mercoledì 15 giugno 2016

FRONTE CALABRO- SICULO DEL CINEMA

CIRCOLI DEL CINEMA
F.I.C.C.
Il giorno 21ottobre 1954 si è svolto a Messina il primo Convegno dei Circoli del Cinema calabresi e siciliani.
Erano presenti i Circoli del Cinema di Reggio Calabria (promotore del Convegno) di Palermo, di Bagheria, di Siracusa, di Milazzo, di Messina, dl Catania, di Caltanissetta.
I lavori si sono svolti sulla base del seguente ordine del giorno:
1) Reperimento film: scambio di notizie sulle varie fonti (case di noleggio, privati, ecc.) e aggiornamento reciproco degli elenchi di film a disposizione di ciascun Circolo.
2) Programma: studio delle possibilità concrete di organizzare programmi comuni al fine di diminuire le spese di noleggio, trasporto. ecc.
3) Organizzazione di programmi, scambio di conferenze e dibattiti (in occasione di proiezioni e no) tenute o presiedute da dirigenti degli stessi Circoli calabresi e siciliani.
4) Illustrazione dei film: scambi di proposte sulla redazione di una scheda – tipo. Studio della possibilità di redigere uniche per le proiezioni organizzate in comune.
5) Creazioni di sezioni circolistiche aventi scopo di sviluppare energie culturali collaterali.
6) Pubblicazione di un periodico su cui dibattere i problemi dei Circoli calabresi e siciliani (e meridionali in genere).
7) Rapporti tra Circoli e SIAE.
8) Manifestazione riguardante “ II Mezzogiorno nel cinema "; suggerimenti e proposte per l’organizzazione di proiezioni e dibattiti con carattere di organicità su tale argomento.
9) Rapporti tra Circoli Meridionali e F.I.C.C.
10) Rapporti tra Circoli alla F.I.C.C.. e associazioni cinematografiche aderenti ad altri organismi nazionali.
11) Pubblicazione di saggi, studi, ecc.
Essi hanno portato i seguenti risultati:
Punto 1. - La Commissione all'uopo incaricata ha presentato un elenco provvisorio di film, redatto in base agli elenchi particolari presentati dai singoli Circoli. Il Circolo di Reggio Calabria, incaricato di raccogliere gli ulteriori dati, curerà di compilare l’elenco definitivo generale da inviare ai Circoli interessati.
Punto 2. - Ogni Circolo comunicherà a tutti gli altri proprio programma di massima per il prossimo anno sociale, al fine di stabilire il numero di eventuali passaggi di uno stesso film e di condurre così trattative in comune con il noleggio. Ciò renderà possibile una riduzione delle spese di trasporto, ecc.
Punto 3. - La Commissione all’uopo incaricata ha presentato un elenco provvisorio di conferenze e
dibattiti-scambio, redatto sulla base delle proposte  avanzate dal singoli Circoli. Il programma e il seguente: “ ll Mezzogiorno nel cinema italiano dal dopo-guerra “  (reI. F. Zannino); “Rapporti tra la letteratura siciliana calabrese e la visione cinematografica nel Mezzogiorno (rel. F. Piscitello del C. di Palermo); “ La musica nel
film (rel. N. Cacia del C. di Milazzo);  “ Visconti e Zavattini “ (rel. E.Fidora del C. di Palermo); “ Rapporti tra cinema italiano e storia del costume “ (rel. N. Salanitro del C.U.C. di Catania.
Punto 4. – Ogni circolo si atterrà ai criteri che riterrà più opportuni nella redazione delle proprie schede illustrative. Per le manifestazioni in comune verrà presa in considerazione opportunità di redigere un opuscolo illustrativo unico.
Punto 5. - Ogni Circolo curerà la collaborazione con gli altri organismi culturali operanti nel proprio ambito, istituendo all'uopo sezioni circolistlche composte di soci dello stesso Circolo del Cinema, i quali facciano anche parte delle altre organizzazioni. Ciò naturalmente tenuto conto delle particolari condizioni in cui opera ogni Circolo.
 Puma 6. – Stabilisce di dare vita ad un bollettino possibilmente mensile, comprendente una parte documentativa dell’attività dei Circoli ed una parte a carattere monografico dedicata prevalentemente ai problemi cinematografici riguardanti il Mezzogiorno. La Direzione e la Redazione avranno sede presso il Circolo dal Cinema di Reggio Calabria. Il Comitato di Redazione sarà composto dai responsabili dei singoli Circoli. La stampa e la dissuasione saranno curate dal Circolo del Cinema di Palermo.
