“ … l'oggetto filmato, la
Calabria perduta, si assenta e si sospende, scoprendo contemporaneamente la
potenza utopica e ucronica del cinema. “ Jean-Louis Comolli
I
film di Vittorio De Seta I dimenticati (1959) e In Calabria
(1993), a cui si può aggiungere Lu tempu di lu pisci spata (1954),
costituiscono nell'esplorazione che stiamo facendo sulla rappresentazione della
Calabria nel cinema, uno spartiacque ma anche il cuore, o se volete, il centro,
tra passato e avvenire. La parola futuro è sistematicamente esclusa. “ Il
futuro non appartiene a noi altri “ recitava Henry Fonda in C'era una
volta il west
Vittorio
De Seta la Calabria l'ha sentita fin dal suo concepimento nel grembo della
madre, che era calabrese. Il suo cinema cominciò altrove ma ebbe termine, come
un viaggio, con il ritorno nel grembo materno, regalando alla Calabria un film
stilisticamente perfetto pur nella sua brevità: Articolo 23.
Ne I
dimenticati viene registrato, per la prima volta, il rito arcaico della
festa dell'abete (pita) che si svolge ad Alessandria del Carretto. Oggi questo
rituale, divenuto una sagra paesana, è esclusivamente rappresentato per giovanotti e signorine cittadini che vi
arrivano firmati dai loro zainetti a tracolla, scarpette da trekking e occhiali
da sole. All'epoca Alessandria del Carretto era staccata dal contesto sociale,
come lo era Polsi; si raggiungevano questi due posti solo a dorso di mulo e di
questo animale, che conta meno di un asino, si faceva uso per il trasporto di
qualsiasi necessità acquistata fuori.
In
quest'opera, come nella successiva In Calabria, sotto i colori della
Ferrania De Seta lascia parlare i volti delle persone siano essi grandi o
piccoli ma essenzialmente suoni e rumori
carpiti e registrati in diretta: lo scroscio della pioggia con il conseguente
scorrere dell'acqua per le vie del paese; i ferri calzati dai muli con il loro
infrangersi sulle rocce del fiume; le voci, i canti ed i suoni, i colpi di
mortaio, la banda dietro la processione; tutto questo determina un passato
orribilmente cancellato.
La
distanza tra I dimenticati e In Calabria è di trenta anni, “ alle
soglie del terzo millennio “ ricorda la voce fuori campo. I colori Ferrania
sono sostituiti da quelli del reportage televisivo e lo spazio comprende
l'intera Regione, vista come il corpo di un grosso animale da macello appeso, a
testa in giù, ai ganci per essere suddiviso in quarti.
Per
mezzo dei canti della corale greco-albanese di Lungro, a cui si aggiunge la
voce, invecchiata bene, di Riccardo Cucciolla, all'elegia fa eco il pianto per
la perdita del fitto legame tra natura ed esseri umani se non anche dei
rapporti tra gli stessi individui.
La
natura, la terra, la Regione risultano visibilmente sovvertite dal caos creato
per un immaginario progresso mai realizzato. E qui la dicono lunga i rumori
industriali dei mezzi per il movimento terra o dei grossi TIR che sfrecciano
lungo la Salerno-Reggio.
L'unico
viatico è nella feste religiose di grossa rinomanza: quella coreografica di
Polsi, Madonna da muntagna, quella multietnica dei Santi Medici Cosma e Damiano
presso Riace e quella di San Rocco ,una
delle innumerevoli , a Gioiosa Jonica, vissuta dai giovani come una sorta di
Woodstock paesana.
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