mercoledì 6 maggio 2020

Jean "d'arc" Seberg


 JEAN SEBEBG: LA INSUPERABILE INTERPRETE DI GIOVANNA D'ARCO

 La «ragazza dello Iowa »

 La giovanissima attrice scoperta da Otto Preminger 
riporta successi su tutti i teatrid'Europa - E' stata scelta su 18 mila candidate - In poco tempo si è fatta una fama

Londra, giugno
 AVEVO, spesso pregato vari amici comuni di presentarmi a Graham Green, ma non si era mai verificato che venissimo a trovarci nella stessa città nell'identico periodo di tempo. L’altalena della vita rimescolando nel crogiulo dei miei desideri, non era mai riuscita a distruggere la speranza di potere avere una lunga, interessante conversazione con chi, ancora oggi, rimane uno dei miei autori preferiti. Avevo sempre saputo che prima o poi l’opportunità si sarebbe presentata ed ero fermamente deciso a non lasciarmi sfuggire l'occasione di andare alla scoperta di una personalità umana sulla quale avevo e continuo ad ascoltare estremi, accesi giudizi contrastanti.
L'opportunità si presentò, come di sovente accade inaspettata, un mattino dello scorso marzo in uno dei teatri di posa di Shepperton; ma dopo le rituali convenevoli frasi che seguono ogni presentazione, il silenzio cadde fra noi ed entrambi rivolgemmo la nostra attenzione verso la scena dove sotto l'accecante luce dei riflettori una diciottenne fanciulla riviveva l'intimo eccelso dramma di Giovanna d’Arco con tale sentito radicato tormento e sì forte sublime potenza espressiva, che la finzione si trasformava in realtà e la realtà in arte.
Non avremmo potuto fare altrimenti poiché in quel momento chi risoffriva le fisiche e le spirituali pene della Santa d’Orleans era, a dispetto della giovanissima età e della immatura preparazione tecnica, una grande attrice alla quale ieri Parigi e gli Stati Uniti ed oggi Londra hanno tributato un appassionato trionfo con pochi precedenti; un volto ed un nome che ben presto lo spettatore italiano annovererà fra i suoi favoriti: Jean Seberg.
Ho un amico arabo, che non vedo da parecchi anni col quale ero solito conversare, nei tempi andati, durante le afose, interminabili, eppure rimpiante, ioniche notti. Avevamo un punto in contrasto e parecchio in comune ma toccare quel punto significava fare l'alba sui gradini del sagrato o sulla prua di una barca. A parlare ero, per lo più io: El Amhed stava ad ascoltarmi per poi invariabilmente ripetere: «Dipende ...». Correvo a dissetarmi ad una fontana davo fondo al pacchetto delle sigarette e ripartivo all'attacco.  «Ascolta, figlio di un cammello - gli dicevo -, non puoi prendere un uomo o una donna che non abbiano mai recitato in vita loro e pretendere che ti diano una esatta interpretazione dell’Amleto o dell'Elettra, dell'Osvaldo di Ibsen o della Saint Joan di Shaw. La vocazione non è sufficiente: occorrono mesi o anni di studio».
Quando per la prima volta lessi che Otto Preminger aveva bandito un concorso per scegliere la nuova Giovanna d'Arco e che al concorso si erano presentate circa 18 mila candidate, come innumerevoli altri, sorrisi e dissi: pubblicità. Più tardi, quando egli si accinse ad ascoltare alcune migliaia di candidate fui assalito da un timido dubbio, per poi chiedermi, subito dopo, su quale esperta attrice del teatro inglese o americano sarebbe caduta la scelta. Al contrario arrivò la notizia che la scelta di Preminger era caduta su una sconosciuta ragazza dello Iowa, una certa Jean Seberg. Mi chiesi cosa avesse potuto spingere uno dei migliori registi e produttori il quale ha dato allo schermo un intramontabile classico con «L'uomo dal braccio d’oro» e fra gli altri suoi eccellenti «Carmen Jones», «La luna era blu» di fama mondiale, a scomodare Bernard Shaw, a chiedere a Graham Green di adattare il lavoro per le esigenze cinematografiche ad includere nel «cast» attori come Richard Widmark, John, Gielgud, Richard Todd e tanti altri, la cui bravura aveva avuto il suggello dello applauso delle platee di almeno tre continenti, per poi andare ad affidare il ruolo principale e nello stesso tempo il più difficile aduna inesperta ragazza americana.
Pensai al mio amico arabo, poi con quella caparbietà che mi viene dal granito del mio Aspromonte scossi il capo e dissi: follia. Follia ripetetti, quando alcuni corrispondenti stranieri mi dissero che Jean Seberg aveva tutte le doti per oscurare le precedenti interpretazioni della Falconetti e della Bergman.
Ne rimasi doppiamente sorpreso. Di solito quelli del teatro non amano le inesperte promesse della cinematografia› e per di più gli attori inglesi sono portati a credere che un interprete di Shakespeare di Shaw o di Oscar Wílde, non potrà mai raggiungere la perfezione se non nato sotto il grigio cielo dell’isola britannica o, per lo meno, non abbia fatto il suo lungo tirocinio in una delle rinomate scuole di recitazione di Londra.
Decisi di andare a Shepperton e telefonai a Bill Batchelor. Bill è il migliore Publicity Director, sempre in viaggio, sempre impegnato con un nuovo film o un nuovo lavoro teatrale da lanciare; ma fui fortunato: lo rintracciai alla prima chiamata telefonica e gentile come sempre oltre a lasciarmi il «passo» m'invitò a colazione. Durante la colazione presi una cartolina e l’indirizzai ad El Ahmed. «Il miracolo è accaduto: Jean Seberg nella Saint Joan di Shaw, Green, Preminger.» Non ho ancora ricevuto alcuna risposta; probabilmente il mio amico arabo è fuori sede; ma so fin d'ora cosa mi dirà «Allah è grande! Allah è giusto!»
Ho conversato a lungo con Jean Seberg, mentre gli elettricisti e gli operai preparavano la scena. Fuori della luce dei riflettori la personalità di questa giovane donna nulla perde del suo fascino. I grandi, chiari, bellissimi occhi magnetici continuano a brillare come arsi da una perenne febbre spirituale ed il volto continua ad esprimere con incisiva forza magica i brillanti pensieri della sua non comune intelligenza ed i sentimenti che travagliano o accendono il suo nobile cuore di fanciulla sensitiva; la quale ancor oggi ,dopo gli unanimi riconoscimenti e i successivi trionfi al di qua e al di là dell'oceano conserva il raro dono divino della semplicità.
Renzo Pettè
GAZZETTA DEL SUD, Domenica 18 Giugno 1957