Punto 7. – Si stabilisce che nella mozione conclusiva del Convegno sia dato mandato alla F.I.C.C. di trovare al più presto una soluzione definitiva dell’importante problema dei rapporti tra Circoli e la SIAE. Tale soluzione dovrebbe essere preceduta da un’inchiesta su scala nazionale, intesa ad accertare i singoli accordi esistenti localmente tra i Circoli e la SIAE. Nell’accordo comunque non dovrebbe più figurare la suddivisione in categorie perché dannosa per i Circoli economicamente più deboli.
Punta 8. – Ogni Circolo organizzerà una mostra comprendente i seguenti film, tutti reperibili in comune mercato: 1860 di Blasetti, Anni difficili di Zampa, La terra  trema di Visconti,Il cammino della speranza di Germi, Due soldi di speranza di Castellani, Un marito per Anna Zaccheo di De Santis, oltre ai seguenti documentari: Cristo non si è fermato ad Eboli di Gandin, Viaggio nel sud e Nel mezzogiorno qualcosa è cambiato di Lizzani. La manifestazione sarà completata dalla compilazione dl un opuscolo dedicata all’argomento e corredato da filmografia e bibliografia.
Punta 9. - Viene auspicata una sempre più stretta collaborazione tra I Circoli calabresi e siciliani e la F.I.C.C.
Punto 10. – Ogni farà il possibile per stabilire contatti di carattere organizzativo e culturale con le associazioni cinematografiche aderenti agli altri organismi circolistici nazionali.
Puto 11. - Di dare vita ad un Centro di Coordinamento calabro-siculo con sede presso il Circolo del Cinema di Reggio Calabria e con i seguenti compiti: rapporti tra i Circoli calabresi e siciliani e di questi con la F.I.C.C.
Punto 12. – Verrà curata una pubblicazione comprendente : 1) una Introduzione riguardante il movimento circolistico nel Mezzogiorno (origini, sviluppi, prospettive); 2) cenni illustrativi dell’attività svolta e da svolgere dei singoli Circoli Meridionali; 3) resoconto delle iniziative più importanti prese dai Circoli dal Cinema meridionali; 4) nota sul cinema del Mezzogiorno (film, pubblicazioni, mostre, ecc); 5) inchiesta sul pubblico cinematografico meridionale (città e provincia) 6) inchiesta sulla stampa cinematografica nel Mezzogiorno; 7) rapporti tra cinema e scuola nel Mezzogiorno; 8) rapporti tra cultura cinematografica e cultura generale nel Mezzogiorno.
A chiusura dei lavori si è deciso di tenere ogni anno un Convegno dei Circoli del Cinema calabresi e siciliani abbinandolo possibilmente ad una manifestazione di particolare rilievo.
 I Circoli presenti al Convegno hanno infine approvata la seguente mozione:
Premesso che l’approvvigionamento del film nel Mezzogiorno è particolarmente difficile, a causa, soprattutto, dello scarso numero di Agenzie di distribuzione e di fonti di reperimento in genere; che la preparazione del materiale critico illustrativo dei film presenta gravi difficoltà a causa dell’insufficienza economica dei Circoli del Cinema calabresi e siciliani (e meridionali in genere), causata soprattutto dall’alto costo dei film, rende estremamente gravoso il pagamento dei diritti erariali;
 raccomandano al nuovo Consiglio Direttivo della F.I.C.C.: 1) di allestire, per il corrente anno sociale, un congruo numero di programmi ai quali i Circoli Meridionali possano largamente attingere, sopperendo così alle deficienze di reperimento sul piano locale e di distribuire comunque, al più presto, un ampio catalogo di film reperibili anche su normale mercato; 2) di fornire ai Circoli un adeguato materiale documentario sul quale essi possano basarsi per la preparazione dal materiale critico-illustrativo dei film; 3) di promuovere una inchiesta sui rapporti intercorrenti tra i singoli Circoli e le Agenzie della SIAE che serva da piano nazionale alle condizioni più favorevoli;
raccomandano inoltre che il nuovo Consiglio Direttivo dedichi particolare attenzione ai Circoli del Cinema  Meridionali e applichi nei loro confronti tutti quei provvedimenti che ne possano facilitare il funzionamento;
si impegnano, da parte loro, ad una collaborazione sempre più stretta con gli organi direttivi della F.I.C.C., così come a promuovere, ciascuno nel proprio ambito di attività, intese di carattere organizzativo e culturale con le associazioni  cinematografiche aderenti ad altri organismi nazionali, al fine di contribuire al superamento dell’attuale stato li divisione e in armonia con quanto auspicato al VII Congresso di Venezia ".

