martedì 15 dicembre 2020

Una belladonna, un mazzo di gigli, una lucida canna da revolver




Col titolo «Immagini logore» E. Ferrieri ha pubblicato in Comoedia un articolo, che tende a raccogliere i «motivi» usati nel modo più generico nella cinematografia d'uso 'corrente, e che continuano ad apparir e, con puntuali ritorni, per forza d 'inerzia, in quanto rappresentano quadri o consuetudini di vita, sembra, particolarmente attraenti per la massa degli spettatori : belle donne, tabarins, sale da ballo, automobili, telefoni, un complesso ,di «comodità moderne» a buon mercato, che ogni film può annunciare sui manifesti come un cartello di locazione.
Riportiamo alcuni punti di questo articolo:
«Anche il cinematografo ha i suoi chiari di luna e le sue donne troppo belle da mandare alla ghigliottina, come proponeva in altri tempi Marinetti a romanzieri e pittori?
Per le belle donne ha già parlato, da eccellente difensore, Enrico Roma in un articolo comparso nel  fascicolo di luglio di Comoedia.
Il pensiero del Roma mi pare essere questo: certi gruppi giovanili, invasati, e non a torto, da un irrequieto antidivismo vorrebbero proscrivere dallo schermo anche le donne belle, che così sovente hanno turbato con prepotenza protagonistica l'armonia di un film. Citano, questi giovani, l'esempio di Russia e minacciano di spopolare le sale cinematografiche sostituendo a tanti begli occhioni, a tanti sfarzosi abiti da ballo (usati magari in treno come in Shangai-Express, dico io) mostriciattoli espressivi di non si sa quali stati d'animo poco allettanti per la massa del pubblico. Dice giustamente il Roma: Non facciamo scherzi per carità!
La bellezza è pure un formidabile elemento di espressione e di eccezione; le attrici non sono certo attrici in quanto sono belle, ma, se hanno questa grazia celeste, restano pure attrici e sono belle due volte. Per di più, come inventare un paese dove possa comparire sullo schermo una belladonna più legittimamente che nel nostro, proprio l'Italia, ·che ha tutto quel che ci vuole dtradizione, di panorami, di gusto per darle risalto?
Questo mi pare il pensiero del Roma. lo credo tuttavia che si debba chiarire un piccolo equivoco. Non appartengo purtroppo più al cerchio ... dei giovanissimi, ma li ho spesso molto vicini e credo di conoscere i propositi di alcuni di loro, e del resto, giovani o no, siamo un po' tutti del parere che, e il cinema vuoI considerarsi un'arte e forse anche se vuoI conservare attrattive per la massa e vivere come industria, non deve già ammazzare le sue Veneri e magari neppure i suoi Adoni, ma deve pur liberarsi da quel bagaglio di immagini logore, di situazioni generiche e perciò inespressive, di gesti, di movimenti, di panorami-tipo, che venendo ormai a noia anche al più semplice degli spettatori, minacciano di perdere ogni forza di richiamo.
Le ·donne sono cosa troppo seria, su e giù dallo schermo, perché si voglia privarsene per un programma di intellettuali. Ma il loro uso, in fin dei conti deve essere opportuno. Ha ragione il
Roma di ricordare che Greta, Brigitte, Marlene, ecc. ecc. sono invenzioni di poeti. Direi piuttosto che lo sono in tanto, in quanto in certe opere hanno preso una realtà poetica che ci ha preso e turbato; ricordate Greta in Anna Christie, ricordate la Dietrich di Angelo Azzurro, ricordate Brigitte di Atlantide. Volete un esempio proprio dei russi? Ricordate la Voitzik dell'Isola della morte. Volete dei film di ieri? Ecco la signorina Sternburg o Manuela di Ragazze in uniforme, (la Wieck e la Thiele) o Karina Hardt di Otto ragazze in barca.
Nessun amante dell'arte pura, per puro che sia, vi consiglierà di cancellare dallo schermo queste meraviglie. Pensate invece a Brigitte Helm di Mandragora, o a Marlene di Venere bionda.
In questi altri casi, che rappresentano tuttavia i casi migliori, artisti, scene, fatiche, denaro, tutto è stato profuso unicamente in omaggio a questo mito della bella donna che doveva essere il centro di un film e che, a farlo apposta, per l'inconsistenza stessa della materia usata senza ispirazione, non ha potuto darci che delle immagini vaghe, poco legittime e poco espressive. Figuriamoci poi i casi peggiori e tutte le dive e divette che ogni sera ci compaiono dinanzi unicamente come specchio per le allodole, come immagini residue di un mondo che, non appoggiato a nessuna realtà di poesia, sta perdendo anche le sue attrattive di carattere pratico.
Lo spettatore più scaltrito sente odore di muffa. Ha l'impressione umoristica che ormai anche la platea prova per certi film invecchiati e ormai passati dal ruolo di film tragici a quello più spregiudicato di film per far ridere. Del resto basta un bacio di lungo metraggio, che qualche anno fa poteva essere un elemento di successo ed è tato anzi fondamento di una vera ricetta economica per la filmistica americana, per fare adesso ridere i grandi e fischiare i piccini.
Non fa neppur bisogno di arrivare alla farsa, a cui ho assistito qualche settimana fa allo spettacolo del film Desiderata (Versione di un'originale Mater dolorosa «Il y a une volupté dans la douleur!!...»). Una bella protagonista, che ha deciso di uccidersi, va in cerca in un enorme mazzo di fiori bianchi e si mette in posa con la bocca del revolver fra i petali profumati. Per fortuna questi preparativi la distolgono dalla risoluzione principale, ma non abbastanza perché un signore innocente, che si trova davanti a lei, non muoia di questa morte profumata. Tre bei materiali: una belladonna, un mazzo di gigli, una lucida canna da revolver hanno potuto, malamente adoperati, creare un mostro di questa fatta! Qui il caso era così appariscente e pittoresco, che anche il più ottuso spettatore ne restava colpito: infatti mai alcuna morte si svolse fra ilarità più spontanea e vendicatrice. Ma quasi ogni sera gli spettatori vedono sfilarsi davanti fotogrammi, se non altrettanto umoristici, per lo meno così generici e logorati da non rispondere ad alcuna esigenza d'arte. Questo senso di generico nasce proprio dalla vuotaggine di tutto il film, imbastito spesso col desiderio preoccupante di offrire allo spettatore donne belle, feste da ballo, tabarins, automobili, fiere e altre piacevolezze del genere, cioè gli elementi-tipo della nostalgia
e del sogno piccolo borghese».
CINE-CONVEGNO ANNO II – 25 Luglio 1934 (XII)

 

Nessun commento:

Posta un commento