OGGI
La grande speranza
(1954) di Duilio Coletti serve oggi a rendere omaggio ad una delle industrie
che dettero un contributo non ancora definitivamente riconosciuto al cinema
italiano. Sorta in un’epoca in cui la fotografia andava prendendo piede anche
nel proletariato e sottoproletariato, dapprima si dedicò alla produzione di
apparecchi fotografici e relativi supporti per la ripresa. Andò consolidando la
sua fama facendo irruzione nel cinema col rimanerci fino al 1964 quando fu
fagocitata dalla multinazionale 3M. Mitiche sono rimaste le varie serie panchro su cui furono impresse le
immagini dei capolavori italiani tra il 1935 e il 1955. Con l’avvento del
colore in Italia sorse la ferraniacolor, e qui la casa che aveva sede
nell’omonima cittadina in provincia di Savona, dette il meglio di sé producendo
pellicole ancora oggi distinguibili tra quellie Eastmancolor e Technicolor. Il tratto caratteristico della ferraniacolor era quel rimando, e qui siamo consapevoli di esagerare, agli
affreschi della scuola di Giotto, che sa più di matita e acqua che di colori ad
olio.
L’opera di Coletti vorrebbe essere antibellica ma il suo è
un antibellicismo che porta alla successiva guerra, buona per le giurie OCIC,
le sole a prenderla in considerazione. Patetica come la recitazione di Renato
Baldini, a cui serve poco la classe british di Lois Maxwell. I soli a salvarsi
sono un gruppo di caratteristi capeggiati da Folco Lulli, dal lavoro dei quali
si evince la scrittura di Ennio De Concini. Ancora: il tema epico di Nino Rota,
l’occhio vigile e sagace di Leonida Barboni, direttore delle luci tra i più
illustri del cinema italico di quegli anni.
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