Pubblicato su CINEMA n. 144 del 10 novembre 1954 


lunedì 13 giugno 2016

I PULEDRI della NOUVELLE VAGUE

di Pietro Bianchi
I FRANCESI sono maestri insuperabili nel creare nuovi modelli nella letteratura, nelle arti figurative e nel cinematografo. Da principio, la loro tecnica è semplice, lasciano che ogni scrittore o artista abbia liberamente le proprie “chances”; intervengono, come direbbero i medici, con le dosi massive della propaganda e del “battage” quando si accorgono che per ragioni che non sempre hanno a che fare con l'arte, ma piuttosto con la moda o con certe correnti para-psicologiche del gusto, certi puledri hanno maggiori probabilità degli altri dl affermarsi in modo duraturo.
Per ottenere lo scopo i francesi hanno a disposizione tre potenti risorse: l'“esprit”, Parigi e lo sciovinismo. Esaminiamo brevemente, uno per uno, questi tre elementi. l‘ ”esprit“, parola intraducibile che sta tra lo spirito nel senso italiano e l’intelligenza, fa sì che il prodotto intellettuale francese abbia quelle doti di buongusto, leggerezza e chiarezza che lo rendono facilmente comprensibile a tutti. Parigi è la Francia, sebbene noi non vogliamo affatto sottovalutare le cattedrali di Chartres o di Troyes o i paesaggi provenzali o lo bellezze naturali di Normandia. Vogliamo dire che il disegno accentratore di Luigi XIV, continuato da Napoleone e dalla repubblica che seguì al disastro di Sédan, ha fatto sì che tutto ciò che di importante nella sfera dell'intelligenza, esiste in Francia prima o poi va a finire a Parigi,da cui poi si irraggia facilmente nel mondo. Lo sciovinismo il può raffigurare nel luogo comune che suggerisce come un francese sia un tipo che ignora la geografia e le lingue straniere. Sicuri da secoli di essere il sale della terra (ricordate il vecchio slogan “gesta Dei per Francos”), i nostri vicini non hanno dubbi sul fatto che non si debbono inchinare al loro “diktat” intellettuale come le signore alle moda si piegano a quello di Dior o di Cardin. Quando, alcuni anni fa, hanno decretato il dominio della nuova triade Sagan-Buffet-Vadim, sul piano del gusto, non hanno avuti dubbi sul successo dell’impresa.
Piuttosto curiosamente, il “battage” (i francesi hanno anche un'altra espressione, forse più adatta al nostro caso: l’imbottimento dei crani) ha funzionato egregiamente per Francoise Sagan, che osano paragonare a Colette; è andato abbastanza bene per quell’artista mediocre che si chiama Bernard Buffet; ma ha fallito il proprio scopo con Roger Vadim, cineasta di “...et Dieu créa la femme” ed ex-marito di Brigitte Bardot. Perché? Per una ragione abbastanza semplice, questa. Bene o male, malgrado le riproduzioni e le alte tirature, romanzi e dipinti interessano a un pubblico ristretto. I direttori di giornali o rotocalchi sono ben lieti di andare nel senso della moda, perché si tratta di argomenti che interessano sempre meno i loro lettori di Nikita Krusciov negli States o di Baldini al Giro di Francia. Lo si è visto di recente nella strana acquiescenza mostrata dai nostri giornali verso il nuovo romanzo della Sagan. Il cinema interessa tutti: Il critico, il “columnist”», il corrispondente dall’estero, sanno benissimo che il lettore è perfettamente al corrente delle cose. Non si può gonfiare il mito di Roger Vadim quando tutti hanno il modo di constatare il salto in basso tra  ”...et Dieu créa la femme” e “I gioiellieri del chiaro di luna”.
Quando Vadim batté il naso per terra e  non fu più  marito di BB, si inventò la “  nouvelle vague “ Ogni società, ogni nazione civile, ha la “ nuova ondata “. Se non l’avesse, se cioè i giovani non attaccassero con violenza le posizioni degli anziani, degli “ arrivati” , cercando un posto al sole, il paese diventerebbe rapidamente un immenso cimitero. Quelli del brillante settimanale ” L’Express” inventarono lo slogan a scopo polemico: sentivano arrivare il gollismo, e, malamente mascherato
