lunedì 30 dicembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández - la mano di Steinbeck

I film di Fernandez mancano, in genere, di articolazione narrativa.
Il suo modo più naturale di racconto è l'elencazione: egli allinea i suoi argomenti uno dopo l'altro, in un discorso lento e pacato; dicendo assolutamente tutto, con quel compiacimento del pleonasma che è tipico del primitivo. Non riesce a stabilire una gerarchia fra i termini del suo discorso, a cogliere l'essenziale e a rivelarlo mediante l'ellissi, non riesce a svolgere una concatenazione serrata di avvenimenti. La sua analisi filmica ha un andamento sfilacciato che soggiace allo scrupolo descrittivo dell'inventario: il materiale plastico si impone talvolta non per una propria intima dinamica, ma per una specie di vischiosità esterna. Donde certe complicate ed involute simmetrie di costruzione, certi stanchi e forzosi ritoni di situazioni. Un esempio tipico del suo procedimento di elencazione si ha in Las abandonadas (uno dei più brutti film di Fernandez): si vede Dolores del Rio che imbuca una lettera, dissolvenza, imbuca un’altra lettera, dissolvenza, un'altra lettera, dissolvenza, e così via. Poi Dolores bussa ad una porta, dissolvenza, bussa ad un`altra porta, dissolvenza, un'altra porta, dissolvenza, ecc... .
Altre volte questa meccanica scenaristica si sposa alla tecnica del racconto teatrale, determinando allora una prevalenza dialogica. Flor silvestre, per esempio, non è altro che una successione di dialoghi, cioè di situazioni risolte verbalmente e collegate fra loro dal filo rettilineo del rapporto cronologico: dialogo del colonnello con Don Francisco, dialogo di Donna Clara e di Esperancia al letto di questa, del nonno di Esperancia con José Luis, dei due mezzadri che si congedano da Don Francisco, ecc. Anche questa tecnica primitiva di racconto non è priva di riferimenti con le arti figurative locali. Essa trova infatti riscontro nell' iconografia orizzontale ed inconclusa degli antichi affreschi indios (manifestazione istintiva dell'anima popolare messicana; gli affreschi di Teotihuacan risalgono al VI secolo a. C.). Quest’andamento lento e circospetto, comune ai film di Fernandez e agli affreschi indios, non fa che ripetere certi atteggiamenti di vita degli indios, il loro modo di parlare, le lunghe perifrasi con cui sono soliti introdurre un argomento, anche urgente, secondo una tradizionale liturgia del discorso.
Le ragioni dell'impotenza narrativa di Fernandez vanno quindi cercate in una deficienza organica di temperamento, se non addirittura di razza. La migliore delle sue sceneggiature è quella di La perla, dove si avverte la mano di Steinbeck. La sua adesione (non si sa quanto volontaria e cosciente) al genere narrativo appare quindi come un limite della sua ispirazione. Fernandez e, in fondo, una delle tante vittime` di quella formula narrativa che esigenze mercantili impongono oggi ad ogni regista. Tutta la sua opera rivela lo sforzo doloroso ed inutile di adeguarsi agli schemi di quella precettistica narrativa, derivata dal romanzo verista, che da Griffith in poi governa la confezione dei film. 
Finché rimarrà prigioniero di questa formula Fernandez non potrà mai darci il suo vero volto e la misura piena del suo talento, davvero non comune. (continua)

Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951

Nella foto, lo scrittore John Steinbeck sul set di The Pearl (1947)
l'originale è qui: 

giovedì 19 dicembre 2019

After all, there is nothing to beat American movies

 


In your line do you have to face problems of export and import?
Yes we do. After all it's also a business.
I have seen in Japan that they are very advanced.
America was already very advanced.
This time it appears that the movie industry there is in a slump.
The studios and equipment are lying idle. Television dominates.
I felt bad about the whole thing.
After all, there is nothing to beat American movies.
Yes, whatever acting we have learned is from them.
Please forgive my saying so.
We don't seem to be bothered about quality.
Our motto has always been to produce more and produce rubbish.
Yes. Probably that is why we have to resort to family planning.

