mercoledì 31 ottobre 2018

Chaplin's crying

Una delle prime sere a Hollywood, mi invita a casa sua Merle Oberon. La conoscevo, è una donna colta, straordinariamente gentile. Ha organizzato per me un grande pranzo, invitando l'aristocrazia del cinema, da Sam Goldwyn a Chaplin. E poiché sa che ho portato con me una copia di Umberto D., riesce a convincermi di proiettarlo in casa sua per tutta quella gente. La proiezione si svolge regolarmente. Nessuno fiata. Proprio dietro di me, seduto in una poltrona, è Chaplin. Ogni tanto non resisto alla tentazione e torcendo il collo, furtivamente, lo guardo. E' impassibile, col mento fra le mani. La proiezione finisce. Sopravviene nella sala un brusio confuso. Guardo Chaplin: tutti si sono alzati, gesticolano, lui è ancora lì, tiene gli occhi chiusi, immobile. Passano due minuti buoni. Mi prende un malessere sottile, una specie di panico. Poi lui allarga le braccia, apre gli occhi; mi accorgo che piange come un vitello. Dice: «Grande, De Sica, un grande film». Più tardi mi riparla di Umberto D.: lo definisce «film di accademia ›; dice che preferisce Ladri di biciclette ma più ancora gli piace Sciuscià: «più vicino al pubblico, più accessibile, tale da commuovere l'intellettuale come l'analfabeta››.
Vittorio De SicaGli anni più belli della mia vita, "Tempo", 23 dicembre 1954
L'immagine e in:
Craig JohnsonWilson, 2017, che contiene vari espliciti omaggi a Umberto D.

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