mercoledì 15 maggio 2019

Лари́са




"I'm giving you my word that there's nothing, there's no frame in my film, not a single one, that doesn't come from me as a woman. I've never engaged in copycatting, never tried to imitate men, because I know very well that all the efforts of my girlfriends, both older and younger than me, to imitate men's cinema were just nonsensical, because all this is secondary. But I make a distinction between ladies, and men's cinema. There's no women's and men's cinema. There's ladies, cinema and there's men's cinema. Men, too, can do perfectly well the ladies, sentimental needlework. But a woman, as one half of the humankind origin, can tell the world, reveal to the world some amazing things. No man can so intuitively discern some phenomena in human psyche, in nature as a woman can".


"Vi do la mia parola che niente, nemmeno un’inquadratura del mio film, che riguardi me o le donne, è stato copiato da nessuno. Non ho mai tentato di imitare gli uomini, perché so che tutti i tentativi delle mie colleghe più giovani o più anziane di imitare il cinema maschile sono privi di senso perché sono secondari. Voglio fare, però, una distinzione tra il cinema delle donne e quello degli uomini perché non esiste un cinema femminile e un cinema maschile. Anche gli uomini sono capaci di rappresentare gli affari sentimentali delle donne. Mentre le donne, intese come la metà del genere umano, riescono a raccontare il mondo e tutte le cose straordinarie. Nessun uomo è in grado di intuire i fenomeni della psiche e della natura umana come riesce a fare una donna".
Larisa Efimovna Shepitko (1938 - 1979)

lunedì 13 maggio 2019

Men & Networks



This might just do nobody any good.
At the end of this discourse a few people may accuse this reporter ... of fouling his own comfortable nest ... and your organization may be accused of having given hospitality ...to heretical and even dangerous ideas.
But the elaborate structure of networks, advertising agencies and sponsors ... will not be shaken or altered.
It is my desire, if not my duty, to try to talk to you journeymen with some candor ... about what is happening to radio and television.
And if what I say is responsible... I alone am responsible for the saying of it.
Our history will be what we make of it.
And if there are any historians about 50 or 1 00 years from now ... and there should be preserved the kinescopes ... of one week of all three networks ... they will there find, recorded in black and white and in color ... evidence of decadence, escapism and insulation ... from the realities of the world in which we live.
We are currently wealthy, fat, comfortable and complacent.
We have a built-in allergy to unpleasant or disturbing information.
Our mass media reflect this.
But unless we get up off our fat surpluses and recognize that television in the main ... is being used to distract, delude, amuse and insulate us ... then television and those who finance it ... those who look at it
and those who work at it ...may see a totally different picture too late.

Quello che sto per dire a molti non piacerà.
Alla fine del mio discorso ...alcuni accuseranno questo reporter di sputare nel piatto in cui mangia ...e la vostra organizzazione potrà essere accusata di aver ospitato ...delle idee eretiche e addirittura pericolose.
Ma la struttura articolata di network, agenzie di pubblicità e sponsor ...non subirà scossoni, né sarà alterata.
E' mio desiderio mio dovere parlare a tutti voi ...di ciò che sta accadendo alla radio e alla televisione.
E se ciò che dico è responsabile ...allora io solo sono da ritenere responsabile.
La nostra storia sarà quella che noi vogliamo che sia.
E se fra 50-100 anni degli storici vedranno le registrazioni settimanali ...dei nostri tre network ...si ritroveranno di fronte a immagini in bianco e nero, o a colori...prova della decadenza, della vacuità e dell'isolamento dalla realtà...del mondo in cui viviamo.
Ora siamo tutti grassi, benestanti, compiaciuti e compiacenti.
C'è un'allergia insita in noi alle notizie spiacevoli o disturbanti.
E i nostri mass media riflettono questa tendenza.
Ma se non decidiamo di scrollarci di dosso l'abbondanza ...e non riconosciamo
che la TV soprattutto ...viene utilizzata per distrarci, ingannarci, divertirci e isolarci ...chi la finanzia,
chi la guarda e chi ci lavora ...si renderà conto di questa realtà ...quando ormai sarà troppo tardi per
rimediare.