Nota - Renzo Pettè, calabrese, è stato l'autore di un romanzo ormai dimenticato che per titolo aveva Un ponte sullo stretto pubblicato da Gastaldi Editore in Milano nel 1953. Di lui si è perso ogni traccia. Questo testo lo stabilisce a Londra nella metà degli anni '50.

lunedì 4 maggio 2020

I lupi attaccano in branco, Franco Cirino 1970





SEGNALATI DAI PASTORI
Branchi di lupi sull’Aspromonte
Platì, 2 gennaio `
Molti pastori di questo centro, dislocati in vari punti dell'Aspromonte hanno segnalato la presenza di numerosi lupi nelle zone anche vicine all'abitato.
Nella serata di ieri alcune dir queste belve si sono portate in un recinto di capre posto in contrada Arcopallo e hanno sbranato alcuni capi della mandria. Altri capi di bestiame, tra cui sei mucche e diverse pecore sono scappati via impauriti dall'assalto e non sono stati poi ritrovati.
I pastori danno attivamente la caccia alle pericolose belve, che si presume siano in tutto una diecina, ma le battute condotte finora non hanno dato nessun risultato positivo.
La sera di martedì 27 dicembre, verso le ore ventitré, alcuni giovani di questo centro hanno dichiarato di avere visto, lungo la via Roma, risalire una piccola torma di cani uggiolanti. Appare probabile adesso, che dovevasi trattare di qualche lupo spinto dalla fame nel paese.
GAZZETTA DEL SUD 3 gennaio 1955
Dal tono della scrittura si può tranquillamente attribuire il testo all’avvocato Michele Fera.

Oggi senza motivo apparente mi sono lasciato andare, con una dose minima di visionaria visione, in uno scambio di parti: qui leggerete il testo che doveva essere nel suo sito fratello e viceversa qui la pubblicazione originaria per questa pagina.

domenica 3 maggio 2020

I don't wanna be another Richard Jewell


I did my job that night, and some people are alive because of that.
But do you think that the next time some security guard sees a suspicious package, that he or she's
gonna call it in?
I doubt it.
You know? 'Cause they're gonna look at that and they're gonna think, "I don't wanna be
another Richard Jewell.
So I'm just gonna run."

