lunedì 20 aprile 2015

ferraniacolor

OGGI




La grande speranza (1954) di Duilio Coletti serve oggi a rendere omaggio ad una delle industrie che dettero un contributo non ancora definitivamente riconosciuto al cinema italiano. Sorta in un’epoca in cui la fotografia andava prendendo piede anche nel proletariato e sottoproletariato, dapprima si dedicò alla produzione di apparecchi fotografici e relativi supporti per la ripresa. Andò consolidando la sua fama facendo irruzione nel cinema col rimanerci fino al 1964 quando fu fagocitata dalla multinazionale 3M. Mitiche sono rimaste le varie serie panchro su cui furono impresse le immagini dei capolavori italiani tra il 1935 e il 1955. Con l’avvento del colore in Italia sorse la ferraniacolor, e qui la casa che aveva sede nell’omonima cittadina in provincia di Savona, dette il meglio di sé producendo pellicole ancora oggi distinguibili tra quellie Eastmancolor e Technicolor. Il tratto caratteristico della ferraniacolor era quel rimando, e qui siamo consapevoli di esagerare, agli affreschi della scuola di Giotto, che sa più di matita e acqua che di colori ad olio.
L’opera di Coletti vorrebbe essere antibellica ma il suo è un antibellicismo che porta alla successiva guerra, buona per le giurie OCIC, le sole a prenderla in considerazione. Patetica come la recitazione di Renato Baldini, a cui serve poco la classe british di Lois Maxwell. I soli a salvarsi sono un gruppo di caratteristi capeggiati da Folco Lulli, dal lavoro dei quali si evince la scrittura di Ennio De Concini. Ancora: il tema epico di Nino Rota, l’occhio vigile e sagace di Leonida Barboni, direttore delle luci tra i più illustri del cinema italico di quegli anni.


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