Anche voi dei film avete problemi di esportazione e di importazioni?
Oh sì. Come ogni altra industria.
Ho notato che l'industria cinematografica giapponese è in crescita.
L'America, ovviamente, è sempre molto avanti.
Ma questa volta ho notato un crollo.
Gli studi sono tutti inattivi. Oppure, girano film per la televisione.
Mi ha reso triste.
Dopotutto, non c'è niente di meglio dei film americani.
Sì ha ragione. Abbiamo imparato a recitare da loro.
Non si offenda, signore, ma non abbiamo ancora imparato a curare la qualità.
Il nostro motto sembra essere: Produrre di più e produrre spazzatura!
Sì. Ecco perché la pianificazione familiare è così importante.
Satyajit Ray, Nayak, 1966

mercoledì 18 dicembre 2019

Un leone a Culver City - He Who Gets Slapped


Il prestigio della regia
Nonostante l'impostazione programmatica della produzione, che assegnava all'"executive producer" la maggiore responsabilità, il prestigio della regia aveva ancora, specie agli inizi, il suo innegabile peso. E' il momento in cui si chiamano dall'Europa i registi tedeschi e svedesi, i cui film - specie a partire dall'immediato dopoguerra - ottenevano un inspiegabile successo di pubblico anche negli Stati Uniti. Uno dei nomi accolti con maggior rispetto dall'ambiente hollywoodiano, dove poco per volta le ragioni dell’arte venivano sopraffatte da quelle dell'industria, fu senza dubbio quello dello svedese Victor Sjostrom, anche se della sua precedente attività si conosceva si e no - soltanto il Kéirkarlen (Il carrettiere della morte, 1919). Egli venne ribattezzato - per facilitare al pubblico la lettura del suo nome - in Seastrom, e tenuto a lungo sotto contratto in attesa che si trovasse un soggetto adatto alla sua sensibilità. Dopo un film di minore impegno (Name the Man, 1924) gli venne finalmente affidata la ·riduzione cinematografica del dramma di Andrejev, He Who Gets Slapped (Quello che prende gli schiaffi, 1924), che fu anzi il primo film presentato con l'intera sigla della nuova ditta. Non era certo una delle cose migliori del grande Sjostrom, ma in compenso, grazie anche ad una forte interpretazione di Lon Chaney nel ruolo del protagonista, piacque al pubblico e le azioni del regista salirono immediatamente. A John Gilbert e a Norma Shearer era demandato il compito di tenere alto il morale degli spettatori con le scene d'amore. (continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 
Nella foto Norma Shearer e Lon Chaney in He Who Gets Slapped, 1924

lunedì 16 dicembre 2019

A stage



Are your anger, hatred, desire for revenge.
The pain of defeat.
I have given you only.
A stage.

Sono la vostra rabbia, l'odio, il desiderio di vendetta... il dolore della sconfitta.
Io vi ho dato soltanto... un palco.
Kim Ki-Duk,  일대일Il-dae-il (One on One), 2014

