giovedì 21 febbraio 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - Stazione Termini

La città, insomma, è del tutto indifferente, anzi potenzialmente ostile, al dramma di Ricci, dai singoli alle istituzioni [commissariato, sindacato e associazione di carità compresi]. l netturbini sono gli unici a differenziarsi da questo atteggiamento proprio in virtù della loro funzione [pratica, ma soprattutto simbolica]: quella di addetti alla pulizia della città, coloro che non si limitano — come per la polizia —a una presenza intimidatoria ma anche — almeno in un caso come quello del furto in questione — impotente, o ad una azione sostanzialmente garante della persistenza delle strutture tradizionali della società, come è quella dell'associazione di carità. I netturbini se da un punto di vista realistico sono coloro che meglio degli altri conoscono la città per ovvie ragioni professionali, da un punto di vista simbolico sono coloro che presiedono alla sua pulizia, che in qualche modo incidono con il loro lavoro sul volto dell’aggIomerato urbano, che della città, insomma, garantiscono un quotidiano mutamento tale da renderla sempre uguale a se stessa, e in modo sostanzialmente positivo, nel suo aspetto esteriore, che è quello che loro compete [e si ricordi la loro presenza, meno incidente,  vero, ma non per questo casuale, anche in Miracolo a Milano.I netturbini, dunque, non si pongono affatto come antitetici allo individuo proprio perché istituzione per così dire «esterna» alle strutture della citta [ma a questo punto è più che evidente che il termine “città” sta per “società”). Non istituzione sociale tout court quindi, ma semplicemente istituzione che non partecipa delle finalità conservative e in ultima analisi repressive della organizzazione sociale {fatta salva, ovviamente, nel film l’istituzione del sindacato 5.Questa repressività è manifesta, ad un livello tutto particolare ed esemplare, in un film purtroppo tutt'altro che riuscito come Stazione Termini 6. Il film che fa coincidere il tempo reale col tempo narrativo (vecchio sogno zavattiniano), inscena uno spazio urbano “in assenza”; ovvero, la stazione diventa a poco a poco nelle immagini che la qualificano una piccola città con i suoi luoghi caratteristici: l'ufficio postale, l'ospedale [il pronto soccorso], il ristorante, il bar, il commissariato. C’è persino — ma per poco — uno spazio privato nella sequenza del vagone abbandonato. Ed inoltre non mancano tutti i tipi nevrotici e alienati dell’«entourage» urbano, l‘impenitente e risibile dongiovanni, la famiglia numerosa, la famiglia di emigrati, i sacerdoti {qui stranieri — come del resto, ma con ben altra funzione, in Ladri di biciclette 7: -dopotutto siamo in una stazione internazionale), i carabinieri, persino quel simbolo nazionale che è la bandiera [anzi, parecchie bandiere]. E’ una piccola città, o addirittura una piccola Italia, fatta di macchiette ma anche di rispetto per l’autorità (si veda la sequenza dell'arrivo al commissariato ferroviario) e soprattutto di “moralità”. Non per nulla il bel faccione onesto di Gino Cervi nella parte del commissario, da tutti riverito al suo arrivo, non si limita a chiedere i documenti ai due malcapitati, ma aggiunge domande sulla situazione familiare della donna: è sposata? ha del figli? E’ la voce della coscienza, certo, ma anche la voce delia città e dell'istituzione che schiaccia l'adultera alle sue responsabilità. E’ il punto finale di tutta una serie di ostacoli che la stazione-città ha posto ai due amanti clandestini. Al ristorante non si può restare perché non è ancora aperto, dal bar è meglio andarsene perché, dice Giovanni, “c'è troppa gente”, nel vagone si è addirittura fermati dalla polizia; per non dire di tutti i piccoli intoppi seminati, magari in termini di comicità (ma anche di dramma), davanti ai due protagonisti. Il loro amore, insomma, è un crimine, proprio perché non è istituzionalizzato. L'unico momento di pace e tenerezza concesso ai due il film non lo mostra, sostituendo la scena con un campo lunghissimo aperto sullo spazio del tramonto nell'unica direzione in cui la macchina da presa non può incontrare la stazione-città, quella verso cui si dirigono i treni in partenza; cosi come l‘unico momento di pace e di tenerezza per i due protagonisti di II tetto [1956] sarà anch'esso sullo sfondo riposante di un tramonto liberato dalla città.
5 Come afferma multo giustamente Bazin, “L’indifference du syndicat est normale et justifiée, car les syndicats travaillent pour la justice et non pour  la charité”. Ibld., p. 50.
6 Sul fallimento del film valga per tutti il breve e acuto commento di Guido Aristarco in André Bazin: ”Vittorio De Sica”-, Parma, Guanda, 1953, pp. 31-34.
7 Su questa funzione ha visto ancora giusto André Bazin: “Qu'est-ce que le cinéma?”, clt., p. 50.

Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975


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