di Pietro Bianchi
I FRANCESI sono maestri insuperabili nel creare nuovi modelli nella
letteratura, nelle arti figurative e nel cinematografo. Da principio, la loro
tecnica è semplice, lasciano che ogni scrittore o artista abbia liberamente le
proprie “chances”; intervengono, come direbbero i medici, con le dosi massive
della propaganda e del “battage” quando si accorgono che per ragioni che non
sempre hanno a che fare con l'arte, ma piuttosto con la moda o con certe
correnti para-psicologiche del gusto, certi puledri hanno maggiori probabilità
degli altri dl affermarsi in modo duraturo.
Per ottenere lo scopo i francesi hanno a disposizione tre potenti
risorse: l'“esprit”, Parigi e lo sciovinismo. Esaminiamo brevemente, uno per
uno, questi tre elementi. l‘ ”esprit“, parola intraducibile che sta tra lo spirito
nel senso italiano e l’intelligenza, fa sì che il prodotto intellettuale
francese abbia quelle doti di buongusto, leggerezza e chiarezza che lo rendono
facilmente comprensibile a tutti. Parigi è la Francia, sebbene noi non vogliamo
affatto sottovalutare le cattedrali di Chartres o di Troyes o i paesaggi
provenzali o lo bellezze naturali di Normandia. Vogliamo dire che il disegno
accentratore di Luigi XIV, continuato da Napoleone e dalla repubblica che seguì
al disastro di Sédan, ha fatto sì che tutto ciò che di importante nella sfera
dell'intelligenza, esiste in Francia prima o poi va a finire a Parigi,da cui poi si irraggia
facilmente nel mondo. Lo sciovinismo il può raffigurare nel luogo comune che
suggerisce come un francese sia un tipo che ignora la geografia e le lingue
straniere. Sicuri da secoli di essere il sale della terra (ricordate il vecchio
slogan “gesta Dei per Francos”), i nostri vicini non hanno dubbi sul fatto che
non si debbono inchinare al loro “diktat” intellettuale come le signore alle moda
si piegano a quello di Dior o di Cardin. Quando, alcuni anni fa, hanno decretato
il dominio della nuova triade Sagan-Buffet-Vadim, sul piano del gusto, non
hanno avuti dubbi sul successo dell’impresa.
Piuttosto curiosamente, il “battage” (i francesi hanno anche un'altra
espressione, forse più adatta al nostro caso: l’imbottimento dei crani) ha
funzionato egregiamente per Francoise Sagan, che osano paragonare a Colette; è
andato abbastanza bene per quell’artista mediocre che si chiama Bernard Buffet;
ma ha fallito il proprio scopo con Roger Vadim, cineasta di “...et Dieu créa la femme” ed ex-marito di
Brigitte Bardot. Perché? Per una ragione abbastanza semplice, questa. Bene o
male, malgrado le riproduzioni e le alte tirature, romanzi e dipinti interessano
a un pubblico ristretto. I direttori di giornali o rotocalchi sono ben lieti di
andare nel senso della moda, perché si tratta di argomenti che interessano sempre
meno i loro lettori di Nikita Krusciov negli States o di Baldini al Giro di
Francia. Lo si è visto di recente nella strana acquiescenza mostrata dai nostri
giornali verso il nuovo romanzo della Sagan. Il cinema interessa tutti: Il critico,
il “columnist”», il corrispondente dall’estero, sanno benissimo che il lettore
è perfettamente al corrente delle cose. Non si può gonfiare il mito di Roger
Vadim quando tutti hanno il modo di constatare il salto in basso tra ”...et
Dieu créa la femme” e “I gioiellieri del chiaro di luna”.