Quella sera ho fatto il mio lavoro, e delle persone sono vive grazie a questo.
La prossima volta che una guardia noterà un pacco sospetto...
Pensate che darà l'allarme?
Ne dubito.
Perché lo guarderà e penserà: "Non voglio finire come Richard Jewell, quindi mi giro e vado via."
Clint Eastwood, Richard Jewell, 2019

giovedì 30 aprile 2020

The Mexican Standoff




Mexican Standoff Movie Mashup from Burger Fiction on Vimeo.

Il Mexican standoff è una condizione di apparente stasi in cui più personaggi puntano una pistola contro un'altra; il più famoso esempio si trova nel film di Sergio Leone IL BUONO, IL BRUTTO, IL CATTIVO del 1966, in cui gli omonimi personaggi, interpretati da Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef, si affrontano in un mortale triello, come lo definì il regista.
Di seguito le opere che si vedono nel video realizzato da Andy Schneider & Jonathan Britnell per Burger Fiction: http://www.burgerfiction.com/

In Bruges (2008)
The Good, The Bad, And The Ugly (1966)
Tombstone (1993)
Escape From L.A. (1996)
The Good, The Bad, And The Ugly (1966)
The Good, The Bad, The Weird (2008)
Shoot Em Up (2007)
Face/Off (1997)
The Matrix Revolutions (2003)
Captain America: The Winter Soldier (2014)
Pirates Of The Caribbean: At World’s End (2007)
Transformers: Dark Of The Moon (2011)
The Killer (1989)
Corky Romano (2001)
RoboCop (1987)
Hard Boiled (1992)
Assassins (1995)
Hitman (2007)
The Boondocks Saints II (2009)
City On Fire (1987)
Repo Man (1984)
Paycheck (2003)
Kill Bill Vol. 2 (2004)
The Way Of The Gun (2000)
Enemy Of The State (1998)
Takers (2010)
Lethal Weapon (1987)
Die Hard (1988)
Seven Psychopaths (2012)
Training Day (2001)
The Mummy (1999)
Shaun Of The Dead (2004)
Natural Born Killers (1994)
Saving Private Ryan (1998)
Date Night (2010)
True Romance (1993)
Munich (2005)
The Untouchables (1987)
Pulp Fiction (1994)
Inglourious Basterds (2009)
The Rock (1996)
The Good, The Bad, The Weird (2008)
Reservoir Dogs (1992)
Anchorman (2004)


mercoledì 29 aprile 2020

LA PIZZAIOLA e il suo promesso sposo





LA «PIZZAIOLA» SI E’ UNITA IN MATRIMONIO CON CARLO PONTI
Sofia Loren.
si è sposata
 La cerimonia celebrata il 17 nel Messico
Bigamo il produttore per la legge italiana

