La leggenda del santo bevitore riassumeva un po' tutte le caratteristiche che andavamo cercando: girato con grande maestria, brillantemente interpretato e così internazionale nella storia, ma soprattutto nella struttura, da combaciare quasi perfettamente con l'atmosfera e lo spirito dei grandi festival cinematografici. Ed oltre a tutto quello che è già stato detto e scritto sui pregi del film, non dimentichiamoci che un regista italiano racconta una storia ambientata a Parigi, usa un protagonista olandese facendolo parlare in inglese e che il film ha quel tanto di ermetico da accontentare persino il giurato indiano dal nome impronunciabile.
Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
martedì 18 aprile 2017
Film accontenta tutti
La leggenda del santo bevitore riassumeva un po' tutte le caratteristiche che andavamo cercando: girato con grande maestria, brillantemente interpretato e così internazionale nella storia, ma soprattutto nella struttura, da combaciare quasi perfettamente con l'atmosfera e lo spirito dei grandi festival cinematografici. Ed oltre a tutto quello che è già stato detto e scritto sui pregi del film, non dimentichiamoci che un regista italiano racconta una storia ambientata a Parigi, usa un protagonista olandese facendolo parlare in inglese e che il film ha quel tanto di ermetico da accontentare persino il giurato indiano dal nome impronunciabile.
giovedì 13 aprile 2017
e LUX fu
Il Cinema Lux
Inaugurato ieri sera
In meno di un anno tre nuovi locali hanno avuto il battesimo inaugurale
nella nostra città e questa è una evidente dimostrazione non soltanto
dell’intraprendenza e della volontà di ricostruzione dei messinesi, ma segno di
intensificarsi del tono della vita cittadina.
Il cinema Lux che ieri sera ha presentato il suo primo spettacolo
dinanzi ad un numeroso pubblico di invitati ed autorità si allinea per eleganza
con gli altri locali. E’ stato costruito dall’impresa del comm. Giovanni Caruso
su progetto degli ingegneri Sterrantino e Crisafulli e dispone di tutti i
servizi della moderna tecnica, rispondendo a tutte le esigenze del pubblico.
E’ dotato di schermo luminosissimo e di nuovi impianti meccanici
forniti dalla ditta Prevost di Milano. Le pareti riccamente ornate di stucchi
acquistano maggiore effetto nell’indovinato sistema di illuminazione a tubi fluorescenti
che lasciano cadere una luce diffusa, limpida e gradevole. Il materiale usato
per le pareti è termoacustico assorbente mentre una tettoia parzialmente mobile
oltre a rispondere a requisiti di carattere pratico conferisce all’intonazione
generale dell’ambiente una maggiore eleganza ed una linea di efficace
morbidezza, nella sobrietà dello stile.
Pur non disponendo il locale di sistemi di areazione condizionata la
ventilazione è ottenuta in base al principio della depressione dovuta al diverso
orientamento dei prospetti delle pareti.
Il locale che ha una capacità di 700 posti a sedere è costituito da una
sala ampia e da una tribuna comoda con perfetta visuale. Le poltrone sono in
legno curvo su modello viennese.
Alla cerimonia inaugurale hanno partecipato l’on. Gaetano Martino
vice-presidente della Camera, il vice Prefetto comm. Alvino; il col. Morone
comandante interinale della Legione dei Carabinieri con il cap. Mannucci ed il
ten. Moghetti e numerose altre autorità.
Il cinema Lux sorge tra la piazza del Popolo e via Cesare Battisti in
un edificio moderno.
LA TRIBUNA DELO MEZZOGIORNO, Domenica 3 gennaio 1954
lunedì 10 aprile 2017
François Villon here and now
La Foresta Pietrificata (The Petrified Forest), Archie Mayo 1936
Tanto è il bene che ti voglio
Che il mio animo s’infiamma
Al ricordo del nostro primo incontro
Ora che ho conosciuto l’amore
Non potrò più immaginare
di esistere senza di te
nessuna ragione o farsa
mi impedirà d’amarti
per quale motivo infatti
io sono in vita
se non per cercarti e
un giorno ritrovarti
perché questo è il destino
che lega due anime gemelle
dentro il tuo campo
i semi del mio raccolto prospereranno
e il frutto della mia anima
germoglierà di nuovo
Such good I
wish you
Yea, and
heartily I'm fired with hope
Of true
love's meed to get
Knowing
love writes it in his book
For why,
this is the end
For which
we twain are met
Seeing
reason wills not
That I cast
love by
Nor here
with reason
Shall I
chide and fret
Nor cease
to serve
But serve
more constantly
This is the end
For which
we twain are met
Thus in
your field
My seed of
harvestry will thrive
For the
fruit is like me that I set
God bids me
tend it with good husbandry
This is the
end for which
We twain
are meant
Offrir vous veuil
à ce Désir
m'allume joyeusement
ce qu'aux
amants bon semble
Sachez
qu'Amour l'écrit
en son
volume
Et c'est la fin pour quoi
nous sommes
ensemble
Raison ne
veut que je désaccoutume
Et en ce veuil
avec elle m'assemble
De vous servir
mais que
m'y accoutume
Et c'est la fin pour quoi
sommes ensemble
En votre champ
quand le fruit me ressemble.
