giovedì 28 febbraio 2019

Detective Thriller - Detective story

La migliore definizione della « detective story » è forse quella che ci ha dato Michel Butor nel suo romanzo « L'impiego del tempo ››: ogni romanzo poliziesco si basa su due omicidi, il primo, commesso dall'assassino, non essendo che l'occasione del secondo, in cui quest'ultimo rimane vittima dell'assassino puro e impunibile che è il i« detective ». Ogni « detective story » [sia essa letteraria o cinematografica) contiene non solo due serie di delitti ma anche due sequenze temporali. Inoltre suppone due registri specifici di intervento sulla realtà. Il primo è dato dal tempo del dramma che conduce al delitto originario e punibile. Il secondo ha inizio con l'inchiesta successiva a questo primo delitto e conduce a sua volta al delitto finale e impunibile. Così è come se ogni « detective story » fosse costituita da due storie diverse. l personaggi della prima storia hanno la funzione di agire, la sequenza temporale è quella del dramma in atto e il campo in cui questo dramma si svolge è quello della verità.
I personaggi della seconda storia hanno soprattutto la funzione di apprendere [non importa se il «detective ›› oltre ad ascoltare la lezione di vari indizi contrastanti rischia la propria vita: in questo senso tra il Philo Vance interpretato da William Powell in The Kennel Murder Case di Michael Curtiz e il Mike Hammer di Kiss Me Deadly di Robert Aldrich - come dire la più sofisticata e la più efferata delle « detective stories ›› - non c'è nessuna differenza). Il « detective » infatti è necessariamente impegnato in ipotesi e congetture, interpretazioni le ricostruzioni del significato globale degli avvenimenti fatali della prima storia, la quale, essendo nota solo in parte, deve essere completata. La sequenza temporale, a questo livello, è quella dell'inchiesta e il campo in cui questa viene portata avanti quello dell'esattezza. La storia del dramma racconta ciò che è avvenuto nei fatti. La storia dell'inchiesta spiega come il « detective ›› ne ha preso coscienza. In ogni « detective story » ci deve essere qualcuno che ignora qualcosa e al termine di un faticoso processo di apprendimento questo qualcuno ce ne deve comunicare i risultati. l film la cui durata coincide con la sequenza temporale del dramma, iscritta nel registro della verità, sono « psyohological thriller ». Quelli la cui durata coincide con la sequenza temporale dell’inchiesta, iscritta nel registro dell’esattezza, sono «detective thriller » veri e propri. Un esempio del primo caso è dato da Sorry, Wrong Number [1948, Il terrore corre sul filo) di Anatole Litvak, in cui Leona Stevenson (Barbara Stanwick) è una ricca ereditiera semiparalizzata e relegata a letto. È notte ed è sola, nella camera da letto di casa sua, a New York: la donna è sola perché il marito in precedenza aveva detto all'infermiera e ai domestici di prendersi una serata libera. La donna incomincia a preoccuparsi per il ritardo del marito, che non è ancora tornato dall'ufficio. Telefona allora in ufficio per sapere la ragione del ritardo e a causa di un contatto fortuito intercetta la comunicazione di due voci maschili che stanno parlando di un delitto che dovrà avvenire a una certa ora della notte, delitto che uno di essi è stato pagato per compiere e che l'altro gli ha commissionato per sbarazzarsi della moglie ed entrare in possesso delle sue sostanze. Leona si mette subito al telefono e passa parte della notte a tentare -di convincere la polizia, il medico personale e un sacco di altre persone che sta per essere commesso un omicidio, senza rendersi conto o minimamente sospettare che la vittima designata non è altri che lei e il mandante suo marito. Ogni suo sforzo fallisce miseramente, soprattutto a causa del suono della sua voce (il film non era che l’adattamento di un dramma radiofonico di Lucille Fletcher, incentrato soprattutto sugli effetti sonori delle varie voci al telefono e dei rumori prodotti da quest'ultimo), a giudicare dalla quale la donna sembra in preda a una crisi isterica. All'ora convenuta dalle due voci sulla linea intercettata Leona avverte la presenza di qualcuno che sta salendo le scale, verso la sua stanza. Il telefono suona. È il mairito che ha cambiato idea e vuole prevenire il sicario. Una mano guantata si sostituisce al ricevitore. Un'altra mano si stringe attorno al collo della donna. L'intruso esegue l'incarico affidatogli e prima di andarsene fiata nel ricevitore: « Sonry, wrong number » [« spiacente, ha sbagliato numero ››).
Un esempio del secondo caso è dato da Klute (1971, Una squilllo per l'ispettore Klute) di Alan Pakula, che ha inizio con l'assegnazione del mandato al «detective » protagonista [Donald Suthenland) di far luce sulla misteriosa scomparsa di Grunneman, sottolineata nella sequenze d'apertura dalla poltrona vuota di quest’ultimo.
I film citati però in realtà sono soltanto dei casi limite, in quanto molto più spesso si assiste alla copresenza di dramma e inchiesta, di verità ed esattezza, di azione e conoscenza all'interno di uno stesso film: tale è il caso di Dial M for Murder (1954, Il delitto perfetto) di Alfred Hitchcock che nella prima parte [la prima storia) racconta una vicenda analoga a quella di Sorry, Wrong Number [il marito che per liberarsi della moglie, rispettivamente impersonati da Ray Millland e Grace Kelly, assolda un assassino a pagamento) e nella seconda parte (la seconda storia) aggiunge al dramma della verità l'inchiesta  che si compie nei modi dell'esattezza [la donna ha ucciso per legittima difesa l'assalitore e il sospettoso ispettore Hubbard deve dimostrare la macchinazione del marito).
Ogni « detective story ›› fa perno sulla dialettica della presenza e dell'assenza: infatti regola costitutiva di essa è che il « detective ›› non fosse presente quando veniva commesso il primo delitto, quello punibile. La ricerca del colpevole [da uccidere impunemente) si giustifica in base a
questo difetto di visibilità, sostituendo all'assenza preliminare la presenza virtuale instaurata dal ragionamento conoscitivo e dallo psicodramma generato dal gesto di accusa contro l'assassino ormai individuato. Ma spesso si giustifica invece in base a un eccesso di visibilità [o di udibilità): tale è il caso di Hear Window (1954, La finestra sul cortile) in cui L. B. « Jeff ›› Jeffries [James Stewart] incomincia a interessarsi dei tenebrosi avvenimenti in casa Thorwald soltanto a causa del suo inguaribile noyeurismo [una variante è data da Ventitre passi dal delitto di Henry Hathaway, in cui Van Johnson è uno scrittore cieco che si trasforma, come Jaimes Stewart nel film precedente, in « detective ›› dilettante dopo aver faticosamente auscultato una conversazione in cui si alludeva a un rapimento a scopo di estorsione). (continua)
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾


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