domenica 31 marzo 2019

Andrej Tarkovskij in Sicily



19 July, Taormina. Hotel San Domenico. 1980
In Sicily for the first time. I don't yet have any understanding of it. Catania is a gloomy town, with heavy, dirty buildings which have their own kind of air and their own visage.
The Hotel San Domenico in Taormina is in what was once a monastery. Huge corridors; sumptuous staircases; the rooms used to be cells. There's a garden and a view over the sea. The sea here is very clean.
I've seen Rondi, but haven't yet talked to him about the things I intend to discuss with him. Maybe tomorrow.
Marina, the interpreter, is improving. There is something new about her. I am tired, going to bed. Here until the 27th, when I fly to Rome in the morning.
Andrej Tarkovskij, The Diaries, 1970-1986

giovedì 28 marzo 2019

Detective Thriller - acting out

La rievocazione non era che un fenomeno intellettuale, una presa di coscienza del passato in quanto passato, e a poco a poco diveniva chiaro che la rimemorazione del materiale inconscio aveva minore importanza del discernere il contorno delle resistenze [cosi come nella «detective story ›› non conta tanto scoprire come si sono svolti i fatti criminosi ma rimuovere l'ostacolo frapposto ad un'ordinata e armoniosa convivenza sociale costituito dal colpevole). ln sede di tecnica analitica doveva diventare poi chiaro che la stessa rievocazione è in più di un caso sostituita da una vera e propria ripetizione della situazione traumatica anziché ricordarsi del passato il malato lo ripete traducendolo in atti (« acting out ››) beninteso senza riconoscerlo come ripetizione (questo meccanismo viene magistralmente illustrato in M di Fritz Lang, in cui il «mostro di Düsseldorf››, oppresso dagli impulsi malvagi di cui è preda, si lamenta in questo modo: « Voglio fuggire. Devo fuggire. Sono costretto a spostarmi in continuazione, strada dopo strada, e c'è sempre qualcuno dietro di me. E sono io, sono io che mi vengo dietro e non so come sfuggire a me stesso». Se nella tecnica analitica la strategia consiste «nell’evitare la ripetizione mirando all'eliminazione delle resistenze, nella «detective story » la manovra consiste nell’eliminare le resistenze mirando alla ripetizione [al primo delitto punibile succede il delitto impunibile, garantito non soltanto dalle istituzioni ma anche dalla convenzione implicita nel genere che vuole che fil «detective ›› non può compiere errori nell'individuazione del colpevole; ovvero, il delitto non paga, la diligente attenzione prestata al richiamo discreto di indizi, peste e motivazioni si, il che equivale a dire che il delitto ripetuto è premio a se stesso).
Il cinema Hollywoodiano classico non ha mai mancato di sottolineare i rapporti strettissimi tra paranoia e conoscenza, tra sapere e compulsione [cerimoniali autistici). Oltre alla figura del «detective ›› coinvolto nell’esercizio maniacale dell'investigazione [come afferma l'intellettuale- segugio dilettante di The Rope di Alfred Hitchcock, ogni « teoria››  viene da Satana] si ricordi quella dello scienziato pazzo o criminale del genere « horror » o « science-fiction ››. Ancora una volta si tratta di registrare una fondamentale ambivalenza.

Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾ 

mercoledì 27 marzo 2019

Ancora Odette/Delia

Odette Bedogni e Ave Ninchi
Luigi Zampa, Anni difficili, 1948

Per qualche tempo il film portò anche il titolo Credere - Obbedire - Combattere, ne fu ostacolata anche la sua esportazione ritenendolo offensivo per il popolo italiano. Rivisto oggi appare come il prodotto di un dilettante dove nessun attore scopre la sua voce originale tranne il narratore che non appare mai. L'unico interesse è negli esterni della città di Messina dove ancora mostra i segni del bombardamento anglo-americano.

domenica 24 marzo 2019

Briguglio Film - Odette al bagno

 Un quintetto d`eccezione attorno al desco familiare: Milly Vitale, Umberto Spadaro, 
Ernesto Almirante, Odette Bedogni ed Ave Ninchi, Parla «papà Piscitello» 
ed a giudicare dalle espressioni di chi lo ascolta, la situazione sembra un po` grave.


