lunedì 13 giugno 2016

I PULEDRI della NOUVELLE VAGUE

di Pietro Bianchi
I FRANCESI sono maestri insuperabili nel creare nuovi modelli nella letteratura, nelle arti figurative e nel cinematografo. Da principio, la loro tecnica è semplice, lasciano che ogni scrittore o artista abbia liberamente le proprie “chances”; intervengono, come direbbero i medici, con le dosi massive della propaganda e del “battage” quando si accorgono che per ragioni che non sempre hanno a che fare con l'arte, ma piuttosto con la moda o con certe correnti para-psicologiche del gusto, certi puledri hanno maggiori probabilità degli altri dl affermarsi in modo duraturo.
Per ottenere lo scopo i francesi hanno a disposizione tre potenti risorse: l'“esprit”, Parigi e lo sciovinismo. Esaminiamo brevemente, uno per uno, questi tre elementi. l‘ ”esprit“, parola intraducibile che sta tra lo spirito nel senso italiano e l’intelligenza, fa sì che il prodotto intellettuale francese abbia quelle doti di buongusto, leggerezza e chiarezza che lo rendono facilmente comprensibile a tutti. Parigi è la Francia, sebbene noi non vogliamo affatto sottovalutare le cattedrali di Chartres o di Troyes o i paesaggi provenzali o lo bellezze naturali di Normandia. Vogliamo dire che il disegno accentratore di Luigi XIV, continuato da Napoleone e dalla repubblica che seguì al disastro di Sédan, ha fatto sì che tutto ciò che di importante nella sfera dell'intelligenza, esiste in Francia prima o poi va a finire a Parigi,da cui poi si irraggia facilmente nel mondo. Lo sciovinismo il può raffigurare nel luogo comune che suggerisce come un francese sia un tipo che ignora la geografia e le lingue straniere. Sicuri da secoli di essere il sale della terra (ricordate il vecchio slogan “gesta Dei per Francos”), i nostri vicini non hanno dubbi sul fatto che non si debbono inchinare al loro “diktat” intellettuale come le signore alle moda si piegano a quello di Dior o di Cardin. Quando, alcuni anni fa, hanno decretato il dominio della nuova triade Sagan-Buffet-Vadim, sul piano del gusto, non hanno avuti dubbi sul successo dell’impresa.
Piuttosto curiosamente, il “battage” (i francesi hanno anche un'altra espressione, forse più adatta al nostro caso: l’imbottimento dei crani) ha funzionato egregiamente per Francoise Sagan, che osano paragonare a Colette; è andato abbastanza bene per quell’artista mediocre che si chiama Bernard Buffet; ma ha fallito il proprio scopo con Roger Vadim, cineasta di “...et Dieu créa la femme” ed ex-marito di Brigitte Bardot. Perché? Per una ragione abbastanza semplice, questa. Bene o male, malgrado le riproduzioni e le alte tirature, romanzi e dipinti interessano a un pubblico ristretto. I direttori di giornali o rotocalchi sono ben lieti di andare nel senso della moda, perché si tratta di argomenti che interessano sempre meno i loro lettori di Nikita Krusciov negli States o di Baldini al Giro di Francia. Lo si è visto di recente nella strana acquiescenza mostrata dai nostri giornali verso il nuovo romanzo della Sagan. Il cinema interessa tutti: Il critico, il “columnist”», il corrispondente dall’estero, sanno benissimo che il lettore è perfettamente al corrente delle cose. Non si può gonfiare il mito di Roger Vadim quando tutti hanno il modo di constatare il salto in basso tra  ”...et Dieu créa la femme” e “I gioiellieri del chiaro di luna”.
Quando Vadim batté il naso per terra e  non fu più  marito di BB, si inventò la “  nouvelle vague “ Ogni società, ogni nazione civile, ha la “ nuova ondata “. Se non l’avesse, se cioè i giovani non attaccassero con violenza le posizioni degli anziani, degli “ arrivati” , cercando un posto al sole, il paese diventerebbe rapidamente un immenso cimitero. Quelli del brillante settimanale ” L’Express” inventarono lo slogan a scopo polemico: sentivano arrivare il gollismo, e, malamente mascherato