Dieu m'ordonne que le fouïsse et fume
Et c'est la fin pour quoi
sommes
ensemble.
François Villon, Ballade pour Robert d'Estouteville
Nel film, mentre la versione francese del film mantiene il testo originale, quella americana subisce un adattamento da cui dipende la traduzione italiana.
Himizu, Sion Sono 2011
Riconosco le mosche nel latte.
Puntini nel bianco.
Lo so.
Lo so.
Riconosco un uomo dai suoi abiti
Anche questo so molto bene
Riconosco il bel tempo da quello brutto
Lo so.
Riconosco una mela dall'albero.
Io lo so.
So chi lavora e chi ozia
So tutto.
Tutto mi tiene in vita.
Conosco ogni cosa.
Riconosco le guance rosa da quelle pallide.
Conosco la morte che tutto divora.
So qualsiasi cosa.
Tutto tranne me stessa.
giovedì 6 aprile 2017
The Arrangment
Il Compromesso (The Arrangment, 1969) è un
film-cerniera: rappresenta il momento della frattura dell'io, la rivelazione di
una vocazione autobiografica che si rovesciava in ossessione. Perciò un film
frantumato, stralunato, di un godimento immenso, per il numero sterminato di
codici che attraversa, di scandali stilistici che commette, di slittamenti (dal
teatro naturalista al poema underground) che compie. L’uomo e il regista
esplodevano in un film schizofrenico sulla schizofrenia, pauroso di qualunque
unità, dunque di ogni stile unitario, fino a diventare la prova fertile che
distruzione e contaminazione sono a loro volta uno stile.
Con questo film anticlassico, in cui sembrava liberarsi per
sempre, con un'autoanalisi brutale, del mito della propria biografia, Kazan
entrava nel silenzio.
Enzo Ungari, Schermo delle mie brame, Vallecchi 1978
In questo film di Elia Kazan, la voce di Vittorio Cramer, qui esilarante, veniva utilizzata come molto spesso era accaduto, off, da un apparecchio radiofonico, o da uno schermo televisivo.
mercoledì 5 aprile 2017
SETTE PERSONAGGI IN CERCA DI SPETTATORI
Il
teatro?
Il << cinemascope » è la realizzazione alla quale si guarda come
l'ancora di salvezza per il cinema di domani.
Due locali l’hanno adottato nella nostra città con risultati positivi
grazie alla perƒezione delle macchine di
proiezione e degli amplificatori; tutti gli altri gestori hanno
annunciato a breve scadenza l’importante innovazione,
Messina - ed i proprietari intervistati l'hanno confermato - ha un
pubblico evoluto, con una sensibilità artistica molto affinata ed esigenze di
pari entità.
Speriamo che anche il «teatro» abbia il suo pubblico, quello di prosa
in particolare. E' con questo auspicio che abbiamo accolto con sommo piacere la
notizia di una recita nel mese prossimo del « Cyrano de Bergerac » con Gino
Cervi. La « rivista non ha rivali ed in
questo mese la Osiris - Macario ne darà una riprova.
Gazzetta del Sud Martedì 16
marzo 1954
L’inchiesta è stata curata, da Nino Calarco
Nella foto il Teatro Vittorio Emanuele alla fine degli anni settanta del XX secolo.