Ma il tempo è...
galantuomo

La figlia di Piscitello sarà Odette Bedogni*, diciottenne acclamata ballerina della Scala, vivacissima, intelligentissima e, naturalmente, bellissima. Giudicherà, del resto, il pubblico, il quale avrà la fortuna di vederla in costume da bagno, fortuna che non è capitata ad Aldo Sgroi il quale il quale si è recato nella riviera, a bordo della lussuosa macchina del comm. Giovanni Reale con la scusa di arraffare le primizie cinematografiche già promesse a me, con il miraggio di vedere le scene di mare. Ha avuto le fotografie che potete qui ammirare anche voi, ma Odette al bagno non l'ha veduta perché, una volta tanto, il tempo si è mostrato galantuomo e non ha concesso vantaggi giornalistici a nessuno dei due, nè lui giovanissimo, né a me vecchio, risparmiando a lui illusioni a me rimpianti, e riservando, a voi lettori che avete maggior diritto, la delicata e gustosa primizia.

 “Un buon bagno ristoratore è quel che ci vuole”, 
sembra voler dire Massimo Girotti ad 
Umberto Spadaro che osserva con un certo scetticismo.

 FINE
N. S.
Nitto Scaglione
Gazzettino Peloritano  ARTISTICO MONDANO LETTERARIO APOLITICO  Anno 1  N. 2 Messina Domenica 26 Ottobre 1947

* Odette Bedogni (1929 - 2004) è meglio ricordata come Delia Scala.



mercoledì 20 marzo 2019

Hommage a Pasolini


Dans chaque image, on sent le trouble que Pasolini porte à I'écran en heurtant Ia conscience du spectateur. Ce qui scandalise, ce n'est pas l'obscénité, totalemem absente. Ce qui fan scandals, c'est plutôt la sincérité”.

In ogni immagine, possiamo sentire il fastidio che Pasolini ritrae sullo schermo colpendo la coscienza dello spettatore. Ciò che scandalizza non è l'oscenità, totalmente assente. Ciò che fa scandalizzare  è piuttosto la sua sincerità”.

Jean Renoir sur Théorème, Venise 1968

martedì 19 marzo 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - Spazio alternativo

E dunque, la città dell'umile non è quella del ricco. Essa va conquistata metro per metro: lo dimostrano bene le sequenze al Prenestino di Il tetto. Ma non -— e qui è un punto importante — per assimilarvisi supinamente, bensì perché nella conquista dello spazio si esplichi un' essenziaIe creatività alternativa. Il tetto abbonda di panoramiche verticali ad indicare il tema fondamentale della costruzione [del resto necessariamente presente in un film che, dopo tutto, narra della vita di un muratore — e, detto per inciso, in questo senso il film e una piccola lezione sul concetto marxiano di alienazione]. E’ la storia dello spazio dell'umile, del suo fondamentale diritto ad esso in opposizione alla struttura capitalistica della città. E’ la storia della ricerca e della costruzione dello spazio essenziale alla propria vita, al di là delle intenzioni stesse di uniformarsi a un modello sociale stabilito 10 {qui chiaramente indicato dal matrimonio, anche se non va dimenticato che in questo caso l'istituzione stesse viene problematizzata, negata dalla realtà sociale ed economica della società: non per nulla il padre della ragazza si oppone a un matrimonio fondato sul semplice sentimento e non garantito da una sicurezza economica iniziale]. Ciò appare ancor più chiaro in Miracolo a Milano, nel quale lo spazio alternativo compare a dimensioni d'affresco: un‘intera città viene eretta dai reietti della metropoli. E non per nulla essa viene eretta ai margini di questa. Quello, insomma, che costituiva la comunità caotica dei barboni come luogo di emarginazione diventa lo spazio altro da opporre alla città. Ogni rapporto, anzi, con lo spazio si configura in termini di alterità: si pensi alla scena in cui Totò apre per un bambino una porta dietro la quale non c'è nulla. La porta sembra la fragile, assurda linea divisoria di uno spazio vuoto. ln realtà quello che poteva essere un  gag  da film muto americano acquista un suo preciso senso simbolico: virtualmente la città alternativa è già costruita, Totò col suo gesto l‘ha già istituita, fondata,  ideata per i suoi compagni. Perché essa è la città della fantasia, e basta un gesto nello spazio vuoto per evocarla dal nulla. La fantasia, follia del povero, diventa realtà nel momento della sua costituzione 11. Certo, i gesti sono simili, ma il sistema non può essere lo stesso: ogni luogo della città alternativa e un fatto culturale, indicato da un numero. Attraverso il numero i bambini imparano, è vero, ma al tempo stesso esso indica l'assenza — o forse il rifiuto? — non tanto dello spazio della città tradizionale e distaccata, ma piuttosto di una tradizione, di una storia » 12. (continua)