domenica 15 dicembre 2019

Valentina Cortese


Una lettera di Alessandro Blasetti

DIFENDO VALENTINA

Caro Doletti, ti devo un grandissimo grazie, da tempo: per essere stato tu il primo a segnalare quale diversa impressione abbia fatto, in sede critica, all’estero, «La corona di ferro». Fu un gesto di coraggio, quello lì, da sembrare addirittura una spavalderia, data l'aria che tirò da Venezia.
Ma stetti zitto. E per la stessa ragione che m i sconsigliò di rispondere agli inviti più o meno espliciti del nostro caro e bravo Dino Falconi e del mio affettuoso stroncatore Eugenio Giovannetti. Ad aprir bocca sull'argomento, specialmente allora, 'per quanto mi fossi riproposto di frenarmi, sarebbe stato come spalancare il malsicuro sportello di una diga: e chissà quante fesserie sarei stato trascinato a dire. Ma oggi che il tempo è passato, il grazie te lo posso mandare, e pgrosso, cumulativo: per oggi e per allora. Per oggi, soprattutto, per la stessa ragione: il tuo coraggio di contrastare con il parere dei più e dei più grossi e proposito di Valentina Cortese.
'La carriera di tutti i «miei» attori (mi illudo che siano «miei» gli attori a i quali voglio più bene) è stata sempre stranamente partecipe della mia sorte: che è quella, per fortuna, d 'essere sempre aspramente, violentemente - ma, in fondo, affettuosamente - contrastata. 
Da Cervi a Valenti, dalla Morelli alla Cegani, e perfino alla mia carissima Luisa Ferida, il loro cammino non è stato, e per alcuni non è ancora, tutto cosparso di allori e di petali di rose: ma è un buon segno.
E, tanto più la prima ostilità è forte, tanto maggiore io credo (e i fatti mi hanno dato finora ragione) è più entusiastica, poi, a quel determinato giorno, l'affermazione.
Questo volevo dirli: che l'ostilità palese con ' la quale è stata accolta oggi la piccola Valentina è, per mebuon segno: e che il tuo gesto di coraggio ti porterà, ancora una volta, ad avere avuto ragione fra i primi.
Questa può sembrare magra vittoria perché costa molto (forse la serenità degli anni migliori) e rende poco (perché, poi, perduta la loro attualità vitale, alle cose resta ben poco calore); ma per uomini come te e me, è più che sufficiente per indurci quando è il caso - a scendere in campo
Ti abbraccio.
Alessandro Blasetti
film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V - N. 10  7 MARZO 1942 XX
Nella foto Valentina Cortese (1923 - 2019) durante una pausa delle riprese di  La cena delle beffe, 1942 di Alessandro Blasetti

giovedì 12 dicembre 2019

Richard Widmark colliquated







André De Toth, Slattery's Hurricane (Furia ai tropici), 1949

mercoledì 11 dicembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández - Lirico ed ingenuo

Si è dunque visto che la nota più genuina dell’ispirazione di Fernandez è nella scoperta d'un paesaggio. Questo paesaggio in tutte le sue accezioni - è da Fernandez sentito in una dimensione essenzialmente lirica. Fernandez tende spontaneamente a parlare per miti, a trasporre la materia narrativa su un piano lirico. Anche i dati razionali della sua ispirazione si avvolgono d'un'aria di favola e si risolvono in un disegno semplicistico che ha il colore del mito: assunti etici, sociali, pedagogici, si congelano in uno schematismo insistito ed ingenuo (di qua i buoni, di là i cattivi, i ricchi e i poveri, ecc.) che risponde ad un' impulso di semplificazione d'ordine essenzialmente fantastico tipico del temperamento indio. Un volta Figueora a chi gli obbiettava questo lirismo mitico di cui si caricano nei suoi film certi contenuti rivoluzionari o, come si suole dire da noi, progressivi, rispose che solo così si può far vibrare l’anima sognante degli indios. E' una risposta scultorea che dovrebbe dar da pensare a certi propagandisti politici, avvezzi a far d’ogni erba un fascio.
Il mondo di Fernandez è un mondo di romanticismo primitivo, legato a motivi elementari di umanità la bellezza, la bontà, la ricchezza, la miseria, ecc., un mondo attento ai movimenti istintivi dell'animo: l'amore, l’odio, la gelosia, la pietà, ecc., C'è un tema che ricorre con particolare insistenza nella sua opera ed è il tema di dedizione totale d'amore: in Las abandonadas, in Flor silvestre, in Maria Candelaria, in Maclovia, ma soprattutto in Enamorada c'è un uomo o una donna che si sacrificano per amore.
I personaggi di Fernandez sussistono solo come supporti di questa sua tematica mitica. Non si trova in Fernandez una definizione organica e razionale della materia psicologica. Se si eccettua il personaggio
di Maria Felix in Enamorada, reso con una intensità e una delicatezza che per certi aspetti ricordano il “Kamrnerspiel” - non c'è nei suoi film un carattere compiutamente delineato.
Anche l’immagine del Messico che egli ci dà è, in fondo, un'immagine mitica e fuori del tempo, è un paesaggio interiore, sentito come assoluto. Si cercherebbe invano in Fernandez, non diciamo una presentazione realistica del suo paese, ma nemmeno un paesaggio posto in termini di efficienza narrativa (e si pensi, per contrasto, al ruolo della natura in certo cinema scandinavo), “Un arbre et un âne se detachant sur le ciel - diceva ancora Figueroa ad André Camp (1) -  et vous avez tout le Méxique”. In Fernandez il paesaggio rimane sostanzialmente avulso dall'azione narrativa. Tutta la sua opera risente di questo squilibrio di impostazione e, più generalmente, di una certa imperizia di racconto che deriva proprio dai suoi interessi prevalentemente lirici. (continua)
Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951


