martedì 20 gennaio 2015

Il disgustoso mondo di Amélie


di Elisa Cuter

Feuchtgebiete potrebbe avere come sottotitolo “Il disgustoso mondo di Amélie”. Il riferimento al lezioso film caposcuola di Jeunet sembrerà fuori luogo per parlare di quello che è stato considerato il film scandalo di Locarno, ovvero le disavventure di un'adolescente che vive la sua ribellione verso i genitori incompetenti e infelici godendosi il sesso con deliberata noncuranza igienica, narrate con voluta nonchalance per il buon gusto dello spettatore. È proprio l'inconsapevolezza della protagonista a fare di lei un personaggio memorabile, in cui tenerezza e disgusto si fondono evitando l'ingenuità kitsch dell'Amelie Poulain di cui sopra. Allo stesso tempo, è questo stesso suo rimando naif a rendere fecondo il film: la sua forza sta proprio nel saper restare a cavallo tra un tipo di narrazione mainstream e un punto di vista inedito come quello di una ragazza capace di ignorare tutte le convenzioni che normalmente a una ragazza vengono imposte.
Più che un film che punta a scandalizzare il grande pubblico, Wnendt sembra voler far storcere il naso a certa critica snob. Non solo narra di tavole del water incrostate ed emorroidi sanguinolente, ma lo fa seguendo anche nella messa in scena un cattivo gusto demodé (si pensi agli imbarazzanti titoli di testa animati) e un frenetico stile registico da video-clip che poteva forse essere provocante negli anni '90, ma ora non fa che circoscrivere un target. Il film, però, ha senso proprio in relazione a questo target giovanile: non è un film scandalo, né un pamphlet “per imparare divertendosi” (anche se in questo caso centrerebbe il bersaglio in pieno), ma piuttosto un raro esempio di film che comprende profondamente il suo pubblico e allo stesso tempo punta ad educarlo. Perché di questi tempi c'è sicuramente bisogno di prodotti che indaghino il lato “sporco” del corpo (e dello sguardo) femminile, a maggior ragione senza morbosità né ammiccamenti “artistici” ma con spirito giocoso, celebrativo, verrebbe da dire punk (pensando ai Ramones).
Parte del merito dell'operazione va attribuito alla promettente attrice protagonista Carla Juri, cui basterebbe il fascino candido per spingere lo spettatore ad empatizzare con il personaggio; ma si farebbe volentieri a meno degli psicologismi un po' superficiali che tentano di  giustificare il desiderio di libertà per mezzo di traumi infantili, tradendo in parte gli intenti dell'omonimo bestseller di Charlotte Rocha da cui il film è tratto. Come il libro, il film restituisce comunque la voce di una nuova generazione tedesca attenta a formarsi ribaltando quelle che nel corso dello scorso secolo sono state le sue fatali debolezze: se lo spirito tedesco è stato a lungo dominato da un'analità nevrotica e ossessiva - in termini freudiani -, ecco una celebrazione della fecalità come fulcro dello humor, stavolta però in chiave ironica, non morbosa né subita - infantilismo abbracciato con consapevolezza.
Una generazione di cattivi maestri che sa scendere a compromessi (l'innegabile avvenenza di Juri ad esempio sembra purtroppo confermare la massima secondo la quale “a woman is allowed to be crazy, as long as she's hot”), perché ambisce a parlare a tutti, e ci riesce.

L'originale è qui:
http://www.filmidee.it/archive/37/article/521/article.aspx

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