Quando Vadim batté il naso per terra e
non fu più marito di BB, si
inventò la “ nouvelle vague “ Ogni società, ogni nazione civile, ha la “ nuova ondata “. Se non l’avesse,
se cioè i giovani non attaccassero con violenza le posizioni degli anziani,
degli “ arrivati” , cercando un posto al sole, il paese diventerebbe
rapidamente un immenso cimitero. Quelli del brillante settimanale ” L’Express”
inventarono lo slogan a scopo polemico: sentivano arrivare il gollismo, e,
malamente mascherato
dall’allampanata figura del generale, il fascismo. Liberali e cattolici
di sinistra, pensarono di galvanizzaze la nuova generazione con un’ espressione
che avesse un sapore letterario, e che suggerisse una forza giovane e pura;
opponevano al nascente fascismo, che cominciava a giganteggiare sui morti e le
rovine della guerra d'Algeria, una generazione di gente pulita che avrebbe
dovuto prendere il posto degli anziani
infrolliti nel benessere, privi di forze morali, dl fantasia e di spirito di
sacrificio.
Svelti come sono, sebbene indifferenti alla politica, gli Chabrol, i
Malle, i Truffaut si sono impadroniti della formula a loro esclusivo consumo. Registrato, se non il
fallimento,|'imborghesimento di Vadim, la stampa fu ben lieta di avere tre nomi
invece dl uno solo. Al corno da caccia di settimanali piuttosto frivoli e privi
dl autorità come “Arts”, é seguito il
ron-ron regolare, il “basso profondo “,
della grande stampa d’informazione. Nel frattempo, vecchio gollista com’ é,
forse anemizzato come scrittore, André Malraux diventava ministro della
cultura, o qualcosa dl simile. Sensibile a tutto ciò che é nuovo, conoscitore
profondo del proprio paese. L’autore de “ Les
conquérants “ non ebbe il minimo dubbio ed impose d’autorità il film dl
Truffaut “ I 400 colpi “ nel parco buoi ” che da anni faceva il buono e cattivo
tempo nel Palazzo della Croisette. Diffidato negli anni precedenti dal penetrar nel Palazzo per
certe espressioni piuttosto forti usate
contro i sacerdoti della produzione ufficiale, Francois Truffaut ottenne il
premio della ragia il maggio scorso; puntualmente, Claude Chabrol, che l’anno
prima,.in una saletta di Rue d‘Antibes aveva mostrato “ Le beau Serge “davanti a pochi intimi, vinceva con “ Les cousins “ l’ “orso d'oro“ al
Festival di Berlino. Tutti poi ricordiamo le polemiche suscitate a Venezia,
l’anno scorso, da “ Gli amanti “ di
Louis Malle.
In questa occasione non si vuol dar un giudizio di valore,
si vuol solo chiarire un fenomeno nei suoi
dati sociologici e il costume. Alain Resnais, che é un tipo serio, é
entrato dl straforo, fuori concorso, nell’agone di Cannes,ma è certo che il suo “ Hiroshima mio amore “ é un'opera di autentica rottura in cui
ideologia ed espressione artistica fanno corpo. II fatto che egli si sia
trovato per caso nel mezzo della corrente, non giustifica coloro che lo mettono
nello stesso mazzo degli altri.
Anche le storielle che
ci raccontano (i bassi costi, la camera-style, ecc.) non sono che cavalli di
ritorno. Quante volte il vecchio Pabst, quando era ancora in pieno vigore
creativo, invocò l’occasione di poter andarsene per il mondo con una macchina
da presa e un operatone per cogliere “ a la sauvette “ l’infinita varietà del reale? Generazione per
generazione, credete davvero che quella capeggiata in Italia da Fellini e
Antonioni valga meno di quella che ha a capigruppo a Parigi i Resnais e i
Franju? I nostri giovani registi, diciamolo in tutta semplicità, hanno un solo difetto:
di essere nati in un paese dove le chiacchiere e le malignità delle notti di
via Veneto hanno echi il giorno dopo in ogni recesso di provincia italiana. I nostri
Bolognini, Questi, Rosi, Rossi (citiamo i primi nomi che ci vengono sotto la
penna...) hanno il cinema nel sangue. Manca solo ad essi quella meravigliosa
cassa di risonanza che si chiama Parigi.
Testo e foto (Francois Truffaut, Jean Valere, Eduard Molinaro, Daniel Valcrose) tratti da:
LA
FIERA DEL CINEMA
settembre 1959
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