dall’allampanata figura del generale, il fascismo. Liberali e cattolici di sinistra, pensarono di galvanizzaze la nuova generazione con un’ espressione che avesse un sapore letterario, e che suggerisse una forza giovane e pura; opponevano al nascente fascismo, che cominciava a giganteggiare sui morti e le rovine della guerra d'Algeria, una generazione di gente pulita che avrebbe dovuto prendere il posto  degli anziani infrolliti nel benessere, privi di forze morali, dl fantasia e di spirito di sacrificio.
Svelti come sono, sebbene indifferenti alla politica, gli Chabrol, i Malle, i Truffaut si sono impadroniti della formula a loro esclusivo  consumo. Registrato, se non il fallimento,|'imborghesimento di Vadim, la stampa fu ben lieta di avere tre nomi invece dl uno solo. Al corno da caccia di settimanali piuttosto frivoli e privi dl autorità come  “Arts”, é seguito il ron-ron  regolare, il “basso profondo “, della grande stampa d’informazione. Nel frattempo, vecchio gollista com’ é, forse anemizzato come scrittore, André Malraux diventava ministro della cultura, o qualcosa dl simile. Sensibile a tutto ciò che é nuovo, conoscitore profondo del proprio paese. L’autore de “ Les conquérants “ non ebbe il minimo dubbio ed impose d’autorità il film dl Truffaut  “ I 400 colpi “ nel parco buoi ” che da anni faceva il buono e cattivo tempo nel Palazzo della Croisette. Diffidato negli  anni precedenti dal penetrar nel Palazzo per certe  espressioni piuttosto forti usate contro i sacerdoti della produzione ufficiale, Francois Truffaut ottenne il premio della ragia il maggio scorso; puntualmente, Claude Chabrol, che l’anno prima,.in una saletta di Rue d‘Antibes aveva mostrato “ Le beau Serge “davanti a pochi intimi, vinceva con “ Les cousins “ l’ “orso d'oro“ al Festival di Berlino. Tutti poi ricordiamo le polemiche suscitate a Venezia, l’anno scorso, da “ Gli amanti “ di Louis Malle.
In questa occasione non si vuol dar un giudizio di valore, si vuol solo chiarire un fenomeno nei suoi  dati sociologici e il costume. Alain Resnais, che é un tipo serio, é entrato dl straforo, fuori concorso, nell’agone di Cannes,ma è certo che il suo “ Hiroshima mio amore “ é un'opera di autentica rottura in cui ideologia ed espressione artistica fanno corpo. II fatto che egli si sia trovato per caso nel mezzo della corrente, non giustifica coloro che lo mettono nello stesso mazzo degli altri.
Anche le storielle che ci raccontano (i bassi costi, la camera-style, ecc.) non sono che cavalli di ritorno. Quante volte il vecchio Pabst, quando era ancora in pieno vigore creativo, invocò l’occasione di poter andarsene per il mondo con una macchina da presa e un operatone per cogliere “ a la sauvette “  l’infinita varietà del reale? Generazione per generazione, credete davvero che quella capeggiata in Italia da Fellini e Antonioni valga meno di quella che ha a capigruppo a Parigi i Resnais e i Franju? I nostri giovani registi, diciamolo in tutta semplicità, hanno un solo difetto: di essere nati in un paese dove le chiacchiere e le malignità delle notti di via Veneto hanno echi il giorno dopo in ogni recesso di provincia italiana. I nostri Bolognini, Questi, Rosi, Rossi (citiamo i primi nomi che ci vengono sotto la penna...) hanno il cinema nel sangue. Manca solo ad essi quella meravigliosa cassa di risonanza che si chiama Parigi.
Testo e foto (Francois Truffaut, Jean Valere, Eduard Molinaro, Daniel Valcrose) tratti da:
LA FIERA DEL CINEMA settembre 1959


