ROBERTO E GIOVANNI
Fra i
critici cinematografici francesi << fra le due guerre >>, due, che
erano anche romanzieri e saggisti di larga fama, emersero per doti singolari, per
una sorta di fiamma, di calore, di grazia che emanava dalle loro riflessioni.
Per dir tutto, da quel dono che gli dei, che sovrintendono a queste cose,
largiscono soltanto a pochissimi, il dono della personalità. I due critici si
chiamavano Jean Prévost e Robert Brasillach.
Ora, da un po' di tempo, il ricordo di questi due morti
(perché di due morti si tratta) ci ossessiona. Erano, anno più anno meno, della
nostra generazione. Sarebbero stati cioè, in questo anno '48, l”uno Prévost,
alquanto sopra, l'altro Brasillach. appena sotto i quarant'anni, età nella
quale chi può, chi se la sente, tira un primo bilancio; e, ciò che più conta, entrambi
morirono di morte fulminea, non per repentina malattia o per disgrazia, ma
travolti nella guerra civile. Jean Prévost, dei due il più anziano, è morto in
una luce gloriosa, in un patetico alone di sacrificio e di speranza; con le
armi alla mano, da protagonista della Resistenza, in un agguato teso dai nemici: Robert Brasillach è invece
caduto sotto le pallottole dei gollisti, che lo condannarono a morte, per
tradimento, pochi mesi dopo la cacciata dei tedeschi dalla Francia.
I due destini, come si è detto, ci angosciano. Quello
che è successo a Prévost e a Brasillach poteva succedere a noi e ai nostri
amici. E gli interessi culturali dell'uno e dell’altro ci erano tanto vicini,
da aver l’impressione, leggendoli, di intendere la voce di un compagno di
banco, di un collega di università o di redazione. Si intende che la fine di Brasillach,
per quel moto del cuore per cui i peccatori puniti ci sono più vicini della
gente meno avventurosa, ci è vicina con maggior urgenza di quella di Jean
Prévost; eppure, per uno straniero disinteressato, forse per lo storico futuro,
i binari del loro destino, cosi divergenti nella cronaca contemporanea, finiscono
per unirsi. Per ciò che riguarda il cinematografo, la
testimonianza di Prévost come quella di Brasillach è una testimonianza preziosa.
Sono, nel primo dopoguerra, degli intellettuali che si avvicinano al cinematografo,
non più per sfruttarlo o per un labile divertimento. ma per comprenderlo,
amandolo. Per molti uomini di lettere, usciti, adolescenti o ragazzi, dalla
vittoria del '19, il cinematografo fu davvero una scoperta vitale, una finestra
spalancata su panorami e vie sconosciute, una magica possibilità offerta a un
romantico desiderio di cose nuove, di nuove esperienze, di conturbanti scoperte.
Questa testimonianza è affidata sia nell'uno che nell’altro scrittore a due delicati
romanzi, in cui la parte autobiografica ha, come accade, un accento più puro e
pagine rivelatrici.
In
<< Diciottesimo anno >> Prévost ha fatto il racconto della sua
giovinezza studiosa, del suo incontro con la politica attiva e con l’insegnamento
di uno dei cervelli più lucidi, dei caratteri più fermi, delle coscienze più
singolari di Francia, il filosofo Alain, Prévost vi racconta che, diciottenne,
andò incontro, portando la bandiera rossa, alle << matraques ›› dei
poliziotti. Con lo stesso animo, vent'anni più tardi affronterà le pallottole
naziste. Ne << I sette colori >> Brasillach narra
(cronologicamente
siamo a dieci anni di distanza dal romanzo di Prévost) il suo ritiro studioso
nella Rue d’Ulm, ospite della Scuola normale superiore, la scoperta del cinema
e della politica fascista. Una premessa morale, un'idea abbracciata in fretta
da giovani, il gusto della cultura e del cinema, presiedono dunque << in
nuce >› al destino dei due scrittori. Ora noi ci chiediamo non perché sono
morti, ma perché non sono caduti nella stessa parte delle barricate (puramente
figurate, questa volta) della guerra civile.
In Francia, paese cattolico alle frontiere con le
nazioni protestanti, vige dal ”6oo, da quando il Re Sole fece abbattere i muri
degli eremi di Port Royal, una sotterranea polemica che è la polemica
giansenistica. I solitari pensatori di Port Royal volevano immettere nella
coscienza cattolica la sottile angoscia della Grazia. Perché alcuni di noi
saranno eletti nel cielo ed altri condannati alle tenebre eterne? Perché Dio,
che sa tutto, ha deciso lui di scegliere nella paurosa lotta della salvazione?
E come ammettere il velo di oscurità, la cortina fumogena, diremmo noi moderni,
che l'autorità di Roma ha voluto porre, schivando le pagine di Sant”Agostino,
su tale problema?
Spianate le tende dei nuovi profeti, la polemica, come
s'è detto, è continuata sotterranea nella Francia moderna. Essa è arrivata alla
luce del sole tutte le volte che il paese è stato squassato da una ideologia,
da una passione, o dal piede dello straniero. Il problema s'è posto con Zola durante
l'affare Dreyfus; con Jaurès e con Péguy al principio dell'altra guerra; s”è
ripresentato con i nostri due morti nel corso della lotta civile che ha opposto
sanguinosamente le due Francie negli anni del1°occupazione tedesca.
Il dovere s'è atteggiato, per chi era in buona fede,
per chi si è buttato nella lotta col cuore, in due modi' diversi. Tanto
Brasillach come Prévost hanno pagato con la vita la fede alla loro giovinezza;
ma uno è morto alla luce del sole e l'altro negli incerti mattini che assistono
alle esecuzioni.
Non è lecito ricercare nei due, oltre la polemica che non
tocca uno straniero educato, il punto del loro avvicinarsi?
continua
Pietro Bianchi,
Maestri del cinema, 1972