George Clooney, David Strathaim, Good Night, and Good Luck, 2005


domenica 12 maggio 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - Vita di Umberto


La prospettiva del corridoio, dunque, con tutti gli elementi che la compongono, è una perfetta rappresentazione della situazione del protagonista nella casa (e si ricordi anche il bel memento nel quale la macchina da presa inquadra il corridoio deserto mentre da fuori campo giungono le voci della padrona e della servetta: “Che stai facendo? », “Vuole l’acqua calda », e l'acida risposta della padrona un breve intensissimo brano che sottolinea quanto l’ostilità  verso il vecchio abbia impregnato di sé l‘intera casa).
Non per nulla ad Umberto, tornato dall'ospedale e in cerca del cane e della servetta, compare invece sulla vetrata nel fondo del corridoio l'ombra minacciosa della padrona: un momento figurativo che, come a volte capita nel cinema di De Sica - e un altro lo abbiamo ricordato più sopra per quel che riguarda i ricchi borghesi di Miracolo a Milano - sembra attinto a certa iconografia disneyana. Il corridoio, insomma, è il teatro emblematico del calvario morale del protagonista all'interno dello spazio chiuso e ostile della casa.
Il nucleo di base della corsia dell'ospedale, invece, rende un'effimera impressione di ordine, di serenità, di pacificazione. Naturalmente, l'impressione e falsa. La vita dell'ospedale poggia sulla menzogna, sull’ipocrisia, e il bianco che ne è il colore dominante, se da un lato attenua il rigore arcigno del primario e della suora, mostra bene d'altro canto la sua funzione di copertura tutt'altro che efficiente. La corsia si allunga verso la fine dell'ampia sala, mostrando una successione ordinata di lettini e malati. Ma l'indifferenza e la meschinità vi allignano non meno che negli altri spazi di Umberto: due figli in visita mostrano apparente cordoglio davanti al padre morente, ma appena rimasti soli si lanciano in una discussione di interessi economici, il vicino insegna al protagonista l'importanza della menzogna melliflua, la suora raccomanda i devoti per un prolungamento dell'ambito soggiorno distribuendo rosari e biscotti, ecc. , ecc.
Infine, il giardino pubblico, ritmato sul lato destro dell'inquadratura dall'intermittenza delle panchine e da un filare di alberi. Il giardino è il teatro della risoluzione finale del protagonista, del suo vero e proprio testamento, che però viene rifiutato con un sorriso sprezzante dall’istitutrice della bambina cui Umberto vorrebbe affidare il cane, per lui l'unico amico fedele, per la donna soltanto un grattacapo e un’occasione di lavoro in più. Passato il ponticello — una mitologica porta sulla morte — e fallito il suo tentativo di suicidio, Umberto tornerà ad inserirsi nella prospettiva del giardino, nel suo verde animato e strillante, perdendosi per una volta in essa mentre uno sciame di ragazzini vocianti invade lo schermo. Per un momento brevissimo e assoluto Umberto ha trovato una sua pace dimentica in un surrogate di natura, in uno spazio infinito perché infinita è la dimensione prospettica che ce lo porge *.
Solo a quel punto Umberto e veramente morto, alla vita ed al film. Nessuna caduta dalla finestra sul selciato percorso dalle rotaie del tram, nessun treno che travolga in un vortice di polvere e di fumo un vecchio ed il suo bastardo dagli «occhi intelligenti »: soltanto un campo lunghissimo nel quale l'immagine ludica della loro triste vita sfuma nelle mille possibilità della morte. (continua)

* Viene da pensare all’immagine di infinito nella sequenza conclusiva di Miracolo a Milano: ancora una volta un finale «soddisfacente», ma in realtà amarissimo perché irreale o comunque non risolto.

Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975


giovedì 9 maggio 2019

Andrej Tarkovskij in Sicily - Rondi's fight



July, 23, 1980 Taormina
Lay in the sun. Was interviewed by two journalists. Tilda has arrived from Rome but still hasn't telephoned me. Early to bed.