lunedì 9 dicembre 2019

Isa "Z 3" Miranda


UN FILM “ATTUALE”
Documento Z 3 con Isa Miranda
Isa Miranda nelle vesti di un agente segreto italiano in Jugoslavia 
Il primo film sugli “eroi senza gloria”.

Torino, febbraio
Uno dei modi più facili per iniziare un articolo è “Non è da oggi che si scrive”; o “non è da oggi che si agita il tale problema” oppure “non è da oggi che si dice”.
Se me lo consentite, anch’io così comincio il mio articolo.
Non è da oggi che le storie -imperniate su oscuri delitti, sulla ricerca di colpevoli, su presunti assassini, sulla innocente che su per finire sul patibolo riescono ad' attrarre, con intensità mai diminuita, l’attenzione delle folle o degli spettatori.
Lo stesso dicasi per tutte le vicende concernenti lo spionaggio e il controspionaggio; dopo la guerra del '15, molti libri sono usciti, scritti da agenti dello spionaggio o del controspionaggio delle nazioni allora, e oggi in lotta tra loro. Questi libri sollevarono un velo su un'attività che era ignota alle folle; e dimostrarono che, oltre in Mata Hari, una legione di altri esseri avevano, giorno per giorno, rischiato la fucilazione pur di rendere edotta la propria nazione di notizie interessanti il raggiungimento della vittoria. Questi libri hanno suscitato, al loro apparire, una curiosità senza limiti, essendo imperniati su vicende e su uomini realmente esistiti, al contrario dei romanzi polizieschi.
Per in prima volta, in Italia, viene realizzato un film che mostra l’opera oscura, da “eroi senza gloria” che i nostri agenti segreti hanno svolto in Jugoslavia per smascherare la doppiezza squisitamente serba, doppiezza che si concretava nella politica bifronte della Jugoslavia che mentre sorrideva all'Asse stilava un documento segreto con la Russia staliniana.
Il film è imperniato sull’opera svolta dai nostri 'agenti segreti in Jugoslavia, alla vigilia dello scoppio del Conflitto che spazzo re e governo di un paese ibrido. Le vicende si svolgono, sotto la regia di Alfredo Guarini, con un ritmo serrato, senza pausa; l’attenzione dello spettatore viene ravvivata con situazioni impreviste quanto imprevedibili; e viene accentuata dalla lotta sorda quanto accanita che si svolge tra la polizia belgradese e i nostri agenti. L’agente più abile è impersonato da Isa Miranda che, in questo film, riesce a dimostrare la sua poliedricità di attrice, sapendo, di volta in volta, essere una ragazza comune, una signora elegante, una modesta contadina, una donna che ama, l’agente segreto senza pietà verso sé stessa oltre che verso gli altri pur di svolgere in pieno la missione affidatale.
Le alterne vicende sfociano nella sottrazione al commissario bolscevico del documento “Z. 3” e nella furia devastatrice della teppaglia belgradese che assalta e distrugge i negozi e le case degli italiani e dei tedeschi.
In un gruppo di scene di un abile realismo, i rossi serbi, esasperati da un sadismo collettivo, assaltano il negozio di apparecchi radio e dischi di un italiano; irrompono sfondando vetrine, distruggono a colpi di bastone radio, dischi, lampadari, mobili; svuotano la cassa e uccidono a rivoltellate il proprietario, finché la polizia belgradese, avvertita dal commissario sovietico non si getta all'inseguimento dell'agente segreto Sandra Morini.