loro servizio esclusivo
 Juarez (Messico), 27 settembre Sophia Loren e Carlo Ponti si sono uniti in matrimonio. nell'ufficío di stato civile di Ciudad Jurez, il 17 settembre scorso: le notizia è trapelate ieri notte e, non appena gli uffici hanno aperto i battenti questa mattina, la stampa ha potuto constatare di persona che effettivamente la Loren e Ponti avevano scelto questa località di confine del Messico per sposarsi. Li ha uniti in matrimonio il giudice di pace Fernando De La Fuente, ma è bene precisare subito che né la Loren, né Ponti (il 17 settembre il produttore ere in Italia) erano presenti di persona alla cerimonia.
A rappresentare le Loren ora l’avvocato Mario Balleetros, mentre per Ponti faceva da sostituto l’avvocato Antonio Lopez Mechuca: una cerimonia del genere ebbe a protagonisti, nel medesimo ufficio di stato civile di Ciudad Juerez, Ingrid Bergman e Roberto Rossellini. A differenza però di quanto avvenne per la celebre attrice svedese ed il regista italiano, il matrimonio tra le Loren e carlo Ponti non avrà alcun valore legale in Italia. Rossellini potè usufruire ancora del peiodo nel quale le sentenze di annullamento di magistrature straniere non venivano automaticamente impugnate dalla legislatura italiana, mentre è certo che la decisione attuale del municipio di Jurez non potrà essere omologata in Italia. Anzi, se i documenti del matrimonio venissero trasmessi in Italia, Carlo Ponti sarebbe perseguitato d'ufficio per bigamia risultando ancora ufficialmente coniugato con la prima moglie dalla quale vive da anni separato.
Sophia Loren sino a ieri sera aveva ancora smentito di volersi recare nel Messico per unirsi in matrimonio con Carlo Ponti, ma la notizia ormai era sulla bocca di tutti, riportata nientemeno da Louella Pearson «la lingua più lunga del mondo», la quale l’aveva appresa da amici intimi della coppia o, forse, avuta direttamente da Sophia. Appunto il dilagare delle voci fece muovere la stampa in direzione di Juarez dove si è avuta la conferma alle nozze. La Loren attualmente sta interpretando, «House Boat» assieme a Gary Grant, che già fu suo partner in un'altra occasione, ed ha a disposizione i giorni di domani e domenica per una breve luna di miele. E’ difficile che questa luna di miele possa svolgersi perché Ponti e la Loren hanno parecchie cose da sbrigare a Hollywood in relazione alla loro società cinematografica, ma rimane il fatto che Sophia appariva da qualche giorno particolarmente felice.
A che serve, si può chiedere, il matrimonio di Sophia se questo non ha valore legale? Non ha valore legale limitatamente all'Italia, perché il divorzio di Ponti dalla prima moglie è riconosciuto in tutti gli altri Paesi del mondo dove non esistano trattati tra Chiesa e Stato tipo quello che unisce la Italia al Vaticano. In Italia tuttavia i due non potranno essere dichiarati marito e moglie salvo una sentenza che annulli (ma una sentenza della Sacra Rota) il primo legame di Ponti.
Il perché la coppia abbia scelto il Messico è presto detto: gli uffici di stato civile messicani non trasmettono i documenti ai Paesi d'origine degli sposi che si uniscano nel territorio del Messico. Il certificato di matrimonio rilasciato dalle corti messicane ha perciò un valore assoluto in ogni nazione (Italia esclusa) dove non esistano accordi con la chiesa.
Alla luce di questi di fatti è comprensibile il perché, nel luglio scorso, Sophia si sia recata « a riposare» nell’incantevole cittadina di Mendrisio, nel Canton Ticino, allo scopo di avere la residenza svizzera, primo passo per ottenere la cittadinanza elvetica. Come cittadina elvetica, una volta persa la nazionalità italiana, Sophia potrà essere riconosciuta moglie di Ponti (a patto che anche Ponti diventi svizzero naturalmente) anche in Italia «in quanto straniera».
Nel luglio scorso, onde motivare la richiesta della cittadinanza elvetica, sia la Loren che Ponti fondarono a Zueg una società cinematografica italo -elvetica. Questa società non ha per il momento alcun film in programma, ma nel frattempo esiste un domicilio legale elvetico per i due a Menrisio e la pratica per la cittadinanza segue il suo corso. Si vedrà. Nei prossimi mesi cosa intenderà fare l’attrice per poter portar a compimento il suo piano.
Questa mattina i giornalisti hanno atteso al varco Sophia per ottenere qualche dichiarazione a commento sulle nozze. La loro attesa è stata vana però in quanto l’attrice ha  giunto per una via secondaria gli studios della Paramount. Di Ponti nessuna traccia come prevedibile.
Alan Cobb
GAZZETTA DEL SUD, 28 settembre 1957



domenica 26 aprile 2020

Ercole, al secolo Steve Reeves


LE «PHISIQUE DU ROLE» NON AMMETTE DISCUSSIONI
 Le Fatiche di Ercole
di “Mister Universo,
Un muscoloso giovane interpreta per Francisci il grande personaggio mitologico
Perché è stato scelto un americano

