Una belladonna, un mazzo di gigli, una lucida canna da revolver
Col titolo
«Immagini logore» E. Ferrieri ha pubblicato
in Comoedia un
articolo, che tende
a raccogliere i «motivi» usati nel modo
più generico nella cinematografia d'uso
'corrente, e che continuano ad apparir e,
con puntuali ritorni, per forza d 'inerzia,
in quanto rappresentano quadri o consuetudini
di vita, sembra,
particolarmente attraenti
per la massa degli spettatori :
belle donne, tabarins, sale
da ballo, automobili, telefoni, un complesso ,di
«comodità moderne» a buon
mercato, che ogni film può
annunciare sui manifesti come un cartello di
locazione.
Riportiamo alcuni
punti di questo
articolo:
«Anche il
cinematografo ha i suoi chiari di luna e
le sue donne
troppo belle da mandare alla ghigliottina, come proponeva in
altri tempi Marinetti a romanzieri e
pittori?
Per le belle donne
ha già parlato, da eccellente difensore, Enrico
Roma in un articolo comparso nel fascicolo di luglio di Comoedia.
Il pensiero
del Roma mi pare essere questo: certi gruppi giovanili, invasati,
e non a torto, da un irrequieto
antidivismo vorrebbero proscrivere
dallo schermo anche le donne belle, che così
sovente hanno turbato con prepotenza protagonistica l'armonia
di un film. Citano, questi
giovani, l'esempio di Russia e
minacciano di spopolare le sale cinematografiche
sostituendo a tanti begli occhioni, a
tanti sfarzosi abiti da ballo (usati magari in
treno come in Shangai-Express, dico
io) mostriciattoli espressivi di non si sa quali stati
d'animo poco allettanti per la
massa del pubblico. Dice giustamente il Roma: Non
facciamo scherzi per carità!
La bellezza è pure
un formidabile elemento di espressione e di eccezione; le
attrici non sono certo attrici in quanto sono belle,
ma, se hanno questa grazia celeste,
restano pure attrici
e sono belle due volte. Per di
più, come inventare un
paese dove possa
comparire sullo schermo una belladonna più
legittimamente che nel
nostro, proprio l'Italia,
·che ha tutto quel
che ci vuole di tradizione,
di panorami, di gusto per darle risalto?
Questo mi pare il pensiero
del Roma. lo credo tuttavia che si
debba chiarire un piccolo equivoco.
Non appartengo purtroppo più
al cerchio ... dei giovanissimi,
ma li ho spesso
molto vicini e credo di conoscere
i propositi di alcuni di loro,
e del resto, giovani
o no, siamo un po' tutti
del parere che, e il cinema vuoI considerarsi
un'arte e forse anche
se vuoI conservare attrattive per
la massa e vivere come
industria, non deve già ammazzare le sue
Veneri e magari neppure i suoi
Adoni, ma deve pur liberarsi da quel bagaglio
di immagini logore, di situazioni generiche e
perciò inespressive, di gesti, di movimenti, di
panorami-tipo, che venendo
ormai a noia anche al più semplice degli
spettatori, minacciano
di perdere ogni forza di richiamo.
Le ·donne
sono cosa
troppo seria, su e giù dallo schermo, perché
si voglia privarsene per un programma di intellettuali.
Ma il loro uso, in
fin dei conti deve
essere opportuno. Ha ragione il
Roma di
ricordare che Greta, Brigitte,
Marlene, ecc. ecc. sono
invenzioni di poeti.
Direi piuttosto che lo sono in tanto,
in quanto in certe
opere hanno preso una realtà
poetica che ci ha preso
e turbato; ricordate
Greta in Anna
Christie, ricordate
la Dietrich di
Angelo Azzurro, ricordate Brigitte di Atlantide.
Volete un esempio
proprio dei russi? Ricordate la
Voitzik dell'Isola della
morte. Volete dei film di ieri?
Ecco la signorina Sternburg o
Manuela di Ragazze in uniforme, (la
Wieck e la Thiele) o Karina Hardt
di Otto ragazze in barca.
Nessun amante dell'arte
pura, per puro che sia, vi consiglierà
di cancellare dallo schermo queste meraviglie. Pensate invece
a Brigitte Helm di Mandragora, o a Marlene di Venere bionda.
In questi
altri casi, che rappresentano tuttavia i casi
migliori, artisti, scene, fatiche, denaro, tutto
è stato
profuso unicamente in omaggio a questo mito
della bella donna che doveva essere
il centro di un film e che, a farlo apposta, per l'inconsistenza
stessa della
materia usata senza ispirazione, non ha
potuto darci che delle
immagini vaghe, poco legittime
e poco espressive. Figuriamoci
poi i casi peggiori e tutte le dive e divette
che ogni sera ci compaiono dinanzi
unicamente come specchio per le allodole,
come immagini residue di un mondo che,
non appoggiato a nessuna realtà di poesia, sta
perdendo anche le sue
attrattive di carattere pratico.
Lo spettatore
più scaltrito sente odore di muffa. Ha
l'impressione umoristica che ormai
anche la platea prova per
certi film invecchiati e ormai passati dal ruolo di film
tragici a quello più spregiudicato di film per far
ridere. Del resto basta un bacio di lungo metraggio,
che qualche anno fa poteva
essere un elemento di
successo ed
è tato anzi fondamento di una vera ricetta
economica per la filmistica americana, per
fare adesso ridere i grandi
e fischiare
i piccini.
Non fa
neppur bisogno di arrivare alla farsa, a cui
ho assistito qualche
settimana fa allo spettacolo del film Desiderata
(Versione di un'originale Mater
dolorosa «Il y a une volupté dans la douleur!!...»). Una bella protagonista, che ha deciso di uccidersi,
va in cerca in un enorme
mazzo di fiori bianchi
e si mette
in posa con la bocca del
revolver fra i petali profumati. Per
fortuna questi preparativi la
distolgono dalla risoluzione principale, ma
non abbastanza perché un signore innocente,
che si trova davanti a lei, non muoia di questa morte
profumata. Tre bei materiali: una belladonna, un mazzo di gigli,
una lucida canna da revolver
hanno potuto, malamente adoperati, creare
un mostro di questa fatta! Qui il caso
era così appariscente e pittoresco, che anche
il più ottuso spettatore ne restava colpito: infatti mai
alcuna morte si svolse fra ilarità più
spontanea e vendicatrice.
Ma quasi ogni sera gli spettatori
vedono sfilarsi davanti fotogrammi, se non altrettanto
umoristici, per lo meno così generici e
logorati da non rispondere ad alcuna esigenza d'arte. Questo
senso di generico nasce proprio dalla vuotaggine di
tutto il film, imbastito spesso
col desiderio preoccupante di offrire allo spettatore
donne belle, feste da ballo, tabarins, automobili, fiere e
altre piacevolezze del genere,
cioè gli elementi-tipo della nostalgia
e del sogno
piccolo borghese».
CINE-CONVEGNO ANNO II – 25 Luglio 1934 (XII)
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