July, 24, 1980 Taormina
Narymov has arrived with a very pretty daughter. Surikov wired to tell me to come a day earlier. To hell with them. I shan't have time to do anything in Rome.
There was a big, fairly boring press conference, and after it Rondi congratulated me on my success.
Incidentally, in the evening, at supper, Rondi almost had a fight (! ?) with the waiter because he wouldn't bring him coffee from the bar. There was quite a little scene.
I rang Franco in Rome. And Brigitte Fossey's agent rang to say that Fossey is prepared to
drop everything to come and film with me. (Discuss it with Norman, urgently. Tomorrow I'll ask Rondi to talk it over with Fichera, he is arriving here tomorrow; Golumbino is already here.)
Larochka! Tyapus! Dakus! How I miss you all! Please God we shall see each other soon. Tomorrow morning I'll try and ring Moscow.

Andrej TarkovskijThe Diaries1970-1986

mercoledì 8 maggio 2019

Isa Miranda interamente calabrese



ISA MIRANDA CI PARLA DI
Patto col diavolo

Isa Miranda e un'attrice assai cara al pubblico italiano. Il suo nome è legato a quello di innumerevoli film, da lei interpretali in Italia ed in America. Oggi Isa Miranda è in piena attività ha appena terminato il film « le Mura dei Malapaga», ha già partecipato al primo colpo di manovella del film « Patto col diavolo », di cui sarà regista Luigi Chiarini.
«L'interesse maggiore che assume per me questo film — ci dice Isa Miranda — sta nel fatto che esso costituisce una esperienza nuova nella mia carriera di attrice: per la prima volta, cioè, io ho preso contatto con un personaggio non convenzionale, ma semplice, sincero ed umano"... l'azione del film si svolge interamente in Calabria. Protagonisti — naturalmente — un uomo ed una donna, figli di ricchi possidenti in lotta tra loro per il predominio sulla zona. I due giovani sono attratti da reciproco amore, ma il contrasto delle loro famiglie che culmina con l'uccisione del padre della ragazza da parte di un sicario del giovane, li separa il giorno stesso del matrimonio.
«E allora? — chiediamo con curiosità a questo punto. 
«Allora — risponde scherzosamente la Miranda — succede i quel che capita sempre nelle storie del genere. I due giovani decidono di uccidersi. Lo strumento scelto per darsi la morte è il treno. Il film ha quindi una specie di finale alla Anna Karenina, ma doppio».
Foto: retro copertina di CINEMA quindicinale di divulgazione cinematografica Anno III - N. 1 Dicembre 1950
Testo: l’UNITA’,  Domenica 13 febbraio 1949

