lunedì 1 febbraio 2016

Something Wild pt. two from Proust to Zampanò

Diremmo che Jack Garfein è più vicino ai registi europei che a quelli del suo paese. Sono registi marcati da un certo tipo di cultura, e abbastanza libreschi per non saper dimenticare che la nostra epoca è di crisi, e che forse conviene cercare vie nuove. Noi non diciamo che abbiano ragione, cerchiamo soltanto di capirli. Prima ancora che fisici e matematici come Heisemberg, Fermi ed Einstein mandassero a carte quarantotto il razionalismo dei nostri padri, personaggi lontanissimi dalla scienza come Proust e Joyce avevano fracassato la psicologia tradizionale. È un fenomeno che non si ricorda mai a sufficienza. Una delle nostre grandi impressioni di lettura fu quel romanzo nel romanzo (alludiamo alla Recherche du temps perdu) in cui Swann, nello sfortunato amore per Odette, prefigura le ambasce del personaggio che dice <<je >> nel gran libro. Oppure è Saint-Loup che reca nel cuore un sentimento profondo per una donna che l'amico narratore non riesce a comprendere. Ogni uomo è una entità a sé stante che, come le monadi leibniziane, è senza finestre. I segni attraverso i quali è possibile l'esistenza civile sono sommari, utilitaristici, ma scevri della verità ultima delle anime.
A ben riflettere, in una società come quella americana di pieno impiego e di diffuso benessere, il modo di sfuggire al conformismo può essere di due tipi: o l’evasione amorosa, che si attua necessariamente con un << partner», o quella solitaria dell'alcool. Introversi, molto occupati, malinconici, è noto che gran parte dei cittadini USA preferisce il Bourbon alla compagnia femminile. Momento selvaggio ci è parso interessante perché vi si cerca una conciliazione delle due nevrosi. Né, al solito, vi inganni il lieto fine, che è un modo come un altro di sciogliere un nodo tra i più aggrovigliati.
Nella prima parte di Momento selvaggio ci sono momenti di grande bellezza, di un fascino tutto particolare. È girato in esterni, mostra quell’America insolita che è cosi magica, di essenza si direbbe Stregata, e che i registi più sensibili hanno imparato a farci vedere. Gli Stati Uniti quali appaiono in Momento selvaggio sono altrettanto patetici, ma di una qualità più accessibile, più intima. L'osservazione più giusta è che il paesaggio s’accorda al dramma della protagonista che si dibatte nello sforzo di ritornare ad essere, dopo il fattaccio, quella di prima. Si capisce, se no non ci sarebbe più il film, che lo sforzo è vano.
Ci siamo chiesti, anche perché la seconda parte del racconto, pur fatta bene, non ha il valore della prima, cosa è che ci ha turbato nel dibattersi di Mary contro una realtà spaventosa; insomma perché la storia, ispirata da un romanzo, Mary Ann, di Alex Karmel, ha finito per prendere al laccio uno spettatore incallito. Crediamo di aver trovato la risposta, anche se non sappiamo se apparirà soddisfacente ad altri spettatori. Mary è vittima, sia pure non consenziente di un peccato feroce, dettato dal furore erotico. Ma, proprio come nel mito del peccato originale di Adamo ed Eva, essa vive nel ricordo del paradiso perduto, e che sa irrecuperabile. Insomma, Garfein ha lavorato in terreno conosciuto, in un universo culturale e sensitivo comune a molte persone. È lo stesso caso accaduto a Federico Fellini per La strada. Ottuso, egoista, violento Zampanò finiva per riconoscere, attraverso il rimorso' e la nostalgia della perduta Gelsomina, la fraternità, il senso di appartenere a una famiglia unanime, dotata delle stesse. aspirazioni e paure. Siamo tutti d’accordo sul fatto che Mary a differenza di Zampanò e di Eva, è innocente. Ma il problema psicologico è sempre quello di chi è precipitato in fondo a un abisso e ha perso la luce consolatrice che scalda i suoi simili.

                                                                                 1962
Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972

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