Roma, settembre
SECONDO l'immagine tramandataci dalla mitologia, Ercole era veramente un tipo straordinario, qualcosa che stava tra il mito e la realtà umana. E per interpretarne degnamente il personaggio sullo schermo non erano certamente indicati Charles Boyer o Montgomery Clift per tacer d’altri. Occorreva un uomo, come suol dirsi, fatto su misura; qualcuno insomma che al fascino della propria maschera. dai lineamenti tesi e ben marcati, unisse una prestanza fisica veramente eccezionale. Nell’insieme doveva essere comunque un bell'uomo, perché è ovvio che non si può immaginare Ercole sotto le spoglie di quei pachidermici lottatori che al solo vederli suscitano un'impressione tutt'altro che piacevole.
Dovendo girare «Le fatiche di Ercole» in eastmancolor e su schermo panoramico, il regista Pietro Francisci ha esaminato molti candidati. Poi, visto che in Europa non c'era l’attore-uomo che potesse sostenere credibilmente il ruolo del mitico eroe, si è indirizzato verso l'America, dove - com'è noto -- anche il culto della bellezza maschile ha molti seguaci, attraverso le varie organizzazioni sportive intese a sviluppare la forza muscolare dei giovani. Così è stato finalmente scelto Steve Reeves, altrimenti detto «Mister Universo» in seguito all’omonimo concorso che ha vinto. Forte, tra l’altro, delle sue positive esperienze cinematografiche in «Athena e le sette sorelle» e «The hidden face», e del suo felice esordio sulle scene di Broadway in «Kismet» e «The Vamp», l’aitante attore americano sta lavorando sodo in questi giorni, sotto la direzione di Pietro Francisci, regista che per i film storici, cavallereschi o mitologici ha sempre avuto una spiccata preferenza. Del popolare regista italiano si ricordano infatti «Le avventure Guerin Meschino», «Attila» con Anthony Quinn e Sophia Loren, «La regina di Saba», «Orlando e i paladini» ed altri. 
Francisci crede sinceramente alla funzione nel cinema dei grandi fatti mitologici. «Se fossi io a decidere la scelta dei films della produzione internazionale - egli dice –i offrirei spesso al pubblico pellicole di questo genere. La mitologia è maestra di vita e ci insegna a credere ancora in ciò che di bello e poetico può essere offerto alla nostra sensibilità umana. Sto girando «Le fatiche di Ercole» intendendo realizzare un grande spettacolo dalle immagini quasi magiche. E la prima volta che Ercole rivivrà sullo schermo. Questo mitico eroe della antica Grecia (siamo precisamente nella preistoria ellenica) vi è reincarnato nei suoi aspetti divini e, al tempo, stesso. come uomo che lotta, soffre ed ama. Gli sono accanto, nelle vesti di personaggi oltremodo suggestivi, Sylva. Koscina, Gianna Maria Canale, Fabrizio Mioni ed altri. Credo che il significato di questo film sia eterno, nel senso che abbiamo tutti un vello d'oro da conquistare nella vita, cioè un fine da raggiungere per dare alle nostre azioni una vera ragion d'essere».
A parte questi significati simbolici, per ora è interessante seguire da vicino il modo in cui viene costruito un così insolito spettacolo, sulla scia delle migliori tradizioni cinematografiche che da « Sansone e Dalila» vanno a «I dieci comandamenti» o alla stessa «Regina di Saba». Negli studi di un grande stabilimento cinematografico, oggi si aggirano diverse centinaia di comparse, vestite nei panni dell'età minoico-micenea e bellissime attrici giovani che formano il delizioso contorno delle due principali figure femminili, Pelia e Antea. Questi ultimi due ruoli sono affidati alla bellezza austera e distaccata di Sylvia Koscina e Gianna M. Canale. Su tutti domina Ercole, evidentemente.
C'è inoltre un elemento completamente nuovo agli effetti della realizzazione del film: la musica elettronica. Essa viene utilizzata per la prima volta in un film italiano, nel relativo commento musicale, per quelle scene che soprattutto sono destinate a dare allo spettacolo, nel corso del racconto, un maggiore senso favolistico e suggestivo delle leggendarie imprese di Ercole. Questa e una trovata del regista Francisci che, in proposito, dice: «Più che ispirarsi alle classiche fatiche, si tratta di una versione attuale, cinematografica, di quello che è stato il grande viaggio per il vello d'oro. Questo il motivo per cui io ed i miei collaboratori abbiamo lasciato libero il nostro estro, tenendo sempre presente la sensibilità dello spettatore moderno. Attraverso le varie riprese che si girano in questi giorni, si svolge la meravigliosa avventura degli Argonauti che, tra mille pericoli, superando i furori del mare, le segrete astuzie di Euristeo, i mortali amplessi delle Amazzoni, aiutati dalla forza di Ercole e dall’astuzia del giovane Ulisse, raggiungono la favolosa terra Cholchide. Qui Giasone, mentre Ercole respinge gli assalti degli «uomini primitivi», uccide in una epica lotta il Drago custode e s’impossessa del Vello d'oro. Ma poi, con l’improvvisa scomparsa del Vello, gli avvenimenti precipitano in un crescendo drammatico e avventuroso.
Uscendo dai teatri di posa in cui Francisci dirige queste scene, vien fatto di pensare che il cinema, più d'ogni altra forma di spettacolo, può andare a ritroso nel tempo di tanti secoli e presentarci fatti e personaggi che ci toccano da vicino, con sorprendente immediatezza e suggestione, proprio che si trattasse di persone che ben conosciamo, o di fatti che ci riguardano direttamente.
Piero Pressenda
GAZZETTA DEL SUD, 15 settembre 1957


