domenica 5 giugno 2016

Vitaliano Brancati e il cinema

Per il cinema tutte le società, più o meno, sono dittature, che non consentono nemmeno - anzi meno che mai  - lo sfogo della fantasia. Così si spiega la mancanza di un cineasta classico e comico, come lo intendeva Brancati, ove si faccia I'eccezione di Chaplin. Si assiste, al più, ad una comicità di ripiego, convulsa o pacchiana, che rispetta sempre i tabù consacrati. In questa situazione, Brancati fece il massimo che si poteva fare, coadiuvato da uno Zampa particolarmente battagliero e risoluto: incise su alcune grosse
magagne della mentalità italiana, sfiorò i tabù e lasciò intendere quanto fossero dannosi, inventò alcuni tipi di sottomessi borghesi impantanati in avventure più alte di loro, mise in piedi alcune marionette azzeccate (di quelle che smontano da sè ogni obiezione, tanto è evidente la loro grottesca verità). E’ molto, è quello che nessun altro ha fatto, nel cinema italiano. Nel capitolo dell’ironia (e della satira, almeno potenziale), il suo nome, se non è l’unico, è quello di gran lunga piú grande di tutti.
Brancati sapeva che la dittatura è, nei riflessi dell’arte, una forma esasperata di grettezza mentale, di miopia, di difesa dei pregiudizi (antichi e nuovi, e inventati a bella posta). Sapeva che anche in regimi non dittatoriali, le stesse deficienze e gli stessi errori possono vivere e prosperare. Sapeva, insomma, che la sua sarebbe stata una battaglia da continuare sempre, contro le degenerazioni del conformismo: anche sul terreno impervio del cinema, il terreno piú esposto al conati dittatoriali e paradittatoriali. Se altrove si può sonnecchiare – una volta che la libertà si sia consolidata - e prendere maggior respiro da problemi più ampi, più profondamente e sostanzialmente umani, al cinema no. Al cinema questi sonni, quando si fanno, paralizzano, fanno precipitare ogni cosa nell’accademia, nell’esercizio a vuoto, nell’abbrutimento spettacolare. E se v'è una cosa da salvare, ad ogni colto, nel cinema italiano (e, naturalmente, non solo in quello italiano), è la possibilità dell'ironia. Il gusto, l’amore per l’ironia. Tanto da farsene un programma, da crearsene una costante che valga in tutti i casi, come riserva morale. Per questo, la tendenza di cui Brancati fu assertore è forse la più importante di tutte quelle che si possono coltivare. (S’intenda si distingua, com'è ovvio: importanti sono tutte le tendenze quando favoriscano il sorgere di opere significative, e non esiste una graduatoria dell'importanza in senso assoluto; quì si parla – anche astraendo dalle opere - d’importanza relativa e indiretta, di stati d’animo da diffondere, di contravveleni da predisporre contro le molte, possibili o effettive, infezioni).
Allora, opera soltanto negativa, correttiva, demolitrice quella di Brancati al cinema? Forse sì. Ma unicamente perché non ebbe la possibilità di svolgersi tutta quanta sino alle conseguenze estreme, di realizzarsi in senso davvero compiuto; non per mancanza di un proprio centro vitale che qualcosa volesse affermare, oltreché molto distruggere e su molti pericoli mettere in guardia. Con L’arte di arrangiarsi l’ultimo film scritto da Brancati che Zampa sta girando, si potrà forse avere una espressione piena e autonoma, libera dagli impacci della semplice negazione di qualcosa. Questo sarebbe stato magari – se Brancati fosse vissuto – il punto di partenza per l’abbandono del terreno artigianale e per l’ingresso dello scrittore nei quadri dell’arte cinematografica.
E' vero che, capovolgendo le se negazioni, i suoi “anti” (antifascismo, anticonfessionalismo, antibellicismo eccetera) e richiamandoci alla parallela esperienza letterale, potremmo anche schizzare un ritratto della personalità costruttrice di Brancati, ma non andremmo al di là di alcune ipotesi. Non abbiamo dati di fatto precisi per un giudizio: il personaggio del fascista controvoglia di Anni difficili e quello del professore onesto di Anni facili emergono appena dal sottofondo delle polemica e non si traducono in figure capaci di sostenere il peso di una ispirazione autentici. Sono abbozzi, notazioni, tentativi, come del resto lo sono i personaggi più fortemente ironizzati e caricaturati. Rimaneva ancora da giungere un equilibrio o, meglio, uscire dal piano del ragionamento e della tipizzazione esasperata per entrare in quello dell’umanità: sia per gli uni che per gli altri. Ma la via è stata indicata con chiarezza. Chiunque In può seguire, purché voglia, e non gli manchino il coraggio e l’impegno. FERNALDO DI GIAMMATTEO  (fine)
Cinema, quindicinale di divulgazione cinematografica Anno VII, 10 novembre 1954

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