10 E’.  indicativo che l’unico luogo, l'unica casa (sia pur temporanea) che la coppia trova disponibile si presenti nell‘ambito di un ritorno al paese natale della ragazza: si tratta, naturalmente, della casa della propria infanzia, e non a caso li riceve la madre cui, psicoanaliticamente, sempre si indirizza questo ritorno. Cfr. Gaston Bachelard: ”La terre et les réveries du repos), Paris. Corti, 1971, pp. 120-22.
11 Come scrive molto bene Bachelard, “La maison vécue n'est pas une boite inerte. L'espace habité transcende l’espace géométrique”  e ancora, “La maison, plus encore que le paysage, est un état d'ame"». Cfr. Gaston Bachelard: “La poétique de |‘espace “, Paris. Presses Universitaires de France. 1974. pp. 58 e 77.
12 La cosa assume addirittura dei risvolti mitologici se si pensa alle parole di Eliade: “Un’era nuova’ si apre con la costruzione di ciascuna casa: ogni costruzione è un inizio assoluto, cioè tende a restaurare l’istante iniziale, la pienezza di un presente che non contiene nessuna traccia di storia”, e ancora, “una costruzione è una nuova organizzazione del mondo e della vita”. Cfr. Mircea Eliade: “Il mito dell'eterno ritorno”, Torino, Borla, 1968, pp. 104 e 105.
Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975




lunedì 18 marzo 2019

Jean Gabin e i giovani d'oggi


Giovedì, 4 febbraio 1999
Guardo con imbarazzo e curiosità i giovani seduti sulle poltroncine rosse del cinema. Mi sento una quinta colonna. Non sanno che so. Sono diversi da un tempo. Nel vestire, nella disinvoltura, nel modo di esprimersi. Viene proiettata Alba tragica e mi prende un’intensa emozione quando un ragazzo introduce il film di Carné, il primo di un ciclo sul cinema di sinistra. «Ma siamo noi», mi dico.
E mi viene in mente Luciano Bianciardi, il suo Lavoro culturale: «In poco tempo scoprimmo tutto: l’asincronismo, la dissolvenza, il carrello, i piani, il montaggio, la sequenza. La sequenza del palazzo imperiale di Odessa ci divenne familiarissima. Montando immagini di folla tumultuante sui leoni di pietra che si trovano al cancello del palazzo, Sierghei Mihailovic Eisenstein riusciva a far vivere quei leoni, a farli scattare in piedi». *
E mi viene in mente la saletta del glorioso Cineclub, il cinefilo Elia, magro come un osso, che si sbracciava ogni volta: «Ve lo giuro, vi do la mia parola d’onore, mercoledì prossimo Il vampiro sarà qui». Arrivava invece un film sovietico con diciture in ungherese o un film della nuova cinematografia cecoslovacca doppiato in tedesco, ma eravamo ugualmente incantati nel nostro aprirci al mondo.
Chissà che cosa pensano i pochi giovani presenti in sala, di Jean Gabin, l’operaio François suicida, e di quel suo colpo di pistola che fa da simbolo alla morte di un’intera classe sociale. E che cosa suscita, nelle immaginazioni, Arletty, Clara, conoscitrice della vita, sullo sfondo di quei bistrot di Parigi che stringono il cuore.
* Luciano Bianciardi Il lavoro culturale, 1957.

Corrado Stajano, Patrie smarrite, 2001

venerdì 15 marzo 2019

Рерберг и Тарковский.



The process of crafting an image is informed by the  artist's worldview.
The worldview is shaped  by the artist's time, country of residence,  his culture... his daily interactions, his unique intellectual and  physical attributes.

Il processo della creazione di un'immagine scaturisce dalla visione del mondo dell'artista.
La visione del mondo è plasmata dall’epoca dell'artista, dal paese di residenza, dalla sua cultura ... le sue influenze quotidiane, le sue tangibili caratteristiche intellettuali. Georgy (Gosha) Rerberg (1937 – 1999)

Игорь МАЙБОРОДА Рерберг и Тарковский. Обратная сторона 'Сталкера', 2009

Igor MAYBORODA Rerberg and Tarkovsky. The Reverse Side of «Stalker», 2009

mercoledì 13 marzo 2019

Briguglio Film - Giovanni Grasso & Co.

