasia, follia del povero, diventa realtà nel momento della
sua costituzione 11. Certo, i gesti sono simili, ma il sistema non può
essere lo stesso: ogni luogo della città alternativa e un fatto culturale, indicato
da un numero. Attraverso il numero i bambini imparano, è vero, ma al tempo
stesso esso indica l'assenza — o forse il rifiuto? — non tanto dello spazio
della città tradizionale e distaccata, ma piuttosto di una tradizione, di una storia
» 12. (continua)
10 E’. indicativo che l’unico luogo, l'unica casa
(sia pur temporanea) che la coppia trova disponibile si presenti nell‘ambito di
un ritorno al paese natale della ragazza: si tratta, naturalmente, della casa
della propria infanzia, e non a caso li riceve la madre cui, psicoanaliticamente,
sempre si indirizza questo ritorno. Cfr. Gaston Bachelard: ”La terre et les réveries
du repos), Paris. Corti,
1971, pp. 120-22.
11 Come scrive
molto bene Bachelard, “La maison vécue n'est pas une boite inerte. L'espace
habité transcende l’espace géométrique”
e ancora, “La maison, plus encore que le paysage, est un état d'ame"».
Cfr. Gaston Bachelard: “La poétique de |‘espace “, Paris. Presses
Universitaires de France. 1974. pp. 58 e 77.
12 La
cosa assume addirittura dei risvolti mitologici se si pensa alle parole di
Eliade: “Un’era nuova’ si apre con la costruzione di ciascuna casa: ogni
costruzione è un inizio assoluto, cioè tende a restaurare l’istante iniziale,
la pienezza di un presente che non contiene nessuna traccia di storia”, e
ancora, “una costruzione è una nuova organizzazione del mondo e della vita”. Cfr.
Mircea Eliade: “Il mito dell'eterno ritorno”, Torino, Borla, 1968, pp. 104 e
105.
Franco La Polla, BN
BIANCO NERO, MENSILE
DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12,
1975
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