lunedì 3 aprile 2017
La letteratura della terra e Vasilij Šukšin - pt. 3
Dal
punto di vista della militanza politica la posizione di šukšin era tuttavia ben
diversa. Era iscritto al partito - fu anche segretario di un Komsomol regionale
-e lavorava nell'ambito della produzione cinematografica di stato. Eppure lo
qualificavano « non allineato ›› quella sua religione della campagna, quella
sua sorniona diffidenza verso « certi valori che valori non sono ›› e che
vengono mediati da un sistema di segni tutto urbano e tecnologico, in un
linguaggio « neutro, senza sfumature, quasi da gazza ladra, da uccello che
cinguetta velocemente ›› (C. Benedetti, intervista cit.`],-quella sua ferma proclamazione
dei diritti/doveri della coscienza individuale, quel suo incessante invito alla
prudenza per non essere travolti dal filisteismo indettato dalla cultura
urbana' (C. Benedetti, int. cit.): « Alcuni miei lettori pensano che io
contrappongo la città alla campagna sostenendo che in campagna va tutto bene e
che la vita è bella. In città, invece va tutto male. Questo giudizio è
sbagliato. Ma devo dire con tutta sincerità che io mi sento molto piú agio tra
le cose che conosco bene. Ecco, forse ci vuole una nuova
saggezza per capire anche la città. Io infatti sento la necessità di salire un
altro gradino per apprendere anche il materiale cittadino. E qui bisogna incominciare
a fare qualche distinguo. Bisogna cioè comprendere che la città non è soltanto
una forza nemica. Nella città, infatti, abita molta gente, è nella città spesso
che si scrivono libri interessanti, si fanno film. «Nella città vi sono esempi
di arte. Ciò vuol dire che anche la città può essere la base per dare vita a
tutte queste cose. « Forse, per me, questo processo di comprensione «è
troppo lungo. Forse sono troppo prudente per comprendere queste cose. Ma nello stesso
tempo credo fortemente che anche i protagonisti dei miei racconti nelle stesse situazioni sarebbero prudenti.
Bisogna essere prudenti in varie occasioni: per scegliere un libro giusto, per
trovare la persona giusta, per non sbagliare in città, per non pensare che l'uomo
che ha fatto un paio di istituti è l'uomo piú saggio del mondo. E' necessario,
quindi, cercare in modo profondo, proprio cosí come fanno i contadini, alla
contadina. Ebbene,se si resta all'interno di questa concezione, la città non
sarà piú un guaio. Io ritengo che lasciando la radice in campagna si lascia
anche la radice nell'anima. Al contadino cioè deve restare dentro qualcosa
perché non divenga, in città, un filisteo. Ma non sempre avviene cosi ». ln una
parola, è stata la sua 'alterità' rispetto alla cultura ufficiale che lo ha
reso inevitabilmente non già sospetto ma certamente «<atipico
››: un tollerato insomma nel ben atticciato conformismo delle istituzioni.
Resta un mistero, per esempio -potrebbe essere solo un
caso tecnico; e lo si può anche pensare -perché mai non sia stato inviato a
Venezia, con gli altri film di šukšin, Peãki-Iavoški
(l'espressione che letteralmente vale 'stufe-panchine' nel sottocodice
linguistico della regione dell'Altaj vale come vera e propria proposizione
esclamativa ellittica enfatizzata dall'allitterazione; e denota stretta amicizia;
ed è rapportabile, in qualche modo, all'espressione veneta cul e camisa] con
ogni probabilità la piú tipica delle sue opere.
Si è ipotizzato che il "colore locale" del
film sia apparso ai funzionari ragione sufficiente per ritenerlo incapace di
destar l'interesse.
Dimenticando il principio luikacsiano della
"particolarità del rispecchiamento" che assai probabilmente - a quel
che si dice – trova in questo film una prova esemplare.
Ma è soprattutto il contraddittorio ironico e
graffiante, sempre indiretto, di šukšin nei confronti della burocrazia e delle
sue sciocche onnipotenze; soprattutto la polemica garbata ma ferma contro gli
arrivisti e i conformisti 'scaltri', che san trar partito da ogni situazione e
che in ogni caso inventano il modo di adattarsi alle circostanze - šuikšin nei
racconti li tratta da lemuri, non da uomini - e i monitori insistenti contro le
tentazioni borghesi del proletariato urbano a porlo in prossimità delle
tensioni di Zòšcenko.
E poi, anche, la lingua. La struttura della sua
narrativa, sia verbale che iconica, è una struttura, dicevamo, paratattica: è
una sequela di monologhi - resi visivamente attraverso il ricorso ai campi lunghi,
alle carrellate, alle panoramiche “interiettive" -- e di dialoghi nei
quali sprizzano inequivoci il mondo spirituale di šukšin, il suo Erlebnis e le destinazioni
del suo discorso. Che non scivola mai nel moralismo ma si regge invece su un
sostanziale sforzo di comprensione della gente, delle situazioni, della storia.
