giovedì 15 ottobre 2015

Gangster e co

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Prima della reazione << virtuosa >> e dell’idealizzazione del G. Men ha luogo l’apparizione del capolavoro: Scarface (1932) di Howard Hawks. La materia, grezza ed informe, si nobilita in una rappresentazione affatto scevra di compiacenze estetizzanti o di mire didascaliche. L'unità artistica è data dallo stile che ricorda i precetti stendhaliani circa l’efficacia della lingua del Codice civile. Scarface è nella memoria di tutti perché è arrivato da noi nel dopoguerra; ma la schematicità e l”enfasi della stesura fotografica hanno aggiunto, almeno per me, incanto ad incanto. `
Così come s’è potuto dire con cognizione di causa che la fotografia della piccola martire di Primavalle, con quegli occhi spalancati e la sciarpettina attorno al collo, << exploit ›› di un fotografo di periferia, può ricordare un Matisse. Mentre, in un adeguato ritorno cinematografico, i vecchi cronisti romani parlarono di << giglio infranto ››. Senza esitazione, metterei invece da parte City Streets (Le vie della città, 1931), di Mamoulian, non senza la debita reverenza al talento, alquanto facinoroso e bluflistico, dell'armeno: per la nostra ricerca, apporto per nulla genuino. Mentre nella stessa direzione, e quasi per le stesse ragioni, è da scartare risolutamente l’intelligente Ford di The Whole Town’s Talking (Tutta la città ne parla, 1935). Con Scarface, ma a un gradino più sotto, sono invece da registrare in quegli anni The Beast of the City (Il nemico pubblico No. 1, 1932), e The Story of Temple Drake (Perdizione, 1933) i cui autori, Charles Brabin e Stephen Roberts, ebbero comune il breve  destino. The Beast oƒ the City racconta un caso piuttosto romanzesco. Il capo della polizia in una certa città ha per fratello il responsabile di un commissariato. Di carattere debole costui (Wallace Ford) è irretito da una ragazza (Jean Harlow), affiliata a una << gang >>. A un certo punto il giovanotto traviato si ravvede; il capo della polizia (Walter Huston) affronta i banditi riuniti a banchetto; il capo della << gang» si fa scudo del poliziotto tarato, che incita il fratello ad aprire il fuoco. Nella sparatoria muoiono i due fratelli e la mala femmina, colpita a morte mentre fugge su una scala. Nel film Jean Harlow, ancora acerba, aveva scarso peso. Non c'era alcuna ricerca formalistica o psicologica. Si trattava di una nuda narrazione di fatti, resi pregnanti dalla speditezza del montaggio, da una quantità di particolari di suggestione immediata e dalla spontaneità degli interpreti. Tutt’altre ambizioni in The Story oƒ Temple Drake. Il successo del romanzo di Faulkner (uscito nel '31, ma scritto in precedenza), da cui la pellicola era ispirata, << Sanctuary», era soprattutto di scandalo; pochi avevano saputo intravedere, oltre la scorza, il significato rivoluzionario della << Weltanschauung ›› faulkneriana; è logico che, cadendo nelle fauci hollywoodiane, la storia del gangster Popey si edulcorasse, sfumando farisaicamente i troppo rilevati contorni. Si fecero dunque necessari << adattamenti >›; ma Roberts era un artista, e qualcosa restò. A suo tempo io dubitai forte che la scelta di Miriam Hopkins, attrice troppo caratterizzata e intellettuale, per la parte di Temple, fosse felice, né so risolvermi a cambiare idea malgrado la mancanza - et pour cause! - di una << rilettura ›> del testo; ma è certo che la scelta di Jack La Rue come Popey risultò indicibilmente felice. E certi allucinati interni (il bordello di Memphis) non facevano affatto rimpiangere la mancanza della troppo celebre pannocchia di granoturco.
                                                                                                                  1950
Pietro BianchiMaestri del cinema

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