mercoledì 8 giugno 2016

Emulsione negativa di qualità

Quando la pellicola Pancromatica era alla base del cinema



La fotografia ci ha dato la cinematografia ma l'una e l'altra debbono la loro affermazione ed il loro progresso essenzialmente alla qualità dell'emulsione negativa.


Praticanti lodevoli


Il compagno Sadoul bolla Joe May (all’anagrafe Joseph Mandel) come vecchio praticante ed il suo film Asfalto (Asphalt) del 1928 lo tratta con la sufficienza degna del suo compare Aristarco. Non meno dura nei suoi confronti fu Lotte H. Heisner nel suo Schermo demoniaco. Oggi, dopo il crollo delle ideologie che sostenevano quel tipo di critica, ugualmente le consorelle di segno contrario, e l’avvento per mezzo del web di un nuovo tipo di fruizione, Asfalto è un’opera da mettere a fianco con quelle più conosciute di F. W. Murnau e Fritz Lang. Asfalto è un film espressionista,l’angolazione delle luci e le prove attoriali degnano il film di Joe May del più ossequioso rispetto.



lunedì 6 giugno 2016

Vedi alla Voce Vintage


Di Vittorio Cramer (1908 – 2004) si è sempre conosciuta più la voce che il volto. Fu dapprima annunciatore alla radio, quindi voce del grande schermo. Al cinema si prestò sia come annunciatore radiofonico, quindi come voce narrante e qualche volta, raramente, attore o doppiatore. Il suo timbro vocale, con frequenze del suono che si possono definire, nel suo caso, accattivanti , dagli anni quaranta fino agli anni sessanta, è meglio conosciuto, fuori campo, nei “ prossimamente qui “, non solo per i film italiani ma anche per quelli importati. Al modo degli oggetti e dell’abbigliamento, oggi possiamo definire, con serietà, la voce di Vittorio Cramer vintage