dall’allampanata figura del generale, il fascismo. Liberali e cattolici di sinistra, pensarono di galvanizzaze la nuova generazione con un’ espressione che avesse un sapore letterario, e che suggerisse una forza giovane e pura; opponevano al nascente fascismo, che cominciava a giganteggiare sui morti e le rovine della guerra d'Algeria, una generazione di gente pulita che avrebbe dovuto prendere il posto  degli anziani infrolliti nel benessere, privi di forze morali, dl fantasia e di spirito di sacrificio.
Svelti come sono, sebbene indifferenti alla politica, gli Chabrol, i Malle, i Truffaut si sono impadroniti della formula a loro esclusivo  consumo. Registrato, se non il fallimento,|'imborghesimento di Vadim, la stampa fu ben lieta di avere tre nomi invece dl uno solo. Al corno da caccia di settimanali piuttosto frivoli e privi dl autorità come  “Arts”, é seguito il ron-ron  regolare, il “basso profondo “, della grande stampa d’informazione. Nel frattempo, vecchio gollista com’ é, forse anemizzato come scrittore, André Malraux diventava ministro della cultura, o qualcosa dl simile. Sensibile a tutto ciò che é nuovo, conoscitore profondo del proprio paese. L’autore de “ Les conquérants “ non ebbe il minimo dubbio ed impose d’autorità il film dl Truffaut  “ I 400 colpi “ nel parco buoi ” che da anni faceva il buono e cattivo tempo nel Palazzo della Croisette. Diffidato negli  anni precedenti dal penetrar nel Palazzo per certe  espressioni piuttosto forti usate contro i sacerdoti della produzione ufficiale, Francois Truffaut ottenne il premio della ragia il maggio scorso; puntualmente, Claude Chabrol, che l’anno prima,.in una saletta di Rue d‘Antibes aveva mostrato “ Le beau Serge “davanti a pochi intimi, vinceva con “ Les cousins “ l’ “orso d'oro“ al Festival di Berlino. Tutti poi ricordiamo le polemiche suscitate a Venezia, l’anno scorso, da “ Gli amanti “ di Louis Malle.
In questa occasione non si vuol dar un giudizio di valore, si vuol solo chiarire un fenomeno nei suoi  dati sociologici e il costume. Alain Resnais, che é un tipo serio, é entrato dl straforo, fuori concorso, nell’agone di Cannes,ma è certo che il suo “ Hiroshima mio amore “ é un'opera di autentica rottura in cui ideologia ed espressione artistica fanno corpo. II fatto che egli si sia trovato per caso nel mezzo della corrente, non giustifica coloro che lo mettono nello stesso mazzo degli altri.
Anche le storielle che ci raccontano (i bassi costi, la camera-style, ecc.) non sono che cavalli di ritorno. Quante volte il vecchio Pabst, quando era ancora in pieno vigore creativo, invocò l’occasione di poter andarsene per il mondo con una macchina da presa e un operatone per cogliere “ a la sauvette “  l’infinita varietà del reale? Generazione per generazione, credete davvero che quella capeggiata in Italia da Fellini e Antonioni valga meno di quella che ha a capigruppo a Parigi i Resnais e i Franju? I nostri giovani registi, diciamolo in tutta semplicità, hanno un solo difetto: di essere nati in un paese dove le chiacchiere e le malignità delle notti di via Veneto hanno echi il giorno dopo in ogni recesso di provincia italiana. I nostri Bolognini, Questi, Rosi, Rossi (citiamo i primi nomi che ci vengono sotto la penna...) hanno il cinema nel sangue. Manca solo ad essi quella meravigliosa cassa di risonanza che si chiama Parigi.
Testo e foto (Francois Truffaut, Jean Valere, Eduard Molinaro, Daniel Valcrose) tratti da:
LA FIERA DEL CINEMA settembre 1959


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