E' per queste tensioni, per queste intonazioni e per
l'importanza che šukšin dà al linguaggio dei suoi personaggi - sembra che Vasilìj Makàrovic segua alla
lettera il parere di Ralph Emerson per il quale il linguaggio è "poesia fossile"; o meglio
si può dire ch'egli enfatizza, per usare un linguaggio sossuriano, la parole rispetto alla Iangue; parole intesa come primum di ogni fenomeno evolutivo, progressivo
della comunicazione - che non ci sembra improponibile, dunque, l’accostamento
del nostro autore a Zòšceniko.
Quel romantico sentimentalista che fu Zukòvskij sembra
abbia lasciato un motto, che si può rammentare a proposito di šukšin: quei che
si scrive con fatica, si legge con facilità. La lettura di šukšin romanziere
verbale e/o iconico è diretta e agevole. E' diretta perché sul piano
del'espressione la denotazione - quella
che si ricava dal codice lessicale in funzione _-è
nettamente prevalente sulla connotazione,la quale invece rinforza il proprio
senso in ordine al contesto in cui si pone. šukšin lo si legge senza ambiguità,
nettamente, come il fondo d'un fiume attraverso la sua acqua chiara.
l significati aggiunti non mancano, ma non sono
tracimanti. Emergono dalla totalità del discorso espressivo e si propongono
come termine ad quem del messaggio poetico. La metafora vi è bandita, la
metonimia accettata: quando serva a indicizzare il mondo ideale dell'autore.
Eppure questa facilità, questa immediatezza di
comunicazione è frutto d'una fatica appassionata, di un provare e riprovare
instancabile: il magistero di Romm, in quest'ordine, è stato rispettato fino
all'ultima energia.
La fatica nutre la saggezza. NihiI sine magno vita Iaborededit mortalibus, sentenziava Orazio. E
chi meglio e piú della gente dei campi conosce la pena e la verità di questa
legge? E una generosa saggezza, anzi - dice šukš in (C. Benedetti, intervista
cit.) - una saggezza «superiore ›› è quella che deve cavar fuori un autore
(cosí come fa un padre che deve farla valere in faccia
a quella dei coetanei del suo figliolo] per far opera che resta. E questo
appunto è, per šukšin, il destino e il compito dell'arte: epifania, appunto, di
bontà e di sapienza.
Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, luglio/agosto 1976
giovedì 30 marzo 2017
La letteratura della terra e Vasilij Šukšin - pt. 2
Neanche
la poesia ha smesso in questo secolo la lode della campagna e della fedeltà
alla terra. Pensiamo alla persistenza delle qualità contadine nella poesia di
uno Esenin - la toskà, nostalgia
malinconica del passato e del villaggio perduto; la religiosità; I'umanitarismo
e il lirismo della sua poesia procedono dalla matrice contadina - e prima ancora
di un Kljùev, che, tradizionalista per tensioni (anche religiose) e cultura ma
novatore per accenti (assorbí parecchio dell'ornato simbolista), spasimò
nell'antagonismo campagna-città cercando di comporlo in una religiosità
totalizzante che pretendeva coinvolgere anche Lenin e la rivoluzione: ottenendo
il ripudio "ufficiale" che si può immaginare.
Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, luglio/agosto 1976
Ma è certo difficilmente numerabile la schiera dei
minori che di georgicità fecero professione trovando però raramente la composizione
del loro temperamento culturale con le esigenze nuove di una mediazione politica
dell'arte. Pensiamo a Pëtr Vasìl'evic Onèšin, a Sergéj Klyökòv, ad Aleksandr
širjàevec, poeti schietti, ma troppo romanticamente innamorati della terra per
avvertire le urgenze dei tempi nuovi e, in qualche modo, adattarvisi.
Tra i prosatori - torniamo ad essi - che accettarono
la rivoluzione pur senza militarvi e che si proposero di coadiuvare con la propria
attività il proletariato a consolidare il suo potere, meritando cosi l'ambigua
e non sempre contestata qualifica di “compagni di strada" non si può
dimenticare Lìdija Nikolàevna Sejfùllina, che con i suoi racconti e alcuni dei
suoi romanzi [« Humus ››, « Virinèja ›› e « Sulla propria terra ») acclamò con
temperata (e femminilmente trepida) rettorica alla terra e alla sua gente
emancipata dalla rivoluzione.