Alfredo Guarini nel produrre questo film per conto degli “Artisti Associati”, ha voluto riunire un complesso -artistico e tecnico omogeneo chiamando attori e tecnici di riconosciuto valore. Infatti, accanto a lsa Miranda, troviamo Claudio Gora che si è affermato recentemente in Amori imperiali e che qui recita la sua parte con singolare sobrietà. Carlo Tamberlani che tutti ormai conosciamo e che apprezziamo come ottimo attore di teatro e come ottimo attore di cinema; Luis Hurtado, attore spagnolo dalla forte personalità, -dalla maschera inconfondibile, che abbiamo veduto come 'fra Cristoforo” ne I Promessi Sposi; Tina Lattanzi in una parte breve ma di rilievo; Aroldo Tieri, il quale si sta affermando come attore giovanissimo di avvenire; Guglielmo Barnabò che vedremo in una parte sobria, senza comicità, dopo tanti film comici.
L’operatore del film è Gabor Pogåny, che con questo film, ha collaudato le sue indiscutibili qualità di operatore intelligente e scrupoloso.
Nei quadri tecnici, inoltre, abbiamo Giorgio Genesi direttore di produzione, Alessandra Befani ispettore di produzione, Boris Bilinsky per la scenografia del film.
Il film è entrato ormai nella sua fase finale: nella prima decade di febbraio, con alcune scene da girarsi in un aeroporto, la fatica artistica di Alfredo Guarini potrà dirsi completata.
Dal complesso delle scene che ho potuto visionare, molte sono le considerazioni che sorgono spontanee.
Anzitutto sulla interpretazione di Isa Manda. Non desidero fare delle anticipazioni per lasciare ai lettori intatta la sorpresa di vedere Isa Miranda in una inconsueta recitazione, semplice, lineare in molte scene, a seconda delle esigenze del film. Ma alla semplicità e disinvoltura di alcune scene, fa contrasto la tragicità della maschera assunta dall'attrice: maschera che, attraverso una singolare compostezza, riesce a tradurre lo sgomento interno e l’angoscia.
La regia di Alfredo Guarini ha voluto abilmente associare semplicità, ritmo serrato e attenta cura nelle inquadrature. Il film, pur essendo condotto con una chiarezza esemplare, non dimentica che le inquadrature devono essere «funzionali» e cioè in funzione dello spirito dell'azione, degli atteggiamenti dei personaggi, delle particolari esigenze richieste dal momento drammatico o comico. Tutto ciò Guarini, ha tenuto presente; e la sua regia può dirsi veramente indovinate. A conclusione, possiamo dire che Documento Z. 3, che verrà presentato dagli «Artisti Associati» nel prossimo marzo, ha tutti i requisiti per essere oltre che un film interessante, anche e soprattutto un bel film.
Alessandro Ferraù
 film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V - N. 7  14 FEBBRAIO 1942 XX

Alessandro Ferraù, messinese di nascita, è stato un giornalista cinematografico che si interessò soprattutto degli incassi dei film su testate come Il Giornale dello Spettacolo, Cinema d'oggi e Cinespettacolo.


domenica 8 dicembre 2019

Un leone a Culver City - I fasti dello "Star System"