Gli attori Di Cenzo,Cristina, Grasso, Biliotti, Randi, Salvietti e Nicolosi 
discutono di politica. (Ma solo nel film, s'intende...)


Uno stuolo
di calorosissimi artisti

Enzo Biliotti sarà il podestà, uno di quei famosi podestà siciliani dell’epoca, e la scelta non poteva essere più ƒelice. Suo figlio sarà il Castellani, una autentica scoperta di Zampa, che appena al suo secondo film è già una rivelazione.
La moglie di Giovanni è appena quindicenne; l’avete vista ne «I ƒratelli Karamazoff» suo primo film: si chiama Milly Vitale ed è la figlia del celebre direttore d`orchestra Eduardo Vitale, di cui ha la
stupenda sensibilità artistica.
Uno stuolo di calorosissimi artisti è accanto a loro: Giovanni Grasso, Benedetto Cirino, Ernesto Almirante, Rainiero De Cenzo, Olinda Cristina, Agostino Salviettì, Aldo Silvani. (continua)

N. S.
Nitto Scaglione

Gazzettino Peloritano  ARTISTICO MONDANO LETTERARIO APOLITICO  Anno 1  N. 2 Messina Domenica 26 Ottobre 1947



lunedì 11 marzo 2019

Detective Thriller - da Hitch a Freud

Gérard Genette ha fatto a suo tempo notare che non si è giustamente apprezzato il fatto « che l'autentico colpevole di Rear Window, quello di cui Hitchcock si riserva di mostrarci il castigo finale, non è il criminale ma invece il testimone, il voyeur, perché è lui che commette il vero peccato: il peccato di conoscenza ››. A Gérard Genette pare che «l’atteggiamento di Hitchcock di fronte ai propri eroi non dipende da un'etica del male [come quello di Flritz Lang) più di quanto non dipenda da una sociologia del crimine [come quello di Hawks in Scarface), ma invece da una metafisica del peccato... ››, la cui tentazione autentica è costituita dall'Albero della Conoscenza.  Vi è tutto, fino all'immagine della caduta, che Hitch ci mostra prendendola impietosamente alla lettera...››. Ma in realtà Gérard Genette non fa che ricondurre alla propria metafisica personale -[che si esprime nei termini della casuistica religiosa) l'ambiguità costitutiva di ogni conoscenza, speculazione o filosofia, analizzata da Freud sotto il termine di « onnipotenza dei pensieri ››: in « Totem e tabù ›› infatti Freud ha tracciato alcune analogie tra tre specie di neurosi e tre specie di attività non neurotiche, vale a dire fra ossessione e rituale religioso (il che non è sfuggito a Hitchcock, il quale nel  suo ultimo Frenzy fa esplicitamente stabilire questo accostamento tramite l'affermazione dell'íspettore di New Scotlanld Yard: « manie sessuali e manie religiose sono spesso legate tra loro ››), tra isteria e arte mimetica [l'isteria esprime le sue paure e i suoi desideri di contatto sessuale mediante ciò che viene chiamato « conversione ›, cioè mediante una gesticolazione mimetica che condivide con la sfera dell'arte il «comune processo di identificazione] e fra paranoia e conoscenza (non essendo ogni gesto conoscitivo che l'effetto di una psicomachia). Il che non mancavano di ricordare nell'antichità i misteri sacri e gli oracoli. Nei misteri di Eleusi si rappresentava il mito di Persefone, smarritasi nelle spire che conducono al regno dell'oscuro e dell'informe, perché nell`attore e nello spettatore si risvegliasse il brivido originario delle iletiche vicissitudini della Psiche. E consultare un oracolo, secondo Otto Fenichel, in linea di principio, significa estorcere il permesso o il perdono per qualcosa che sarebbe normalmente proibito, oppure tentare di scaricare su Dio la responsabilità delle cose di cui uno si sente colpevole. All’oracolo viene richiesto un permesso divino, che può agire come contrappeso nei confronti della coscienza. Al di là del razionalismo imperante che considera il moderno pensiero filosofico e scientifico come il superamento dello stadio primordiale legato a pratiche magiche e religiose [sintomo clamoroso di « onnipotenza dei pensieri »), la « detective story ›› ha l'effetto di ricordarci l'ambivalenza di ogni gesto conoscitivo e i rapporti strettissimi che quest'ultimo intrattiene con la compulsione, l`indifferenziato, l’oscuro e gli stadi anteriori della razionalità esistente: in breve, con l'inconscio.
È per questo che l'indagine del « detective ›› assomiglia a una psicanalisi: non a caso entrambe mirano a far diventare conscio laddove c'era inconscio [« Wo es war, soli ich werden ›› dice Freud; sostituire il registro dell'esattezza a quello della verità, dice lo statuto della « detective story ›); si basano sulla tecnica della « talking cure ›› [il detective ›› e lo psicanalista fanno domande e sono soprattutto buoni ascoltatori); devono fare i conti con l'esperienza del transfert e del contro-transfert (il « detective ›› le lo psicanalista non sono spettatori passivi e straniati del teatro   dell'inconscio che si spalanca davanti a loro, non solo, vi sono inclusi anch'essi e vi apportano il tributo della loro gesticolazione); vanno in cerca di una rimemorazione e di una ripetizione.
Infatti [sia nella < detective story » sia nella psicanalisi] non si tratta tanto di sostituire la conoscenza all'ignoranza quanto di vincere alcune resistenze, di rimuovere alcuni ostacoli. Nel corso di questa lotta contro le resistenze, la rimemorazione o rievocazione, espressamente ricercata dal metodo catartico di Breuer contemporaneamente alla scarica emotiva o «abreazione›› era dapprincipio il fine cui mirava la tecnica analitica. (continua)

Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾


domenica 10 marzo 2019

Unforgiven & others


How Unforgiven laid the classic movie western to rest

Clint Eastwood’s gritty 1992 film dispelled many of the myths which he helped to popularise.
Ever since John Ford admitted to printing the legend in his 1962 masterpiece, The Man Who Shot Liberty Valance, the traditional mythology of the Old West has undergone an extensive series of cinematic reappraisals. From The Wild Bunch to Heaven’s Gate, gritty revisionist westerns and so-called ‘anti-westerns’ have sought to counteract the romantic misrepresentations of violence, history and heroism perpetuated by the genre’s talented mythmakers in an effort to bring audiences an undiluted dose of the ‘real’ Wild West.
As the effortlessly cool protagonist of Sergio Leone’s seminal Dollars Trilogy, Clint Eastwood once helped usher in a new wave of westerns that would dispel some of the falsehoods of the John Ford era while popularising plenty of fresh ones. As the director and star of Unforgiven, he provided the final word on half a century’s worth of horse-mounted do-gooders and lone wolf gunmen. Neither the most disparaging nor most realistic of the various cinematic responses to the genre’s creaky archetypes, it is nonetheless gratifyingly direct and psychologically astute, stripping the gloss and pretence from the old tropes to reveal their raw, bloody origins in both American history and the modern day moviegoer’s own escapist needs.
Like the Leone westerns before it, Unforgiven takes place in a dangerous world full of rugged sons of bitches, killing each other for money, pride or in the name of vengeance. The key difference lies in our response to the brutality on display. Whenever Eastwood’s legendary Man with No Name dispensed justice, the questionable nature of his acts was rendered moot by the fact that his adversaries were always depicted as being more unambiguously wicked than him. In Unforgiven, when Eastwood’s retired bandit William Munny is hired to kill two men who cut up a prostitute’s face, their capital punishment is carried out in entirely joyless fashion.
At the same time, David Webb Peoples’ script is saturated with unnerving reminders of Munny’s own horrific, booze-fuelled track record. In a land where cocky gunslingers fraudulently brag about past murders (which either happened not as reported or not at all), Munny is the only one to actively downplay his own body count out of a sense of remorse for what he’s done – and fear of what he might yet do.
Of course, even in the era of Leone any suggestion of moral righteousness was mere window dressing to the real reason for watching these films. When stylish works like A Fistful of Dollars dragged the western into meaner terrain, the genre wasn’t de-romanticised so much as it was given a fresh shot of testosterone. This was a rougher wild west than the one John Wayne had inhabited, and so the heroes (and by extension the viewer) had to be even tougher in order to thrive in it. Unforgiven short circuits this arrangement by turning the implicit into the explicit – namely, that what this really all comes down to is men and their dicks.
When those men set the film’s grim events in motion by mutilating Delilah Fitzgerald (Anna Levine), they do so as a furious response to Fitzgerald giggling at her client’s “teensy little pecker”. By contrast, local sheriff Little Bill Daggett (Gene Hackman) tells the story of ‘Two-Gun Corcoran’, who earned his name from the pistol he held in his hand and the considerably larger weapon stored in his pants, recalling how bounty hunter English Bob killed Corcoran in a drunken act of jealousy. Combine these obvious phallic references with images of Munny struggling to mount his horse or his gun failing to fire, and suddenly his mission to avenge the damsel in distress doesn’t seem so dignified.
Sheriff Daggett, meanwhile, sees right through the performances of these arrogant, self-styled killers and conmen – yet he too is a striking subversion of a timeworn archetype. His ruthless response to the crimes of Munny and his contemporaries positions him as the primary antagonist of the piece, but it’s not hard to imagine Daggett being the hero of this story in the same vein as John Wayne, Henry Fonda and Gary Cooper. Like Marshal Will Kane in High Noon and Wyatt Earp in My Darling Clementine, Daggett is a steadfast, arguably well-intentioned proponent of law and order.
Nonetheless, his vindictive side emerges once trouble comes to his town, mirroring the violent sense of justice enforced by the very outlaws he beats to a pulp. While Daggett’s final line, “I’ll see you in hell, William Munny,” may read like a typical tough guy kiss-off, in the context of the graceless, primeval omnishambles that results from one woman laughing at a man’s dick, his words become a chilling admission.
In the 25 years since Unforgiven’s release, the western has thrived as an arthouse genre that continues to probe the themes explored by Eastwood’s film and other revisionist forebears – be it in issues of masculinity (Meek’s Cutoff) or mythmaking (The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford) – with even the most crowd-pleasing and action-centric of recent entries tending to contain some element of critique. It seems that any attempt to rejuvenate the screen outlaws and lawmen of yore now comes with a twinge of guilt. As for Eastwood himself, Unforgiven was perhaps the statement he needed to make in order to step away from the genre once and for all.
9 AUG 2017

