martedì 9 dicembre 2014

Mi sintonizzo con te



 di Marco Dalla Gassa


Primo lungometraggio di Alice Rohrwacher, sorella minore dell’attrice Alba, Corpo celeste rappresenta l’ennesima declinazione di un luogo comune della rappresentazione cinematografica della pre-adolescenza: quello secondo cui i più piccoli costituiscono un corpo estraneo – qui bisognerebbe dire un corpo celeste – rispetto alla società in cui vivono e in modo particolare rispetto alle dinamiche relazionali che regolano il mondo adulto. Marta, come prima di lei molti suoi coetanei del grande schermo, ci viene descritta come una sorta di alieno, catapultato da chissà dove dentro una realtà sociale con la quale sembra non avere nulla da spartire. La sua “diversità” si vede a occhio nudo: in un meridione del grigiore edilizio, delle donne vestite di nero, dei riti religiosi enfatizzati e prevedibili (la prima sequenza ci mostra ad esempio l’avviarsi di una processione mariana con tanto di inni, preghiere e pianti), Marta spicca perché è rossa di capelli, ha la carnagione chiara, il corpo esile e asciutto; ha un carattere tenace, una personalità delineata, ma è silenziosa, quasi invisibile, incapace di abbandonarsi a scenate di rabbia o ad altre estemporanee manifestazioni della propria emotività, preferendo la fuga, il rinchiudersi dentro se stessa. È dunque fin da subito chiaro che la sua presenza si pone in termini essenzialmente strumentali e funzionali. Vale a dire che il suo personaggio non ci viene mostrato nel bel mezzo di un processo di crescita e trasformazione emotiva o fisica, ma in una condizione di alterità dichiarata (e destinata solo parzialmente a esaurirsi con lo sciogliersi della trama) che consente di delineare meglio – diciamo per contrasto – il contesto sociale e religioso che a lei tocca in sorte di visitare. Marta insomma è la proiezione dello sguardo spettatoriale, un tramite, offre una prospettiva dubitativa su ciò che la circonda.
E ciò che la circonda, si accennava poc’anzi, è in larga misura una rappresentazione triste e desolante nel nostro paese e in modo particolare di come è vissuta la religiosità in una comunità del meridione che altri luoghi comuni ci dicevano vissuta con generosità, partecipazione, determinazione. Nel reggino, o almeno nella parrocchia che frequentiamo insieme a Marta, accade l’esatto contrario: riti, funzioni e processioni ripetute senza che vi sia una partecipazione realmente sentita da parte dei fedeli; catechismi che vengono gestiti come pacchiane animazioni da reality show; parroci che si muovono come amministratori delegati; famiglie “tradizionali”, dunque composte da numerose persone, i cui membri non comunicano tra loro; periferie cementificate, spoglie, povere, senza possibilità di riqualificarsi. Marta si muove, in altri termini, in un vuoto pneumatico di natura economica, culturale, sociale, oltre che spirituale, che pervade quasi ogni aspetto della vita quotidiana. Le uniche note di colore sono quelle dell’estetica del kitsch, una sorta di chiassoso e colorato nuovismo che vorrebbe coinvolgere le generazioni più giovani, qui come altrove rappresentate come abuliche e indolenti, senza accorgersi che ogni tentativo in tal senso – come nel caso del quiz: chi vuol esser cresimato? – non fa che mutuare, stancamente, riti demistificanti ed escapisti della società della comunicazione (con relativi modelli culturali di riferimento), impoverendo ulteriormente l’esperienza della cristianità.
In tutto questo desolante quadro sociale, Marta si pone non solo come “sguardo altro”, ma anche come possibile “soluzione altra” e alternativa per evadere da un labirinto che pare senza vie d’uscita. Una alternativa lo sono i suoi comportamenti schietti, il suo silenzio, le sue passeggiate solitarie, una alternativa è il suo viaggio insieme a don Mario per prelevare il crocifisso in un paese spopolato delle montagne reggine, l’incontro con un prete anziano, la vista del crocifisso non nella sua posizione ortodossa (in piedi accanto all’altare), ma poggiato per terra, dunque avvicinabile e palpabile, e poi, lanciato da una montagna a strapiombo sul mare, abbandonato ai marosi. Quelli elencati sono segni indicativi e visibili di possibili e tortuose strade verso un diverso modo di essere adulti e, segnatamente, di un modo diverso di vivere la fede e il proprio rapporto con Dio. Un modo di essere e di vivere che Marta può sentire in tutta la sua concretezza (il corpo e il sangue di Cristo) non in un artefatto lontano, ma in un fisico che cambia, sboccia, si trasforma, come le ricorderanno le prime mestruazioni, giunte proprio durante la cerimonia per la confermazione.

l'originale è qui:
 http://www.minori.it/minori/corpo-celeste-0

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