lunedì 6 maggio 2019

Detective Thriller - in principio c'era Edgar Allan

 Il prototipo del « detective » è il C. Auguste Dupin di Edgar Allan Poe. Mezzo artista, mezzo scienziato Dupin impone alle apparenze distorte di un mondo percorso da un orrore irrazionale le sembianze di un ordine sovrano. Prova e riprova che anche l'incubo più delirante, cioè  disorganizzato (etimologicamente il termine delirio sta ad indicare il movimento che l`aratro compie accidentalmente schizzando dal solco), i corpi straziati che ostruiscono il camino di una camera in cui nessuno sembra aver messo piede, può essere decifrato. Secondo questo modello la « detective story ›› si basa su un'estensione della tipica risorsa del romanzo gotico: il « marveilleux expliqué ››. Ma inserito in un quadro particolare inventato dallo stesso Edgar Allan Poe, in cui un narratore si pone come testimone ammirato (secondo l'espressione di Jean-Paul Sartre, per il quale si assisterebbe allo stesso rapporto tra il narratore e il Monsieur Teste di Paul Valéry) delle prodezze cerebrali di un pensatore che sublima nella sfera delle idee un gesto sanguinario. È dal narratore di Edgar Allan Poe che derivano tutte le successive figure vicarie di fidi cronisti di annali polizieschi: il dottor Watson [che fa coppia con Sherlock Holmes), Archie Goodwin (con Nero Wolfe), Hastings [con Hercule Poirot), Vain [con Philo Vance), ecc. Caratteristica del testimone ammirato, confuso e terrorizzato in misura maggiore dello stesso lettore, e quella di limitarsi ad -osservare e registrare gli « exploits ›› delle meningi del « detective ››, sempre freddo e perspicace. Il narratore è più tardo del cosiddetto uomo della strada e il « detective » non è che una versione inedita del « «poète maudit », un recluso solitario che di tanto in tanto si degna di dare una mano alla società da cui si sente escluso. « Detective stories ›› di questo genere vengono di solito usate per proiettare una patetica immagine dello stesso autore in quanto essere volontaristicamente utile nei confronti della società costituita, per quanto incompreso e disprezzato.
È quanto succede nella Casa del corvo (sceneggiato dallo scrittore di romanzi polizieschi John 
Dickson Carr, in cui il protagonista (Joseph Cotten] accoglie in sé i caratteri di Edgar Allan Poe e del C. Auguste Dupin. Anche lo stesso Poe è stato costretto a dissolvere completamente la barriera tra arte e vita, tra lo scrittore e l'investigatore, provvedendo nel « Mistero di Marie Roget ›› a dare soluzione a un caso criminale dell’epoca rimasto insoluto. Ma è soprattutto in « Eureka ›› che Edgar Allan Poe ha tentato di liberarsi della propria maschera, dando risposta al più sconcertante «whodunit» il «chi è stato?›› possibile e immaginabile: il caso della Creazione. In questa «detective story» cosmogonica Poe cerca di dimostrare che il mondo deve ritornare a Dio, il Creatore, il Maestro, l'Ingegnere - Architetto, a prezzo del sacrificio della creatura. «Cerchiamo di capire, egli afferma, che la Natura tende a scomparire, e che Dio solo deve rimanere, intero, unico e completo». L'essenziale di «Eureka›› consiste nel tentativo di far convergere compulsione della ricerca e strutture dell'universo. Ma questo tentativo non e che un'auto-difesa. Edgar Allan Poe mira in realtà a dimostrare che non vi sono né maniaci, né artefici persecutori ma soltanto spettatori della loro ritirata e della loro estromissione, postulando una perfetta sintesi tra conoscenza, natura e poesia. Le ultime due creano le loro forme per scopi comuni. Spetta poi alla conoscenza prospettare questa unità d’azione e d'indirizzo, in vista dello scioglimento risanatore di ogni tensione dolorosa. (continua)
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾

domenica 5 maggio 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - Umberto D


