giovedì 11 febbraio 2016

天国と地獄 Tengoku to jigoku

OGGI
al Circolo di Cultura Cinematografica “ Yasujiro Ozu


 Anatomia di un rapimento (天国と地獄 Tengoku to jigoku, 1963) di Akira Kurosawa lo si può tranquillamente suddividere in tre parti: il rapimento, la ricerca dei rapitori, la cattura del principale responsabile. Nella prima parte il protagonista è Gondo l’industriale che deve subire e pagare il riscatto; nella seconda è Tokura, l’ispettore capo che porta avanti le indagini; nella terza è Takeuchi il giovane studente che ha organizzato il rapimento. Su tutto e tutti il vero protagonista è il Giappone dei primi anni sessanta del secolo scorso, quello del boom economico succeduto alla disfatta bellica. Kurosawa in un apparente giallo ci mostra le disparità tra chi è diventato ricco, anche a seguito di enormi sacrifici e di chi invece deve rimanere a tutti i costi a galla per non sprofondare negli abissi che sono sia sociali come psicologici. Il primo abita in una villa costruita su una collina che domina la parte più povera di Yokohama. L’architettura esterna ed interna sono di tipo occidentale. Il secondo è un povero studente che vive nei bassifondi ancora arcaici ed è sovrastato da una realtà per lui irraggiungibile: «Dalla finestra della mia stanza ghiacciata d'inverno e torrida d'estate la sua casa sulla collina mi sembrava un paradiso... A forza di guardare in alto ho cominciato ad odiarla... Quest'odio è diventato la molla della mia vita... Non mi importa di andare all'inferno, tutta la mia vita è stata un inferno...» così dirà all’industriale il giovane studente in medicina. Gondo e la polizia sembrano capire il povero studente, questi però deve essere fermato e soppresso prima che sia troppo tardi per il nuovo Giappone.
Siccome abbiamo visto molti film e letto molti romanzi i nostri pensieri vanno a Umberto D e a Delitto e Castigo e forse siamo in accordo con Kurosawa. Rimane da dire sui pregi dall’uso magistrale del cinemascope al taglio in fase di montaggio, ma andremmo a ripetere sempre le stesse cose che si dicono per ogni film di Kurosawa. Suggeriamo di studiarvi soltanto l’incipit del film e confrontarlo con quello di Taxi Driver (1975) di Martin Scorsese. Sono identici: stesso landscape, stesso noise, stesso sound. Ma si sa, chi non ha plagiato Scorsese?
Qui ci si riferisce alla visione originale con sottotitoli della durata di due ore e ventitre minuti rispetto all’edizione italica di un’ora e quarantaquattro seppure con un pregevole doppiaggio d’epoca.


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