mercoledì 16 aprile 2014

Vittorio De Seta - Il mio viaggio in Calabria




“ … l'oggetto filmato, la Calabria perduta, si assenta e si sospende, scoprendo contemporaneamente la potenza utopica e ucronica del cinema. “ Jean-Louis Comolli

I film di Vittorio De Seta I dimenticati (1959) e In Calabria (1993), a cui si può aggiungere Lu tempu di lu pisci spata (1954), costituiscono nell'esplorazione che stiamo facendo sulla rappresentazione della Calabria nel cinema, uno spartiacque ma anche il cuore, o se volete, il centro, tra passato e avvenire. La parola futuro è sistematicamente esclusa. “ Il futuro non appartiene a noi altri “ recitava Henry Fonda in C'era una volta il west
Vittorio De Seta la Calabria l'ha sentita fin dal suo concepimento nel grembo della madre, che era calabrese. Il suo cinema cominciò altrove ma ebbe termine, come un viaggio, con il ritorno nel grembo materno, regalando alla Calabria un film stilisticamente perfetto pur nella sua brevità: Articolo 23.
Ne I dimenticati viene registrato, per la prima volta, il rito arcaico della festa dell'abete (pita) che si svolge ad Alessandria del Carretto. Oggi questo rituale, divenuto una sagra paesana, è esclusivamente rappresentato per  giovanotti e signorine cittadini che vi arrivano firmati dai loro zainetti a tracolla, scarpette da trekking e occhiali da sole. All'epoca Alessandria del Carretto era staccata dal contesto sociale, come lo era Polsi; si raggiungevano questi due posti solo a dorso di mulo e di questo animale, che conta meno di un asino, si faceva uso per il trasporto di qualsiasi necessità acquistata fuori.
In quest'opera, come nella successiva In Calabria, sotto i colori della Ferrania De Seta lascia parlare i volti delle persone siano essi grandi o piccoli ma essenzialmente  suoni e rumori carpiti e registrati in diretta: lo scroscio della pioggia con il conseguente scorrere dell'acqua per le vie del paese; i ferri calzati dai muli con il loro infrangersi sulle rocce del fiume; le voci, i canti ed i suoni, i colpi di mortaio, la banda dietro la processione; tutto questo determina un passato orribilmente cancellato.
La distanza tra  I dimenticati  e In Calabria è di trenta anni, “ alle soglie del terzo millennio “ ricorda la voce fuori campo. I colori Ferrania sono sostituiti da quelli del reportage televisivo e lo spazio comprende l'intera Regione, vista come il corpo di un grosso animale da macello appeso, a testa in giù, ai ganci per essere suddiviso in quarti.
Per mezzo dei canti della corale greco-albanese di Lungro, a cui si aggiunge la voce, invecchiata bene, di Riccardo Cucciolla, all'elegia fa eco il pianto per la perdita del fitto legame tra natura ed esseri umani se non anche dei rapporti tra gli stessi individui.
La natura, la terra, la Regione risultano visibilmente sovvertite dal caos creato per un immaginario progresso mai realizzato. E qui la dicono lunga i rumori industriali dei mezzi per il movimento terra o dei grossi TIR che sfrecciano lungo la Salerno-Reggio.
L'unico viatico è nella feste religiose di grossa rinomanza: quella coreografica di Polsi, Madonna da muntagna, quella multietnica dei Santi Medici Cosma e Damiano presso  Riace e quella di San Rocco ,una delle innumerevoli , a Gioiosa Jonica, vissuta dai giovani come una sorta di Woodstock paesana.


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