Del resto, il trattamento della dimensione spaziale trova in De Sica altri impieghi di significazione. In particolare, un’altra importante componente spaziale funzionale operante all‘interno del sistema d'opposizione più sopra indicato è senza dubbio la «prospettiva». L'uso della prospettiva è presente in questo periodo del cinema di De Sica almeno sin da Ladri di biciclette (ad esempio nella fuga del ladro sullo sfondo del tunnel, ad indicarne la velocita ed insieme ad anticiparne l'irraggiungibilità]. Ma dove la prospettiva assume un suo ruolo primario, dove essa trova un suo pieno, autonomo sviluppo, divenendo non mezzo occasionale di significazione, ma vera e propria componente articolata del film e senza dubbio in Umberto D. come risultato di un lungo lavorio formale, traguardo di un cinema in progress , che di volta in volta trova nuove soluzioni spaziali sempre tese verso la ricerca di una dimensione che si presenti finalmente nuova conquista. La dimensione puramente figurativa del cinema di De Sica esula dal nostro discorso e terminiamo il nostro accenno a questo punto. Ma se ci e consentito un giudizio di valore all'interno di un discorso critico che parte da presupposti che non lo includono, Umberto D. è a parer nostro la cosa più alta di tutto il cinema di De Sica, l'opera più ineccepibile e completa, superiore in perfezione anche ai film migliori di quella produzione. Di questa qualità lo stesso impiego della prospettiva è in fondo testimone eloquente, componente non secondaria. Tutto il film si articola, appunto, su una serie di prospettive che ne sono i nuclei di base, e su un complesso compositivo di carattere prospettico che si presenta secondo due moduli fondamentali. I nuclei di base sono, in ordine: a] il corridoio della casa di via S. Martino della Battaglia; b) la corsia dell'ospedale; c] il giardino pubblico nelle sequenze finali. l complessi compositivi di carattere prospettico sparsi per tutto l'arc0 dei film sono: a) |'inquadratura obliqua di un elemento orizzontale costeggiato da uno verticale; b] la composizione complessiva di figura, edificio e cielo [ovviamente inquadrata dal basso verso l’alto]. Incidentalmente sono infine rilevabili altre più estemporanee utilizzazioni prospettiche specificamente funzionali a singole significazioni, cui accenneremo fra breve.
Per quel che riguarda i nuclei di base, non e difficile rilevare che essi — e in special modo quello del corridoio della casa — corrono per tutto il film a scandire la profondità dei luoghi quotidiani di Umberto. Il corridoio ad arco della casa scorre portando irresistibilmente l'occhio verso il salotto nel fondo. |E a questo punto non sarà inopportuno rilevare che la casa stessa si articola secondo tre componenti spaziali: la camera di Umberto, la cucina che è il luogo della servetta, e il salotto che e invece una sorta di vera e propria tana della terribile padrona di casa. Il corridoio, dunque, nel quale la camera di Umberto e la cucina della servetta si fronteggiano, corre verso il suo punto di fuga, il luogo della padrona. Il linguaggio dello spazio non potrebbe essere più esplicito, la dipendenza delle due vittime ne viene magnificamente espressa; il corridoio è nella sua dimensione prospettica il testimone della loro inferiorità, della loro sconfitta. Inutilmente Umberto tenterà di opporvisi. Per un certo tempo egli riuscirà stentatamente a mantenere una sua privacy, ovvero una sua possibilità di sopravvivenza. Nonostante le formiche, nonostante le invasioni che regolarmente ritmano il suo spazio: la sua camera è subaffittata a una coppia di adulteri (un fiero colpo anche alla morale dell’integerrimo Umberto), è il luogo delle comunicazioni fra la servetta e i due militari [ancora, l'invasione riveste aspetti che, sia pure questa volta in modo meno dirompente, investono quelli che si intuiscono i fondamenti morali del vecchio pensionato], è invasa persino dai rumori del vicino cinematografo (ed  è ancora da fare la storia della presenza del cinematografo nel cinema di De Sica, almeno da Sciuscià in poi) che non a caso, dopo la musica della Settimana Incom (ancora una volta un documentario, come in Sciuscià), permette di cogliere parole {“ …  con i galeotti in queste condizioni, fra due giorni... “] altamente allusive a due dei temi centrali del film stesso, la reclusione e il tempo. Persino la sveglia, l'oggetto, invade lo spazio di Umberto, suonando imperterrita mentre il vecchio la sta puntando, e continuando a suonare anche sotto le coperte mentre lui tenta di addormentarsi.
Ma la sconfitta del protagonista apparirà definitiva soltanto quando, tornato dalla terribile esperienza del tentativo di accattonaggio al Pantheon, troverà la sua camera squarciata in una parete nella quale troneggia un grosso buco. Dall’interno della camera piena dei segni assurdi di una composizione di vernici tale da sembrare quasi un quadro informale. Umberto guarda verso il buco con infinita tristezza. Per la prima ed ultima volta nel film la macchina da presa lo inquadra nella sua camera da uno spazio esterno, ad indicare l'impossibilità di recuperare una dimensione perduta. Il lavoro dei muratori non l‘aveva ancora convinto, ma ora Umberto sa che se ne deve andare, che il suo spazio gli e stato negato, che non ha più una camera e una casa. Il suicidio è l’inevitabile conseguenza che gli balena alla mente. (continua)
Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975