mercoledì 15 aprile 2015

Le dive dei nostri nonni (2)


Chi è finito critico cinematografico dei film di oggi si deve sentire nella stessa posizione spirituale di certi cultori disinteressati di poesia, facitori di buoni versi in loro gioventù, costretti per campare a fare i professori di lettere italiane nelle scuole medie; chi per un bisogno di libertà individuale frequentò assiduamente gli ultimi posti al tempo del cinema muto è costretto ora, per pagare l’affitto e il conto della spesa, a sorbirsi quotidianamente quell’<< aridus fragor ›> di cui parla Cardarelli citando Virgilio. Con la differenza che il novello fragore non è quello che rendono le foglie morte sotto i piedi del solitario passeggero, ma cataste di parolette, imbecilli per la più gran parte, e anche cattive, uscite dagli altoparlanti. Ma forse di questo è inutile discorrere, è meglio tornare indietro.
Chi si ricorda ancora, per esempio, dei film espressionisti tedeschi che commossero la nostra adolescenza verso il 1926?I film tedeschi arrivarono tutti insieme, in masse compatte, per così dire, e a plotoni affiancati. Conoscemmo così la vera Germania prima che dai libri nei film, quella Germania che era stata falsata sino al grottesco nella nostra immaginazione infantile dalla propaganda alleata dell’altra guerra; imparammo allora a conoscere la Germania romantica, << patria dell'angoscia >›; si mossero in un clima allucinante e febbrile personaggi in dimensioni ora concrete e ora irreali, il Veidt dello Studente di Praga di Galeen e lo Jannings del Variété di Dupont. La Germania dell'altro dopoguerra reagiva alla propaganda alleata chiamando a raccolta tutte le sue energie spirituali, e di queste energie il cinema non era la meno efficace: il cinema passava le frontiere in scatole che poco ingombravano, era duttile, penetrante e silenzioso. 

Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972

Nessun commento:

Posta un commento