Fra coloro che avevano preso parte nel 1915 alla organizzazione della "Metro Pictures Corporation", era anche - quale segretario di Rowland - Louis E. Mayer, che si era già occupato di distribuzione e che dal 1917 si era poi staccato dalla casa per produrre in proprio, all'insegna della "Louis B. Mayer Productions, Inc.", le cui "stelle" più note furono Anita Stewart, Renée Adorée, Mildred Harris Chaplin e Norma Shearer. Gli troviamo accanto, a partire dal 1922, un giovane di talento, Irving G. Thalberg, già segretario di Carl Laemrnle e capo della produzione Universal, all'epoca fra l'altro dei film di Stroheim Foolish Wives (Femmine folli, 1921) e Merry-GoRound ("Donne viennesi'', 1922): la figura di Thalberg, che sposò
in seguito Norma Shearer e mori prematuramente nel 1936, avrà - come vedremo - una grande importanza nella evoluzione della M.G.M. I primi contatti fra la Metro e Mayer si ebbero nel 1923 e le trattative si protrassero fino alla primavera dell'anno seguente, ma non si giunse ad un accordo finché non si trovarono gli studios idonei alla realizzazione degli ambiziosi programmi di Loew e Schenck da una parte e di Mayer e Thalberg dall'altra, i quali si trovarono tutti d'accordo nel vagheggiare una produzione basata non tanto sul numero dei film, quanto e soprattutto sulla “qualità”, del prodotto: alla sistematica valorizzazione della personalità degli attori e delle attrici (da legarsi alla casa con contratti a lunga scadenza, per poterne sfruttare il nome in esclusiva), secondo le regole ormai diffuse dello "Star System", essi intendevano infatti accoppiare una formidabile attrezzatura tecnica, basata su tutta una serie di autentiche specializzazioni - ivi incluse quelle degli scrittori e dei registi - sulle quali avrebbero poi potuto sicuramente contare i veri autori responsabili del film, i "producers": nell'epoca in cui il mito della regia stava ormai per tramontare, era sulle capacità organizzative di costoro che avrebbe dovuto anzi poggiare l'intero peso della produzione.
Gli studios prescelti furono appunto quelli della "Goldwyn Pictures Corporation" a Culver City: Samuel Goldwyn non entrò a far parte della combinazione, ma nel contratto di vendita pretese ed ottenne che almeno il suo nome venisse ricordato nella marca della nuova casa produttrice: e fu così che fra quello della vecchia " Metro" e quello di "Mayer", rimase per sempre imbalsamato anche il nome di "Goldwyn". Il 26 aprile del 1924, giorno della cerimonia di inaugurazione, cui partecipò anche il popolare Will Rogers, erano presenti, insieme a circa seicento persone, fra impiegati, tecnici e maestranze, le prime " stars" ufficiali della Metro-Goldwyn-Mayer: Lon Chaney, l'"uomo dai mille volti" Lillian Gish, la più "spirituale ", attrice del momento, Mae Murray, la "sophisticated" di moda e - allora - la più temibile concorrente della Swanson, insieme a un terzetto di giovanotti dai capelli corvini, che si ostinavano a modulare - per quanto su corde diverse - l'imperante cliché alla Valentino: Antonio Moreno, un attore latino già sulla breccia da vari anni (dal film Mare Nostrum, 1926, di Ingram e tratto - manco a dirlo - da Ibafiez), John Gilbert, un "bel tenebroso" munito, fra l'altro, di un paio di baffetti assassini, e infine il "bello" di turno, Ramon Novarro le cui delicate fattezze stavano conquistando un numero sempre maggiore di zitelle e di ragazzette. (continua)


FAUSTO MONTESANTI
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 

In alto: Renée Adorée, Norma Shearer, Lon Chaney, Lillian Gish, Mae Murray, Antonio Moreno.
in basso: John Gilbert e Ramon Novarro.

giovedì 5 dicembre 2019

The doubt as certainty


Doubt can be a bond as powerful and sustaining as certainty.
When you are lost, you are not alone.

Il dubbio può essere un legame forte e rassicurante come la certezza.
Seppur perduti, non siete mai soli.
John Patick Shanley, Philip Seymour Hoffman, The Doubt, 2008


mercoledì 4 dicembre 2019

NEMBO movie






I.N.D.I.E.F. - Internazionale Nembo Distribuzione Importazione Esportazione Film
dal 1957 con Il posto delle fragole di Ingmar Bergman
al 1971 con Messaggero d'amore di Joseph Losey