La
città, insomma, è del tutto indifferente, anzi potenzialmente ostile, al dramma
di Ricci, dai singoli alle istituzioni [commissariato, sindacato e associazione
di carità compresi]. l netturbini sono gli unici a differenziarsi da questo
atteggiamento proprio in virtù della loro funzione [pratica, ma soprattutto
simbolica]: quella di addetti alla pulizia della città, coloro che non si
limitano — come per la polizia —a una presenza intimidatoria ma anche — almeno in
un caso come quello del furto in questione — impotente, o ad una azione
sostanzialmente garante della persistenza delle strutture tradizionali della
società, come è quella dell'associazione di carità. I netturbini se da un punto
di vista realistico sono coloro che meglio degli altri conoscono la città per
ovvie ragioni professionali, da un punto di vista simbolico sono coloro che
presiedono alla sua pulizia, che in qualche modo incidono con il loro lavoro
sul volto dell’aggIomerato urbano, che della città, insomma, garantiscono un
quotidiano mutamento tale da renderla sempre uguale a se stessa, e in modo
sostanzialmente positivo, nel suo aspetto esteriore, che è quello che loro
compete [e si ricordi la loro presenza, meno incidente, vero, ma non per questo casuale, anche in Miracolo a Milano.I netturbini, dunque, non si pongono affatto come
antitetici allo individuo proprio perché istituzione per così dire «esterna»
alle strutture della citta [ma a questo punto è più che evidente che il termine
“città” sta per “società”). Non istituzione sociale tout court quindi, ma
semplicemente istituzione che non partecipa delle finalità conservative e in ultima
analisi repressive della organizzazione sociale {fatta salva, ovviamente, nel
film l’istituzione del sindacato 5.Questa repressività è manifesta, ad un livello tutto
particolare ed esemplare, in un film purtroppo tutt'altro che riuscito come Stazione Termini 6. Il film che fa coincidere il tempo reale col
tempo narrativo (vecchio sogno zavattiniano), inscena uno spazio urbano “in
assenza”; ovvero, la stazione diventa a poco a poco nelle immagini che la
qualificano una piccola città con i suoi luoghi caratteristici: l'ufficio
postale, l'ospedale [il pronto soccorso], il ristorante, il bar, il commissariato.
C’è persino — ma per poco — uno spazio privato nella sequenza del vagone
abbandonato. Ed inoltre non mancano tutti i tipi nevrotici e alienati dell’«entourage» urbano, l‘impenitente
e risibile dongiovanni, la famiglia numerosa, la famiglia di emigrati, i
sacerdoti {qui stranieri — come del resto, ma con ben altra funzione, in Ladri di biciclette 7: -dopotutto siamo in una
stazione internazionale), i carabinieri, persino quel simbolo nazionale che è
la bandiera [anzi, parecchie bandiere]. E’ una piccola città, o addirittura una
piccola Italia, fatta di macchiette ma anche di rispetto per l’autorità (si
veda la sequenza dell'arrivo al commissariato ferroviario) e soprattutto di
“moralità”. Non per nulla il bel faccione onesto di Gino Cervi nella parte del commissario,
da tutti riverito al suo arrivo, non si limita a chiedere i documenti ai due
malcapitati, ma aggiunge domande sulla situazione familiare della donna: è sposata?
ha del figli? E’ la voce della coscienza, certo, ma anche la voce delia città e
dell'istituzione che schiaccia l'adultera alle sue responsabilità. E’ il punto
finale di tutta una serie di ostacoli che la stazione-città ha posto ai due amanti
clandestini. Al ristorante non si può restare perché non è ancora aperto, dal
bar è meglio andarsene perché, dice Giovanni, “c'è troppa gente”, nel vagone si
è addirittura fermati dalla polizia; per non dire di tutti i piccoli intoppi
seminati, magari in termini di comicità (ma anche di dramma), davanti ai due
protagonisti. Il loro amore, insomma, è un crimine, proprio perché non è
istituzionalizzato. L'unico momento di pace e tenerezza concesso ai due il film
non lo mostra, sostituendo la scena con un campo lunghissimo aperto sullo
spazio del tramonto nell'unica direzione in cui la macchina da presa non può
incontrare la stazione-città, quella verso cui si dirigono i treni in partenza;
cosi come l‘unico momento di pace e di tenerezza per i due protagonisti di II tetto [1956] sarà anch'esso sullo sfondo
riposante di un tramonto liberato dalla città.
5 Come
afferma multo giustamente Bazin, “L’indifference du syndicat est normale et
justifiée, car les syndicats travaillent pour la justice et non pour la charité”. Ibld., p. 50.
6 Sul fallimento del film valga per tutti il breve e acuto
commento di Guido Aristarco in André Bazin: ”Vittorio De Sica”-, Parma, Guanda,
1953, pp. 31-34.
7 Su questa funzione ha visto ancora giusto André
Bazin: “Qu'est-ce que le cinéma?”, clt., p. 50.
Franco La Polla, BN
BIANCO NERO, MENSILE
DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12,
1975
Nessun commento:
Posta un commento