L'originale è qui:

giovedì 7 marzo 2019

Briguglio Film - "Si gira"


Ave Ninchi ed il brillante attore siciliano Umberto Spadaro 
in una simpatica scena de ”Il vecchio con gli stivali”.

L'accurata regia
di Luigi Zampa

Dalla inquadratura del soggetto alla scelta dei tipi il lavoro del Zampa si profilò diritto, lucido, sicuro come lama: egli esperto nel conoscere come la materia del libro debba divenire spirito sullo schermo inquadrò felicemente nei luoghi vivi le persone vive. Scelto Modica, come luogo dell’azione (che si svolge nel
romanzo a Catania), come luogo più spiccatamente siciliano e molto più agevole alla lavorazione per la possibilità di trovare vive e palpitanti le ƒigure di contorno, ed elesse a protagonista, nella parte di
«Piscitello» un giovane attore siciliano, figlio d'arte e di artisti sommi, Umberto Spadaro, nel teatro e nel cinema rivelatosi per quella ƒresca e pur vigorosa immediatezza che distingue gli attori dialettali in genere ed i siciliani in specie.
Spadaro, col suo intuito pronto e specialissimo, ha stagliato un tipo che rimarrà indelebile nella cinematografia e non italiana soltanto.
Sarà, suo figlio Giovanni, nel film s’intende, Massimo Girotti in travolgente ascesa: dopo le recenti e susseguentisi rapidamente, interpretazioni di «Fatalità», «Preludio d'amore›› «Caccia tragica» e
«Gioventù perduta» Girotti raggiungerà in questo film il «massimo›› della sua popolarità.
Ave Ninchi, l'attrice che per la sua pacata dolcezza e per la vivezza della sua espressione si è, ancor giovane, dedicata al ruolo di madre sarà la moglie di Pìscitello.

N. S.
Nitto Scaglione
Gazzettino Peloritano  ARTISTICO MONDANO LETTERARIO APOLITICO  Anno 1  N. 2 Messina Domenica 26 Ottobre 1947



mercoledì 6 marzo 2019

My dad



My parents are squatting in an abandoned building on the Lower East Side.
They were homeless for three years before that which is pretty much how they raised us.
My dad is not developing a technology for bituminous coal, but he could tell you anything that you want to know about it.
He is the smartest man that I know.
He is also a drunk.
Never finishes what he starts and can be extremely cruel.
But he dreams bigger than anyone I've ever met.
And he never tries to be somebody that he's not.
He never wanted me to either.