E nell'ambito della grande fortuna che dopo i primi
anni trenta toccò al romanzo storico, val la pena rammentare autori come
Viašeslàv Jàkovlevic šiškòv e Ol'ga Dmitrievna Forš. Entrambi, pur nel novero di altre loro rivisitazioni del passato, tornarono
anch'essi al frequentato motivo della rivoluzione contadina e a Pugaëëv,
dichiaratamente assurto ad antesignano della volontà di liberazione delle
classi subalterne dal proprio secolare servaggio ›[l'Emeljàn Pugašëv di šiškòv fu pubblicato nel '44, il
Radiššev della Forš nel `39].
Ma intanto il romanzo sovietico di "fiction"
stava procedendo regolarmente sui binari parenetici di confermazione della
rivoluzione e dei suoi obiettivi, prima che venisse istituzionalizzato il “
realismo socialista" come canone estetico-politico, nel primo Congresso degli
scrittori del 1934. Indice dell'interesse con cui gli scrittori di estrazione
contadina [o attenti comunque a quella realtà] seguirono le reazioni del loro
ambiente alle novità della rivoluzione e ai problemi che la costruzione di quel
tipo di socialismo poneva, sono per esempio l'emblematico « Cemento ›› di «Fëdor
VasìI'evìc Gladkòv (bisogna cementare se stessi e la rivoluzione, occorre
scompaginare insieme i mattoni dello stato dei contadini e degli operai),
«Bruski ›› di Fëdorlvànovic Panfërov, il « Capàev » di Dmitrij Andréevic
Fúrmanov (lodatissimo romanzo per aver trasfigurato quel rappresentante della
classe contadina lavoratrice in eroe tipo della sua classe) e i racconti di
vita contadina di Aleiksàndr Sergéevic Nevèrov.
Non occorrerà poi spendere troppe parole per
rammentare lo spazio e il rilievo che occupano in « Il placido Don ›› e in ›«
Podnjataja celina ›› [t.ital.: « l dissodatori ››) di ›I\Mlichaìl Aleksàndrovic
šolochov al tema del trionfo della collettivizzazione della terra oltre e
contro le resistenze e la tragedia ch'essa comportò.
Maggior considerazione per l'uomo biologico che
sopravvive oltre le “quadratura” dell'uomo di classe spicca invece
esplicitamente nei vivaci e coloriti racconti di vita contadina - soprattutto
nella raccolta « Sulla terra - firmati da Vladìmir Matvéevic
Bachmètev, "scrittore proletario" che converge sulla campagna.
E intanto dalla campagna vengono direttamente a testimoniare aspirazioni, resistenze
e dubbi prima e dopo il Nep e la collettivizzazione i romanzi di Pëtrilvànovic Zamòjskij,
i racconti e il romanzo «« Il quinto amore ›› di Michail Jàikovlevic Karpov, le novelle di Jàkov Evdokimic
Koròbov (esemplare diorama della difficoltà che incontrarono i primi rapporti tra
la gente delle campagne e il proletariato operaio] e i racconti di Rodiòn Michàjlovic
Akùl'šin.
Anche i territori della poesia intanto eran percorsi
dalla consegna proclamata nel congresso degli scrittori del '42 con i versi «
non si canta soltanto, si scolpisce, si fucina, si costruisce ». A frotte i
poeti si adattarono, piú o meno di buon grado, a riordinare la propria «
domestica azienda poetica ››, con risultati esteticamente piú o meno esaltanti.
Non mancò chi riuscí a mantenersi entro il partijnost,
l'ordinazione di partito, senza venir meno alla propria vocazione di devozione
alla campagna e alla natura come - siamo ormai nel secondo dopoguerra -Nikolàj Leopòl'dòvic
Braun con « Le pianure della mia patria » e con “La terra in fiore” o come il piú raffinatamente metaforico Pàvel
'Nikolàevic šubin.
Nel quadro poi del drastico giro di vite con il quale
il comitato centrale del Pc intese, nell'agosto del'46, stroncare le tendenze
“non sane" il “cosmopolitismo" e “formalismo”, correlativi estetici
dell'imputazione di deviazione] che in letteratura disturbavano « l'adempimento
dei grandi compiti posti all'arte dalla nuova tappa dello sviluppo storico ››, riprese
forza la vena 'minore' - se rapportata al 'grosso' tema della ripresa
industriale della riedificazione dell'agricoltura e della ripresa della vita
dei kolchozy. Romanzi e racconti tornarono alla campagna, al suo nuovo volto
storico, con stacco piú diligente che ispirato e con risultati piú documentari
che artisticamente commendevoli, quando non addirittura schematici: basterà
fare i nomi di Semën Pëtrovic Babaèvskij, di Juri Grigòr'vic Làptev, di Galina Evgèn'evna
Niikolàeva.