domenica 5 giugno 2016

Vitaliano Brancati e il cinema

Per il cinema tutte le società, più o meno, sono dittature, che non consentono nemmeno - anzi meno che mai  - lo sfogo della fantasia. Così si spiega la mancanza di un cineasta classico e comico, come lo intendeva Brancati, ove si faccia I'eccezione di Chaplin. Si assiste, al più, ad una comicità di ripiego, convulsa o pacchiana, che rispetta sempre i tabù consacrati. In questa situazione, Brancati fece il massimo che si poteva fare, coadiuvato da uno Zampa particolarmente battagliero e risoluto: incise su alcune grosse
magagne della mentalità italiana, sfiorò i tabù e lasciò intendere quanto fossero dannosi, inventò alcuni tipi di sottomessi borghesi impantanati in avventure più alte di loro, mise in piedi alcune marionette azzeccate (di quelle che smontano da sè ogni obiezione, tanto è evidente la loro grottesca verità). E’ molto, è quello che nessun altro ha fatto, nel cinema italiano. Nel capitolo dell’ironia (e della satira, almeno potenziale), il suo nome, se non è l’unico, è quello di gran lunga piú grande di tutti.
Brancati sapeva che la dittatura è, nei riflessi dell’arte, una forma esasperata di grettezza mentale, di miopia, di difesa dei pregiudizi (antichi e nuovi, e inventati a bella posta). Sapeva che anche in regimi non dittatoriali, le stesse deficienze e gli stessi errori possono vivere e prosperare. Sapeva, insomma, che la sua sarebbe stata una battaglia da continuare sempre, contro le degenerazioni del conformismo: anche sul terreno impervio del cinema, il terreno piú esposto al conati dittatoriali e paradittatoriali. Se altrove si può sonnecchiare – una volta che la libertà si sia consolidata - e prendere maggior respiro da problemi più ampi, più profondamente e sostanzialmente umani, al cinema no. Al cinema questi sonni, quando si fanno, paralizzano, fanno precipitare ogni cosa nell’accademia, nell’esercizio a vuoto, nell’abbrutimento spettacolare. E se v'è una cosa da salvare, ad ogni colto, nel cinema italiano (e, naturalmente, non solo in quello italiano), è la possibilità dell'ironia. Il gusto, l’amore per l’ironia. Tanto da farsene un programma, da crearsene una costante che valga in tutti i casi, come riserva morale. Per questo, la tendenza di cui Brancati fu assertore è forse la più importante di tutte quelle che si possono coltivare. (S’intenda si distingua, com'è ovvio: importanti sono tutte le tendenze quando favoriscano il sorgere di opere significative, e non esiste una graduatoria dell'importanza in senso assoluto; quì si parla – anche astraendo dalle opere - d’importanza relativa e indiretta, di stati d’animo da diffondere, di contravveleni da predisporre contro le molte, possibili o effettive, infezioni).
Allora, opera soltanto negativa, correttiva, demolitrice quella di Brancati al cinema? Forse sì. Ma unicamente perché non ebbe la possibilità di svolgersi tutta quanta sino alle conseguenze estreme, di realizzarsi in senso davvero compiuto; non per mancanza di un proprio centro vitale che qualcosa volesse affermare, oltreché molto distruggere e su molti pericoli mettere in guardia. Con L’arte di arrangiarsi l’ultimo film scritto da Brancati che Zampa sta girando, si potrà forse avere una espressione piena e autonoma, libera dagli impacci della semplice negazione di qualcosa. Questo sarebbe stato magari – se Brancati fosse vissuto – il punto di partenza per l’abbandono del terreno artigianale e per l’ingresso dello scrittore nei quadri dell’arte cinematografica.
E' vero che, capovolgendo le se negazioni, i suoi “anti” (antifascismo, anticonfessionalismo, antibellicismo eccetera) e richiamandoci alla parallela esperienza letterale, potremmo anche schizzare un ritratto della personalità costruttrice di Brancati, ma non andremmo al di là di alcune ipotesi. Non abbiamo dati di fatto precisi per un giudizio: il personaggio del fascista controvoglia di Anni difficili e quello del professore onesto di Anni facili emergono appena dal sottofondo delle polemica e non si traducono in figure capaci di sostenere il peso di una ispirazione autentici. Sono abbozzi, notazioni, tentativi, come del resto lo sono i personaggi più fortemente ironizzati e caricaturati. Rimaneva ancora da giungere un equilibrio o, meglio, uscire dal piano del ragionamento e della tipizzazione esasperata per entrare in quello dell’umanità: sia per gli uni che per gli altri. Ma la via è stata indicata con chiarezza. Chiunque In può seguire, purché voglia, e non gli manchino il coraggio e l’impegno. FERNALDO DI GIAMMATTEO  (fine)
Cinema, quindicinale di divulgazione cinematografica Anno VII, 10 novembre 1954

