Tutt’altra faccenda per l’ultimo film europeo della Garbo, La via senza gioia, che è firmato da
Pabst. La Vienna dell’inflazione e della fame, in quell’altro dopoguerra così
simile (tutte le sciagure s’assomigliano) al dopoguerra 1945. Unica differenza
le divise dei vincitori. Allora v’erano anche ufficiali in grigioverde che
invitavano le belle viennesi affamate sulle Fiat e invece di Chesterfield
regalavano Macedonia.
Si può pensare quello che si vuole di Pabst come regista.
Probabilmente, quanto a preparazione culturale, è uno di quegli intellettuali
che i francesi chiamano << primaires >>, cioè uno che non s’accorge
delle sfumature, uno che non sa che certi problemi sono antichi come la vita, e
soprattutto che l’arte non s’affronta gonfiando bicipiti e gote... Però è anche
uno che ha il cinema nel sangue, che ogni tanto è percorso dall’alito ineffabile della grazia. Per nostro conto sentiamo
di dovergli alcune delle sensazioni più piacevoli di spettatori induriti. Chi
non ricorda? Il can-can di Atlantide,
i mulini di Don Chisciotte, in primo
piano sullo sfondo di gonfie nuvole meridionali, e, ne I commedianti, girato dal povero umanitario Pabst sotto la ferula
nazista, la carrellata del banchetto, che fu subito celebre. Ma Greta e Pabst
ne La via senza gioia toccarono una
sorta di perfezione, ebbero un gran momento di quelli che la vita non ripete.
Fu un curioso connubio, non destinato a durare.
Insieme a Pabst e a Greta erano due favolosi attori, Werner Krauss, la
cui mefistofelica figura è strettamente legata al cinema espressionistico
tedesco, e la maggior << diva >> dell’epoca, Asta Nielsen. Ne La via senza gioia vi erano due azioni
parallele; una donna commetteva un delitto che avrebbe confessato solo alla fine
del racconto; una fanciulla pura, ma avvilita dalla miseria, veniva insidiata e
stava per perdersi ad opera di un losco figuro. Nel finale (evidentemente di
comodo) l’illibata fanciulla veniva salvata da un ufficiale degli eserciti di occupazione.
Per un’intuizione da grande artista Pabst era il primo a trasferire nel
cinematografo quel «fantastico sociale >› che Baudelaire aveva scoperto donando
alla poesia quella nuova provincia, che il cinema avrebbe in seguito esplorata
sino ai limiti estremi. Le incongruenze della civiltà industriale, i tristi
risultati delle speculazioni edilizie, i poveri esseri asserragliati nei
quartieri miseri come in un ghetto, la strana, dolente poesia delle case
misere, dei muri umidi, senza sole, erano per la prima volta conquistati da uno
sguardo intelligente e profondo. In questa direzione mai Pabst riuscirà in seguito
a fare di meglio.
Ne La via senza gioia Greta è
già l’attrice che tutti celebreranno più tardi nei film famosi d’America. Essa
ha appreso sin troppo bene la lezione impartitale da Stiller (ardente maestro
che brucerà la sua vita alla gloria dell'allieva); s’è dimenticata con la naturalezza
di una << comica >> vera le modeste origini, le avvilenti
esperienze, l’umile prova d’inizio del film comico Pietro il vagabondo. Ha già
quell’incesso regale, quello sguardo profondo, carico di significati patetici,
cui nessun maschio civilizzato resiste.
Il mondo cammina e le donne camminano con la storia; in testa alla
colonna capelluta e dalle tenere linee curve, vengono le figlie del Nord. La
Svezia del bellicoso Carlo XII s’è convertita al femminismo di Ibsen: il
benessere venuto con i frigoriferi, con le baleniere e con il pesce in barile,
porta la gente a considerare con rispetto la problematica dell’anima femminile.
Per reazione, gli intellettuali tipo Stiller non tardano a porgere un orecchio
compiaciuto ai << trolls >>, gli spiriti maligni evocati con tanta
passione dal piccolo speziale scandinavo.
Dopo il film di Pabst carico di realtà, di malinconia, dove si esprime
un giudizio su certi fenomeni sociali, Greta, chiamata a Hollywood, scivolerà
fatalmente, incoraggiata dal filisteismo dei produttori, sul piano inclinato
del divismo. Lo scotto verrà pagato molti anni più tardi, dopo il tentativo di
liberazione di Ninotchka, con Non tradirmi con me, restato fino ad oggi
senza resurrezione.
Attrice istintiva, e poco << intelligente >> (come invece
sono << intelligenti >> Bette Davis e Marlene Dietrich), Greta ha
compiuto cinquantun anni in settembre. È perciò, definitivamente, fuori giuoco,
a meno che accetti parti che non siano più di innamorata. Svelta negli affari,
ma timida, schiva, carica di <<complessi», Greta si mise in testa che il
capitombolo di Non tradirmi con me
era stato il frutto di una cabala di invidiosi, di una congiura ordita ai suoi
danni e non, come invece è vero, uno spiacevole infortunio professionale.
Insistette nella sua solitudine, forse avendo capito confusamente che il suo tempo
era passato. Figlia di Ibsen, non avrebbe potuto resistere alle imminenti
offensive di Sartre. Sopravvive ora, patetica, goffa e anche un pochino
ridicola, alla sua gloria. Resta nel cuore di innumerevoli suoi ammiratori un
ricordo, una << presenza >> che ha valore soprattutto perché fa
corpo con la loro giovinezza. Ma è un ricordo che perirà assieme a quelli che
amarono svisceratamente la << divina >> nel buio dei cinematografi
della vecchia Europa, più di venticinque anni fa.
1956
Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972