Il disgelo e le sue smorzate liberalità, l`atmosfera
nuova quanto instabile che si stabili anche in letteratura dopo il rapporto
Kruscëv al XX congresso del Pc sono eventi noti e recenti per esigere campionature
piú esaustive.
Per quel che si sa, gli anni sessanta e settanta
vedono in letteratura un fenomeno di decentramento “tematico” analogo a quello,
appena intravisto però, che si nota in cinematografia con il decentramento
produttivo nelle repubbliche periferiche e con il tentativo di recupero delle
singolarità etniche e culturali delle diverse repubbliche sovietiche. Anche in
letteratura sembra avvertirsi dunque un fenomeno parallelo di riconoscimento
dello Hinterland: quello cosmico per
cui gli scrittori si dedicano alla scoperta o riscoperta del mare o dello spazio (basterà ricordare i padri
della fantascienza Adàmov, Beljàev, Efrèmov e Kazàncev) e quello geografico che
porta alla rivelazione dell'amor di terra
lontana, la Siberia (Anatòliij Pàvlovic Zlòbin, Leonid Ivànovic lvànov,per esempio), la regione dell'oltre
Baikal (Boris Aleksàindrovic Kostjukòvskij, ll'jàMichàilovic Lavròv) e quella
dell'Altaj'(Sergéj Ivànovic Zalšlginlç e il piú anziano e autorevole Afanàsij Lazàrevic
Koptèlov, accreditato dalla critica sovietica d'esser stato il primo, già a
metà degli anni trenta, con il romanzo « ll grande campo dei nomadi ››, ad
aver celebrato I'importanza della rivoluzione socialista nella vita delle
piccole comunità. .Sono naturalmente, queste, terre periferiche rispetto al «
meridiano fondamentale ›› che è Mosca; non lo sono per questi autori che vi son
nati e che le conoscono come conoscono il terreno su cui hanno edificato la propria
casa. Si confessa šukšin (c. -Benedetti, int. cit.): «Su questi temi ero
autonomo, audace, attivo. Una volta scelto il campo ho deciso di coltivarlo;
per fare altre cose, bisognerebbe viver tre volte per raccontar
tutto ».
E in questo comparto convenzionale e in questa
dimensione della letteratura russo-sovietica contemporanea sembra potersi
collocare, a buon diritto, Vasilij Makàrovic šukšin.
C`è un altro autore contemporaneo cui šukšin viene
talora apparentato ed è difficile dire con quanta attendibilità, almeno fino a quando,
di šukšin, non si conoscerà l'opera omnia. E' Michàil Michàjlovic Zòššenrko.
Morto sessantatreenne nel '58, Zòšöenko è il piú brioso campione di quell'umorismo
satirico che «è un tarlo inammissibile per una ferma struttura ufficiale di
letteratura che si proponga di esaltare “l'uomo nuovo socialista". La
demistificazione dell'eroe positivo, del ritratto a tutto tondo, dell'integro e
integrale interprete della rivoluzione, dell'industrializzazione e della
collettivizzazione, la rivelazione di una realtà double-face è una presunzione imperdonabile
per un uomo di lettere che debba dipendere dai burocrati. A poco a poco, l'autore
di -« I racconti di «Nazar Il'ic signor Sinebrjùchov ››, di « Cittadini stimati»,
di i« Gente nervosa ››,con i suoi aneddoti in diretta - skaz o divagazione -
con la sua fiera pretesa di non essere « né comunista né monarchico ma russo
››, con la sua assenza nello sforzo di fiancheggiamento che gli scrittori
compirono al tempo della grande guerra nazionale contro il nazismo, con la
ripresa imperterrita dell'autobiografismo in « Prima del sorgere del sole ››,
la cui pubblicazione fu avviata nel 1943 sulla rivista « Oktjabr' ››, con quel suo imperversare in
mezzo a quel mondo piccolo-borghese di sussieghi, piccinerie e ostinazioni che
la rivoluzione non aveva saputo rimuovere, diventò inevitabilmente (insieme
alla Achmàtova] il capro espiatorio della stretta di freni contro le “tendenze non sane” in letteratura
(cosmopolitismo, formalismo e, appunto egotismo), che comportò l'espulsione dei
due dall'Unione degli scrittori e una non breve mora alla facoltà di
pubblicare.
(continua)
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