giovedì 23 aprile 2020

Un leone a Culver City - Più stelle che in cielo



Oltre alla Garbo, alla Gish e a Mae Murray (le ultime due già in declino), la M.G.M. poteva contare, negli ultimi anni del muto, su un gruppo di "stars" di indiscutibile richiamo, tanto che lo slogan del suo ufficio pubblicità affermava perentoriamente che nei film della casa c'erano " More Stars Than There Are in Heaven" (cioè "più stelle che in cielo"): Alice Terry, la moglie di Ingram, da questo Lanciata nei Quattro cavalieri dell'Apocalisse, un tipo di donna elegante e raffinata; Renée Adoreé, la francesina di La grande parata, i cui vezzi continentali parevano porsi in polemica con le esuberanze della  "flapper" di moda; Marion Davies, la "protetta" di Hearst, una delle stelle pili popolari del periodo, che era riuscita a rinnovare il cliché della Pickfordcon una serie di "biricchinate" meno leziose e più impertinenti, sorrette da una recitazione vivacissima; Norma Shearer, la "star" in ascesa - nonché moglie di Thalberg -, la preferita dalle signore di mezza età per la distinzione del suo comportamento e la sacrosanta intangibilità dei personaggi; Pauline Stark e Aileen Pringle, repliche in formato ridotto ma spesso intelligenti della  " sophistication" messa di moda dalla Swanson; Geltrude Olmstead, un'ingenua non priva di aspetti piccanti; Carmel Myers, la "maliarda " di Ben Hur, che continuava a vampeggiare con sistemi un po' demodés, ma ancora accettabili specie in provincia; Anita Page e Dorothy Sebastian  due attricette non prive di fascino, rispettivamente lanciate come i "prototipi delle bionde e delle brune"; Eleanor Boardman, dal profilo da cammeo e dallo sguardo limpido come i suoi personaggi; e infine persino la messicana Dolores Del Rio, passata da Culver City per un solo film, The Trail of '98. Ma la scoperta più importante del periodo, dopo la Garbo e la Shearer, fu senza dubbio quella di Joan Crawford, la quale, dopo alcuni film di minore importanza, quale "prototipo delle rosse", venne lanciata con grande impegno in una serie di film fortunati;' divenendo in breve la "flapper" ufficiale, destinata a un grande avvenire anche come attrice.
Nel campo maschile, accanto a Gilbert, Novarro, Moreno, Nagel, Asther e Cody, non va certo dimenticato lo svedese Lars Hanson che pur senza raggiungere una grande popolarità, si affermò come un attore di classe. Persino Jackie Coogan, ormai cresciutello, lavorò a Culver City in quegli anni; mentre Tim Mc Coy otteneva un buon successo con, vari westerns di seconda categoria. Ma le cronache dei "fans-magazines" trascuravano in fondo tutti questi nomi per pettegolare soprattutto sugli amori della coppia del giorno: Greta Garbo e John Gilbert, che una curiosa istantanea del 1928 ritrae spensierati e in amichevole colloquio. Essi non sanno forse che lo sguardo pungente di Louella Parsons li sta spiando, implacabile, fuori campo. (continua)
FAUSTO MONTESANTI
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE

Nelle foto: Alice Terry e Ramon Novarro, Marion Davis e Nils Ashter, Renée Adoreé e Ramon Novarro, Geltrude Olmstead e Lew Cody.