I miei genitori occupano un edificio dismesso nella Lower East Side.
Sono stati senzatetto per i tre anni precedenti, ed è così che ci hanno cresciuti.
Mio padre non lavora ad una tecnica per il carbone bituminoso, ma potrebbe dirvi tutto quello che
non sapete sull'argomento.
E' l'uomo più intelligente che conosca.
Ed è anche un alcolizzato.
Non finisce mai quello che comincia, e può essere estremamente crudele.
Ma è il più grande sognatore che conosca.
E non cerca mai di essere la persona che non è.
Mi ha insegnato a fare lo stesso.
Destin Daniel CrettonBrie Larson, The Glass Castle, 2017


lunedì 4 marzo 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - Miracolo a Milano


Cosi, ancora una volta, la città è lo spazio dell'estraneità, della alienazione, della repressione e spesso dell'ingiustizia e della sopraffazione. In una dimensione che ha il sapore dell'apologo è ciò che ci ripete Miracolo a Milano, con quella sua oleografia del capitalismo disegnata in stile disneyano; e lo spazio che la contraddistingue non si presta certo a equivoci. Il palazzo di Mobbi, ampio, slanciato verso l'alto secondo imponenti linee verticali di marca architettonica fascista sembra indicare un'altezza irraggiungibile dalla povera gente delle baracche, alla cui esistenza reale Brunella Bovo — nel film una di loro — si rifiutava a suo tempo di credere, un'altezza che invece verrà raggiunta e di gran lunga superata nella famosa sequenza finale con i barboni librati su una Milano che mostra soltanto qualche tetto e l’immancabile immagine della guglia più alta del Duomo, destinati a un cielo che di sicuro non è il paradiso della classe operaia né tantomeno quello del credente, ma soltanto un ideale, fiabesco spazio alternativo nel quale la sopraffazione del potente non poté più avere la meglio sul povero, come invece era stato persino nell'Anticittà di Totò. Pure, l'esperienza di questa Anticittà non va sottovalutata. Miracolo a Milano in generale, anzi, si presenta come momento essenziale nell'«iter» spaziale del cinema di De Sica. Si noterà per prima cosa come il teatro di ogni cosa semplice e vera, di ogni sincerità naturale, è regolarmente situato nell'area esterna alla città 8. Il film si apre su una periferia semirurale e il gioco di Lolotta e di Totò in una delle primissime sequenze è proprio quello di saltare su una piccola città finta posta sul pavimento della casa. La città vera, del resto, è connotata in modo alquanto esplicito: la si vede la prima volta in occasione del passaggio del carro funebre della vecchia Lolotta, e ciò che la qualifica molto presto è un'immagine di furto e di inseguimento [il ladro e i carabinieri}. Una città che mostra i più vistosi squilibri: Tot passa, uscito dal collegio, davanti a un gruppo di operai al lavoro (un lavoro duro, sporco, ingrato] e la sera stessa davanti alla Scala fra uno scintillio di toilettes, un'esibizione di benessere e di scostante ricchezza. Non a caso Totò stabilirà facilmente un contatto con i primi, mentre con gli altri si limiterà alla distante ammirazione del semplice nel confronti del ricco, lui che trova naturalissimo salutare affabilmente gli estranei che gli passano accanto, suscitando irosi commenti 9.

8 E vengono in mente le parole di Mumford: Il sobborgo riesumò, superficialmente, il sogno della democrazia jeffersoniana, quasi cancellata dalle tendenze oligarchiche del capitalismo, e presentò le condizioni essenziali alla sua attuazione: una piccola comunità di individui che si conoscono tra loro e che partecipano alla pari alla vita collettiva ». Cfr. Lewis Mumford: «La città nella storia», Milano, Ed. di Comunità, 1964, pp. 623-24.
9 E sulla estraneità e l'anonimità programmatiche della città si leggano le chiare pagine di Harvey Cox:  La città secolare , Firenze Vallecchi. 1968, nel cap. La forma della città secolare, pp. 38-59. (continua)

Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975



domenica 3 marzo 2019