domenica 29 maggio 2016

Vitaliano Brancati e il cinema

                      SERVIRA' A TUTTI LA STRADA DI BRANCATI

Se si facesse, un giorno, un discorso sui soggettisti del cinema italiano, si scoprirebbero cose insospettate. Siamo avvezzi a parlare di Zavattini, e di Zavattini soltanto, quando l’attenzione si sposta dal regista, centro della creazione cinematografica, a chi gli ha fornito la materia su cui la creazione si concreta. Scopriremmo, per esempio, alcune linee fondamentali di sviluppo che si possono spiegare assai meglio (e giustificare muovendo dalla personalità degli inventori del mondo fantastico entro il quale i film sono andati a inserirsi. Ma la nostra superficialità e la nostra fretta - e magari certa intristita adorazione del mito piú semplice, esteticamente più semplice, quello del regista - ci hanno finora impedito di prestare ascolto alle voci, oltreché di uno Zavattini, di un Amidei,di un Felllini (il Fellini del primo tempo), di un Brancati. Ci  sarebbe tutta una storia da scrivere,  a pensarci bene: una controstoria addirittura, o una storia parallela. Per poi scoprire il punto di sutura, il momento della fusione e della nascita delle poche opere compiute (ed anche di quelle incompiute, per difetto di intesa, o per mancanza di coraggio).
Mancanza di coraggio: fermiamoci all'ultimo punto. Siamo oggi dinnanzi alla scomparsa d'uno degli esempi
rarissimi di coraggio intransigente che abbia potuto vantare il cinema italiano.
Diciamo la scomparsa di Vitaliano Brancati. E’ probabile che egli, al cinema non dedicasse la stessa  puntigliosa volontà di ricerca morale che dedicava alla letteratura. Che il cinema fosse un po’ il suo secondo mestiere, il banco di prova delle invenzioni più caduche, degli esperimenti, delle concessioni chesi potevano fare al gusto di un pubblico non  selezionato. Ma Brancati, intanto, non ha mai disprezzato il suo pubblico, come gli altri fanno: non gli ha mai nascosto le sue intenzioni (di letterato alle prese con una macchina che non era, e non doveva essere, la sua consueta),  né gli ha mai negato la facoltà di comprendere, di giudicare e di apprezzare il valore dell’intelligenza. Ecco una prova di quel coraggio – di quell'onesto, umile coraggio da cui si trae la forza per dire quanto è giudicato giusto, con ogni forma di espressione - che si vorrebbe vedere più diffuso. Coraggio che è impegno, amore al proprio mestiere (qualunque esso sia, pur- ché liberamente scelto), volontà di non rinunciare, cocciuto desiderio di piegare le circostanze alla propria misura morale ed espressiva.
In quella controstoria che auspichiamo, Brancati occuperebbe il capitolo dell'ironia: della satira, se si vuole. Un capitolo di enorme importanza, che vorremmo arricchire a mano a mano che il tempo passa,un filone da tenere vivo come una possibile ancora di salvezza quando il resto fosse divenuto troppo difficile e contrastato. Dopo la lezione di Brancati, la cosa potrà essere piú agevole: avremo almeno un punto fermo a cui riferirci La reazione artistica alla dittatura (o al paternalismo: e per l’arte non fa molte differenze) si traduce sempre in termini dl analisi del costume: il rovescio di una medaglia ufficiale, o confessionale, la piccola vita degli uomini, quando divise e devozioni vengono messe da parte. Entro questi contorni brevi si snoda la poetica di questi artisti. Non c’è verso di andar oltre, quanto a spazio e a respiro, ma ciò non toglie (anzi) che il risultato possa essere alto, e non passeggero. Anche Brancati si muoveva su questo terreno; anche il cinema di Brancati, i suoi personaggi (consegnati, negli unici due esempi efficienti, a Zampa), le sue pitture della vita di provincia nascono di qui,  qui muoiono. I risultati alti, non passeggeri, lo scrittore li andava conquistando in letteratura, e  di ciò non gli faremo colpa. Ognuno sceglie la sua sfera di azione ideale – l’abbiamo detto sopra – ma l’importante è che nel resto non indulga al compromesso, non si arrenda alle situazioni esterne: la forza espressiva, e la vitalità delle opere, sono altro discorso.
Brancati portò, in questa analisi del costume, idee chiare. Le stesse che gli fornivano un sostegno razionale al lavoro letterario. – “ La dittatura - leggiamo in un saggio postumo che e stato pubblicato da Il Mondo riporta indietro le cose, più indietro del decadentismo, e più indietro del romanticismo. Dovendo lottare contro un atto concreto, solitario e monotono com’è la tirannide, la mente degli scrittori che aspirano alla libertà diventa estremamente semplice. Il loro gusto si può veramente chiamare classico, senza paura di usare una parola approssimativa … Il classicismo al quale noi ci riferiamo è quello dei vari scrittori, rimasti liberi pur dentro la stretta ferrea della dittatura, liberi non nell’attività politica, ma nell’articolazione della loro fantasia. Questi scrittori sono classici comici. Classici pèrché sono semplici, comici perché il continuo spettacolo di una società di marionette ha svegliato in loro il sorriso e il riso ”. FERNALDO DI GIAMMATTEO  (continua ...)

Cinema, quindicinale di divulgazione cinematografica Anno VII, 10 novembre 1954